#VivaleDevianze e lotta alle devianze: hashtag elettorali, ma i colpiti?
#VivaleDevianze e lotta alle devianze rappresentano lo scontro social-elettorale della settimana. Una campagna elettorale che decisamente è nata bellicosa e feroce e non stenta a placarsi.
Una bufera in cui centrodestra e centrosinistra, le due forze che i sondaggi vogliono contendersi la vetta elettorale (al momento con un vantaggio dato alla Meloni) continuano a scontrarsi in ogni campo di battaglia possibile.
Il campo di battaglia predestinato è quello delle “devianze”.
Per Fratelli di Italia la proposta è lo sport. Lo sport che dovrebbe tenere lontani i giovani dalle “devianze”. Ed effettivamente ci sono studi dell’UNICEF per cui lo sport e la socializzazione possono allontanare da situazioni di crimine e disagio.
Questo nessuno lo nega.
Interviene a gamba tesa Letta con un laconico, e quindi decisamente incline ad ogni interpretazione di ogni senso “Viva le devianze”.
Concetto che in questo accesissimo scontro social viene nuovamente precisato da un tweet, poi modificato, nel quale appare un elenco di devianze. Bullismo, baby gang, droga, alcolismo, autolesionismo, ma anche “hikikomori”, obesità e anoressia.
Che in una nuova versione rientrano tra i “disturbi alimentari”.
Tanto è bastato per riaccendere il dibattito
#VivaleDevianze e lotta alle devianze: hashtag elettorali, ma i colpiti?
Da un lato quel laconico #vivaledevianze, dall’altro lato l’appello della Meloni a combattere le devianze.
Buone intenzioni certo, ma è facile scivolare quando si parla di temi delicati e inerentemente ben oleati come il tema del disagio e della sofferenza.
Lo sa bene Adinolfi, che si inserisce nella discussione con un durissimo tweet nel quale rivendica il diritto a non essere definito un “deviato” in quanto “obeso da oltre trent’anni”.
Lo sa bene la psicologa clinica Barbara Collevecchio (della quale, non nascondiamo, siamo grandi ammiratori) che nella discussione pacatamente ricorda che “ Un professionista della salute mentale fa una diagnosi, non appiccica uno stigma e tra patologia e #devianza c’è un abisso. Soffrire mentalmente NON è un crimine“.
È giusto risolvere le situazioni di disagio? Senz’altro. Potenziare i servizi sul territorio, come dichiara l’UNICEF, è cosa buona e giusta.
Ci siamo scagliati più volte anche noi contro lo stigma per il colpito da condizioni avverse. Stigma che alcune condivisioni cercano ostentantamente, come la triste saga delle risate contro la donna delle “fettine di vitello” e alcune condivisioni possono creare involontariamente, come visto dalla reazione di Adinolfi.
Ma in ogni caso soffrire non è un crimine, e non solo, probabilmente non è una devianza.
Sia in un senso che sull’altro, forse la parola “devianza” non dovrebbe rientrare in una discussione accesa, e una campagna elettorale dovebbe cercare vie più ampie.
L’hikikomori, ovvero colui che si “autoesilia” in casa, NEET volontario che cerca di fuggire da un mondo nel quale non si riconosce, chi autolede se stesso coi disturbi alimentari come ultimo grido di aiuto o chi, senza volersi ledere (siamo tutti diversi, sapete?) si ritrova in un corpo del quale per mille motivi non controlla quella fisicità merita una mano tesa.
Diventare soggetto di una campagna di aiuto e non oggetto di una campagna elettorale.
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