Si parla e, purtroppo, si sente spesso di casi di violenza sessuale. L’ISTAT stima che il 31,5% delle 16-70enni ha subito una violenza fisica, il 21% (4 milioni 520 mila) violenza sessuale. Il 13,6% di donne (2 milioni 800 mila) ha subito violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner, mentre il 24,7% delle donne ha subito almeno una violenza fisica o sessuale da parte di uomini non partner, di cui il 13,2% da estranei e il 13% da persone conosciute (6,3% da conoscenti, 3% da amici, il 2,6% da parenti e il 2,5% da colleghi di lavoro).
Emerge una situazione raccapricciante, in cui la violenza sulla donna è cosa ordinaria e, in molti casi, avviene in contesti ‘domestici’ o da soggetti conosciuti dalla vittima.
Tutti sappiamo cos’è la violenza sessuale, ma quali atti vengono effettivamente puniti come tali?
La violenza sessuale è un reato che si concretizza in molteplici forme diverse: infinite, infatti, possono essere le modalità realizzative della condotta. E proprio per cercare di ricomprendere tutte queste varie forme, la legislazione italiana ha utilizzato una formula particolarmente ampia. Nel nostro ordinamento la violenza sessuale è punita all’art. 609 bis cp che incrimina la condotta con cui:
Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni.
Dunque, il nostro ordinamento prevede 3 generalissime modalità di esecuzione (violenza, minaccia, abuso di autorità), una condotta (costrizione), 2 oggetti della condotta (compiere o subire).
A ciò si aggiungono altre due modalità equiparate – da un punto di vista sanzionatorio – alla condotta suddetta, per cui soggiace alla stessa pena chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;
2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
Dalla lettura dell’articolo possiamo trarre due osservazioni.
La prima, più ovvia, consiste nel fatto che il consenso è fondamentale ed imprescindibile. La giurisprudenza ha precisato che esso non deve necessariamente essere espresso. Il dissenso, invece, può essere manifestato in qualsiasi forma, verbalmente o tramite comportamento dissenziente (atti, gesti, segni) e per certo non è in alcun modo necessario un ‘respingimento’ fisico e netto. Il consenso, inoltre, deve permanere sempre durante tutto l’atto: è fuori di dubbio che la continuazione dell’atto dopo il venir meno del consenso integra il reato di violenza sessuale.
La seconda, più giuridica, sta nel fatto che la chiave di volta dell’intero sistema sta nell’espressione ‘atti sessuali’: in base a ciò che viene ritenuto ‘atto sessuale’ la prensione punitiva della fattispecie in esame sarà particolarmente ampia o particolarmente stretta. Ed infatti, proprio su questo concetto la dottrina e la giurisprudenza hanno scritto e dibattuto maggiormente.
Prima di addentrarci nei dettagli interpretativi dell’espressione ‘atti sessuali’ è bene fare alcune precisazioni introduttive.
La risposta è: chiunque! Il nostro legislatore non fa distinzione di sesso, proprio per le modalità costruttive della norma penale incriminatrice. Può sembrare ovvio, ma legislatori esteri hanno deciso di costruire norme differenziate, così da distinguere tra ‘rape’ generalmente caratterizzato da ‘penetrazione’, e ‘sexual assault’ che ricomprende invece condotte più ampie. La differenza sta nelle pene comminate, e, di conseguenza, nella gravità percepita del reato medesimo.
Di nuovo, la risposta è chiunque! Per quanto casisticamente le vittime siano maggiormente donne, anche gli uomini possono essere oggetto di violenza sessuale. Di nuovo, nessuna distinzione di alcun genere è fatta per le vittime del reato.
La risposta parrebbe scontata: la libertà di determinazione della sfera sessuale, l’integrità fisica e, più in generale, la libertà di autodeterminarsi. Eppure, fino alla riforma del 1996, la violenza sessuale faceva parte dei reati che offendevano la pubblica morale ed il buon costume. Dunque, con la legge n.66 del 1996 c’è stato un cambio di prospettiva: si è passati da un’ottica pubblicistica ad un’ottica privatistica, che riconosceva finalmente come vittima la persona umana e non lo Stato leso nel suo buon costume.
Arriviamo dunque al fulcro della questione sull’individuazione delle condotte di violenza sessuale: l’elemento oggettivo. Cosa sono gli ‘atti sessuali’?
Prima di tutto un dato storico: la riforma del 1996 unisce le due precedenti formulazioni – anche col fine di evitare domande specifiche e del tutto inappropriate – di congiunzione carnale e atti di libidine violenta. Tuttavia, il legislatore non ha definito gli ‘atti sessuali’ – forse anche per ricomprendere quanti più atti possibili a seconda dello sviluppo e del futuro contesto sociale in cui la norma si sarebbe trovata ad operare. Ecco che, fin dalla sua entrata in vigore giurisprudenza e dottrina hanno elaborato vari criteri e individuato diverse condotte.
Ad oggi possiamo dire che si può ricomprendere «oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, ancorché fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo, ovvero in un coinvolgimento della corporeità sessuale di quest’ultimo, sia idoneo e finalizzato a porne in pericolo la libera autodeterminazione della sfera sessuale»
A ciò si aggiunga il contesto, che non deve essere in alcun modo ignorato dal giudice. Bisogna infatti considerare, oltre al rapporto sessuale strictu sensu, anche qualsiasi atto «diretto e idoneo a compromettere la libertà della persona attraverso l’eccitazione o il soddisfacimento dell’istinto sessuale dell’agente».
Bisogna notare che con l’espressione «compromettere la libertà della persona» si intende soltanto la libertà fisica e non quella morale: atti di esibizionismo, voyeurismo, nonché autoerotismo pubblico non possono essere considerati violenza sessuale.
Tuttavia, le modalità ricomprese nella condotta incriminata possono essere molteplici. Recentemente, l’attenzione del pubblico, nonché della giurisprudenza svizzera e tedesca, è stata richiamata da una particolare condotta: lo stealthing. Ma cos’è?
Lo stealthing – dall’aggettivo inglese stealth (nascosto, invisibile) – è una pratica di «violenza sessuale che si riferisce alla rimozione non consensuale del condom durante un rapporto sessuale. È inoltre considerata una forma di coercizione riproduttiva, quando ci si riferisce ad essa come ‘condom manipulation’ o ‘condom sabotage’» (così, E.E. Bonar et. al., Stealthing Perpetration and Victimization: Prevalence and Correlates Among Emerging Adults, Journal of Interpersonal Violence, SAGE, 2019).
Questa pratica aveva assunto rilevanza in relazione alla finalità di trasmissione dell’HIV/AIDS ed è tornata alla luce a seguito della pubblicazione di un articolo di Alexandra Brodsky (che invitiamo a leggere), la quale intendeva attirare una maggiore consapevolezza del pubblico e del legislatore su questa pratica, indipendentemente dall’intento di – e dalla effettiva – trasmissione dell’HIV.
Alcune corti straniere hanno già emesso condanne per ‘stealthing’: nel 2014 la Suprema Corte canadese ha condannato per violenza sessuale (sexual assault) un uomo che ha forato consapevolmente il condom; nel 2017 la Corte di Losanna ha condannato per violenza sessuale (rape) un uomo che ha rimosso il condom durante l’atto sessuale contro le aspettative della partner; nel 2018, una corte federale tedesca ha condannato per violenza sessuale (sexual assault) un uomo per stealthing.
Insomma, all’estero è un fenomeno che sta emergendo: non soltanto viene punito come reato ma, soprattutto, viene percepito come tale. Questa affermazione – che può sembrare ancora una volta banale – è fondamentale ed implica non solo che il consenso al rapporto debba esserci e debba permanere per tutto il tempo, ma deve esserci consenso anche sulle modalità del rapporto medesimo.
Il nostro legislatore non prevede espressamente questa particolare modalità realizzativa. Tuttavia, procedendo secondo gli schemi già adottati sopra, possiamo ragionare per vedere se una simile condotta può essere sussunta all’interno della fattispecie del 609 bis c.p..
Innanzitutto, i soggetti: lo stealthing è una condotta praticabile da chiunque, tanto da uomini che da donne. Non si tratta infatti soltanto di rimozione del condom, ma anche di ‘perforazione’ dello stesso, ottenendo il medesimo risultato.
I soggetti passivi: di nuovo, di conseguenza, chiunque.
Il bene protetto: di nuovo, sicuramente la libertà di determinazione della sfera sessuale.
Infine, la condotta in questione rientra pienamente negli ‘atti sessuali’ sopraesposti.
Dunque, almeno in teoria, la pratica di stealthing sembra poter rientrare nella norma penale incriminatrice. Ci sono, però casi di condanne per stealthing in Italia?
Attualmente no. Tuttavia, possiamo ritrovare in alcune sentenze una costruzione logica delle motivazioni dei giudici della Suprema Corte che parrebbe far optare per un futuro possibile accoglimento di tale sussunzione. La sentenza in questione è la n. 5768 del 2014, nella quale la Corte di Cassazione stabilisce che «il consenso iniziale all’atto sessuale non è sufficiente ad evitare un giudizio negativo, quando questo si trasformi in itinere in un atto violento, con forme e modalità non volute dalla vittima, come nel caso di specie» (Così, L. Piras, Nota a sentenza: Cassazione penale, 16 gennaio 2014, n.5768, sez. III, Diritto & Giustizia, fasc.0, 2014, pag. 184).
I giudici della Suprema Corte, insomma, ponendo l’accento sulle «forme e modalità non volute dalla vittima», parrebbero aprire la strada anche a questa nuova pratica di violenza.
Tuttavia, ciò che conta ancora di più è la percezione di tale condotta come criminosa: è innanzitutto la vittima che deve realizzare che si tratta di una condotta non accettabile e denunciare. Solo dopo si potrà agire giudizialmente. Anche se, come sempre nell’ambito del diritto penale, quando arriva la sanzione è sempre troppo tardi: molti reati potrebbero essere evitati tramite una seria e responsabile educazione al rispetto reciproco.
E tu cosa ne pensi? Lascia un commento.
Passaporto Futuro è un’iniziativa no profit promossa da giovani studenti spinti dalla voglia di divulgare la conoscenza acquisita nel corso dei loro studi.
Assieme a Bufale.net collabora per la stesura di una rubrica chiamata “Bufale Junior” con l’obiettivo di creare una conoscenza sana e condivisa.
Arrivano in queste ore, direttamente da social come TikTok e Facebook, alcune voci totalmente infondate su Emilio morto. Si tratta…
Mettiamo in chiaro subito che nessuno ci paga questa recensione. L'accordo come sempre é che ci mandano un prodotto che…
Non ultima una menzione televisiva di tale leggenda, ci è stata segnalata l'arcinota falsa credenza per cui il sale assorbe…
Ci sono conferme sui problemi PayPal di oggi 21 novembre, visto che abbiamo constatato anche noi una sorta di down…
Ci segnalano i nostri contatti un post Facebook che mostra "tre atlete dal bel sedere", chiedendo se sia normale guardarle…
Ci segnalano i nostri contatti una curiosa telefonata: una voce registrata che presenta la piattaforma di trading online della famiglia…