Ci segnalano i nostri contatti, anche a Natale, una serie di articoli sulla “sanatoria sulle professioni sanitarie”, evidentemente tema così caldo da tenerli lontani dagli affetti personali, dal panettone e dall’arrosto.
Proviamo a fare un po’ di ordine, e retroagiamo al comma 283bis della manovra finanziaria, norma targata M5S
Una norma in bianco così detta, che consente di iscriversi ad appositi albi speciali da istituirsi presso gli ordini tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione.
Le intenzioni della maggioranza si presentano nobili, o quantomeno rigettano con violenza il termine “sanatoria sulle professioni sanitarie” utilizzato dal resto degli attori della vicenda, demandando la spiegazione ad un post Facebook (evidentemente, moderno compendio dello studio degli atti preparatori)
Sostanzialmente lo Storytelling di maggioranza si basa su un tema tanto caro al popolo italiano: le famiglie bisognose che hanno bisogno del posto fisso e, avendo esercitato una professione per tanti anni, rischierebbero senza l’intervento dello Stato di ritrovarsi dall’oggi al domani disoccupate.
Il problema sta tutto nella Legge Lorenzin del 13 Marzo 2018, “ingombrante” lascito della passata maggioranza al presente Governo che poneva ordine in una situazione assai complicata.
Torniamo indietro al 1998, anno a partire dal quale, per esercitare una delle professioni nominate, è diventato necessario acquisire un diploma universitario, i primi corsi furono però attivati attivati soltanto dall’anno accademico 2001/2002.
Nell’interim, come correttamente riporta il Post, si decise per l’istituzione di un Regime Transitorio, gioia e delizia del legislatore Italiano uso a risolvere ogni problema di raccordo con regimi transitori che, sovente, diventano sospesi in un passato e presente senza tempo e coordinate: gli attestati ottenuti con corsi triennali o con la ridda di corsi regionali di cui sicuramente ricorderete i manifestini ad ogni angolo di strada, purché ottenuti entro il 17 marzo del 1999, furono equiparati di fatto ai diplomi universitari.
Di fatto abbiamo un numero ingente di persone, il cui numero è di incerta valutazione stante la zona grigia in cui si trovano ad operare che, come l’eroico cane Balto immortalato in un film di animazione sanno soltanto quello che non sono, e non quello che sono.
Alla data del del 17 marzo 1999 stavano ancora infatti frequentando corsi, oppure avevano iniziato il loro percorso formativo non universitario nel regime transitorio tra il 1998 ed il 2001 per poi esercitare tranquillamente la professione, senza iscriversi ad alcun albo professionale ed in un orizzonte privo di spazio e tempo dove ciò era, se non consentito dalla legge, dai fatti.
Riporta il citato Post:
Con casistiche individuali molto varie e complesse, ci furono in pratica migliaia di persone che cominciarono a esercitare grazie a un titolo di studio che non era stato riconosciuto come equivalente a quello universitario, e che quindi era ancora valido ma solo per poco, o che non era più valido da poco tempo. Questi attestati, in ogni caso, smisero di essere riconosciuti come abilitanti alla professione nel giro di pochi anni, ma di fatto permisero a migliaia di persone di continuare a esercitare la professione. Abusivamente, secondo molti; con un titolo che era valido quando iniziarono il loro percorso professionale, secondo altri.
Oggettivamente quindi, arrivati al 2018, avevamo un fitto sottobosco di personalità orfane con corsi regionali e qualche anno di “pratica sul campo” tecnici di laboratorio biomedico, audiometristi, audioprotesisti, ortopedici, tecnici della riabilitazione psichiatrica, della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro, neurofisiopatologi, fisiopatologi cardiocircolatori e di perfusione cardiovascolare, dietisti, igienisti dentali, fisioterapisti, logopedisti, podologi, ortottisti e assistenti di oftalmologia, educatori professionali, terapisti occupazionali e della neuro-psicomotricità dell’età evolutiva.
Sottobosco che secondo la normativa attualmente in vigore avrebbe dovuto, semplicemente, iscriversi ad un albo professionale, maturandone i requisiti.
La ratio legis è evidente: dal 1999 al 2018 sono passati diciannove anni: possibile che in 19 anni nessun operatore del settore abbia valutato l’idea di procurarsi il titolo necessario, per equipollenza o per titolo di studio, ad entrare nel desiderato e sudato Albo?
L’AIFI, al riguardo, risponde con parole di fuoco
“Dicono che non ci sarà equiparazione, ma si sono dimenticati di scriverlo. Manca la valutazione dei titoli di studio e del percorso formativo, manca la valutazione delle competenze. Non si capisce cosa voglia dire ‘professione sanitaria di riferimento’. Avevamo proposto semplicemente di riaprire i termini per le procedure di equivalenza per chi aveva titoli pre ‘99 e si sarebbero risolti gran parte dei problemi. Avevamo chiesto che Ministero e Regioni risolvessero quello che in questi anni hanno lasciato insoluto. Tutte cose che aveva detto il Presidente AIFI Tavarnelli anche nell’incontro ufficiale con l’on. Lorefice che, a quanto pare, ha preferito ascoltare altre campane. Leggendo letteralmente il provvedimento, chiunque abbia ‘lavorato’ come finto professionista sanitario per almeno 3 anni – anche non continuativi – negli ultimi dieci anni può continuare serenamente a fare quello che ha sempre fatto, perché iscritto in un ‘elenco speciale’. Che lo abbia fatto senza titoli di studio adeguati, che lo abbia fatto senza una verifica certa delle competenze, non importa. Non hanno pensato alla salute dei cittadini, ma solo a dare qualche contentino a qualcuno. Sono caduti, più o meno consapevolmente, nella trappola di chi, mentendo loro, gli ha fatto credere che avrebbe perso il posto di lavoro con gli Albi”.
Non solo quindi l’AIFI scende in campo per contestare al ministro Grillo la manovra nonostante non vi siano equipollenze, ma chiede a gra voce che le equipollenze vi siano, o che meglio chi ha titoli ritenuti inidonei si attivi per richiedere le stesse e vedere quindi le sue effettive capacità valutate e certificate al pari di chi invece ha seguito i corsi post 2001.
Equipollenze che, peraltro, in parte già vi sono, anche nel resto della citata legge di Bilancio, laddove
Il comma 283-quater stabilisce che i diplomi e gli attestati, indicati nella tabella allegata al DM 22 giugno 2016, relativamente al profilo di educatore professionale, purchè ottenuti a seguito di corsi regionali o di formazione specifica ed iniziati tra il 1997 e il 2000, o comunque conseguiti entro il 2005, siano da considerarsi equipollenti al diploma universitario (rilasciato a seguito di completamento del corso di laurea L/SNT2) per educatore professionale socio-sanitario. L’equipollenza vale sia per l’esercizio professionale, sia per l’accesso alla formazione post-base, sia per l’iscrizione all’albo della professione sanitaria di educatore professionale, istituito con la L. n. 3/2018 (cd. Legge Lorenzin in materia, per quanto qui interessa, di professioni sanitarie). In proposito, rimane fermo quanto previsto dalla normativa vigente in materia di professioni sanitarie riconosciute in base alla L. n. 42/ 1999 e alla legge di bilancio per il 2018 (L. n. 205/2017).
Il comma 283-quinquies dispone che l’iscrizione negli elenchi speciali di cui al comma 4-bis dell’articolo 4 della legge n. 42/1999 e l’equipollenza dei titoli indicati dal comma 283-quater non producono, per il possessore del titolo, alcun effetto sulla posizione funzionale rivestita e sulle mansioni esercitate, già acquisite in ragione del titolo, in relazione ai rapporti di lavoro dipendente già instaurati alla data di entrata in vigore della presente legge di bilancio.
Il comma 283-sexies detta una norma di coordinamento con il sopra citato comma 3, articolo 6, del D.Lgs. n. 502/1992, stabilendo che non possono essere attivati corsi di formazione regionali finalizzati al rilascio di titoli ai fini dell’esercizio delle professioni sanitarie indicate dalla sopra richiamata legge n. 43 del 2006 (a differenza di quanto prevedeva l’emendamento presentato in Commissione Bilancio al Senato, e poi ritirato, dalla Lega).
Le precedenti disposizioni sono introdotte anche al fine di monitorare il fenomeno che attualmente ha una portata non definita, soprattutto a causa di corsi regionali abilitati al rilascio dei titoli ai fini dell’esercizio delle professioni sanitarie in esame, la cui futura attivazione è pertanto interdetta.
Infine, il comma 283-septies dispone una norma di coordinamento finale che prevede, a decorrere dall’entrata in vigore della presente legge di bilancio, l’abrogazione dell’articolo 1 della legge n. 403/1971 riguardante la professione sanitaria di massaggiatore e massofisioterapista.
Una riforma più profonda colpirà le figure professionali di massaggiatori o massofisioterapisti, formalmente sopprimendo l’albo professionale dei massaggiatori e dei massofisioterapisti ciechi che sarà ripiegato negli elenchi speciali citati.
Elenchi speciali che al momento non esistono, aggiungendo ulteriore incertezza ad una manovra che per anche per queste ragioni i critici descrivono come una vera e propria sanatoria delle professioni sanitarie.
Entra nel dibattito il virologo Roberto Burioni, assai scettico sulla manovra
E non solo: L’Associazione italiana fisioterapisti, ritiene che
«manca la previsione di quali titoli di studio permetterebbero tale iscrizione, mancano le modalità di verifica delle reali competenze degli iscritti agli elenchi speciali necessarie per potersi occupare della salute delle persone».
Mentre la Federazione nazionale degli ordini della professione di ostetrica aggiunge
«appartenere a un albo non è una semplice iscrizione, ma significa dover dimostrare al nostro Sistema nazionale, e quindi alla collettività tutta, di possedere una serie di requisiti: un percorso formativo di base e di specializzazione nel settore sanitario, di aver acquisito competenze e abilità, di aver superato esami e prove».
La paura che serpeggia non è una mera difesa degli ordini professionali, ma la paura che un nuovo regime transitorio, o meglio il demandare ad una norma successiva l’attuazione della citata norma in bianco, possa condurre ad un reiterarsi della passata situazione, di fatto cristallizzando un limbo eterno dove chi ha visto certificare le sue conoscenze, competenze ed abilità sarà parificato a chi tal percorso non ha compiuto.
La palla è ancora sul campo di gioco: e dovremo aspettare in futuro per sapere.
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