Una TV portatile progettata ed abbandonata nel 1967…
Ci vuole poco a misinterpretare una foto, come l’immagine di una TV portatile progettata ed abbandonata nel 1967.
Tratta dalla pagina Facebook Creepyisim (“Cose inquietanti”, azzardando una traduzione), dovrebbe raffigurare il protipo rivoluzionario di una TV Portatile
Progettata ed abbandonata nel 1967.
In realtà, come si vede dall’immagine, il modello somiglia molto più ai “Visori per la Realtà Virtuale”, nello stile di Google Cardboard e Nintendo Labo VR.
Il concetto è lo stesso di entrambi i congegni che lo scrivente ha personalmente collaudato (ma tranquilli, miei piccoli fanboy del “kivvipaka”: nessuno mi ha ha “pakato” per farlo, e dopo questo articolo capirete non ci sarebbero ragioni per farlo): si inserisce in un visore di materiali economici (foglio di metallo nell’opera del 1967, cartoncino o plastica termomodellata nelle iterazioni moderne) un dispositivo in grado di visualizzare immagini per ottenere un effetto stereoscopico e tridimensionale.
Ma lo scultore, artista ed Architetto Walter Pichler non voleva inventare i Kit VR con decenni di anticipo: voleva semplicemente deridere quello che per lui la tecnologia sarebbe diventata a breve, senza alcun desiderio di vedere la sua immaginazione varcare i confini di un museo.
La poetica di Walter Pichler
Walter Pichler era indubbiamente un futurista, un genio visionario: ma era più affine per natura al William Gibson autore del Neuromante e di Johnny Mnemonico che a personalità come Howard Hughes o il Tony Stark del Marvel Cinematic Universe.
Laddove il modello immortalato al cinema da Anthony “Tony” Stark (ispirato anche da personalità come Howard Hughes) è quello di un brillante scienziato convinto che il futuro possa aprirci la porta di conoscenze e tecnologie mai viste destinate a migliorare la vita di tutti ed avverare i nostri sogni più sfrenati, Walter Pichler con la sua serie Prototypes (I Prototipi) voleva al contrario mostrarci un possibile futuro dove la tecnologia avrebbe creato oggetti pronti a privarci della nostra umanità stessa e renderci succubi.
Al principio della sua carriera Pichler sognava una architettura “liberata”, grandi spazi utopici dove l’Uomo potesse ritrovare se stesso, disegnando mobili multifunzione che potessero sia avverare questo sogno che servire da monito per chi dovesse allontanarsi dalla sua umanità.
Il primo esempio di questa duplicità, della sua tensione verso un mondo di meraviglie che avrebbero potuto schiacciare gli impreparati (come, in letteratura, il mondo di William Gibson è un mondo dove la tecnologia più fantastica viene usata in contesti urbani e criminali portando guerre e nuove forme di criminalità) è la sua Portabile Living Room
It’s terribly ironic, therefore, that Pichler subtitles his piece “Portable Living Room,” because it is certainly not portable, and at best a shoddy simulation of a living room. The Portable Living Room enables a person to remain motionless, separating them from their obligations and necessities to simply be entertained. Like a visionary anticipating the arrival of the ‘couch potato’, Pichler saw media not as enabling but disabling, entrapping, enabling of nothing more than laziness.
È incredibilmente ironico quindi che Pichler abbia deciso di chiamare la sua opera “Salottino portatile”: non è certamente portatile, ed al massimo potremmo definirla una malfatta imitazione di un salottino. Il “Salottino portatile” consente ad una persona di restare immobile, separata dai propri doveri e necessità per essere semplicemente sottoposta al divertimento. È come una visionaria profezia del “pigrone da divano”, Pichler riconosce i media non già come qualcosa che aumenta le nostre facoltà, ma che le riduce, che ci intrappola e che ci spinge a null’altro che la pigrizia.
Ogni opera di Pichler di quegli anni ha il medesimo sottotesto: ci mostra una tecnologia futura che ha il potenziale per avverare la sua visione utopica di un uomo che ritroverà se stesso e la sua umanità, ma contemporaneamente sente che sarà usata per schiacciarne l’umanità, indulgendo in una pigrizia tale da rendere l’uomo servo delle sue creazioni e non viceversa.
Egli stesso descrisse tale teoria con queste parole
“(Architecture) is born of the most powerful thoughts. For men it will be a compulsion, they will stifle in it or they will live – live, as I mean the word … (Architecture) has no consideration for stupidity and weakness. It never serves. It crushes those who cannot bear it… Machines have taken possession of [architecture] and human beings are now merely tolerated in its domain. “
“(L’architettura) nasce dai pensieri più potenti. Per gli uomini è un chiodo fisso, ne saranno sopraffatti o saranno in grando di viverci – viverci, nel mondo in cui io intendo tale parola. (L’Architettura) non ha riguardo per la stupidità e la debolezza. Non è qui per servirci, schiaccia tutti coloro che non possono sopportarla… le Macchine hanno preso il possesso dell'[architettura], gli umani sono semplicemente tollerati nel suo regno”
TV Helmet, la TV portatile progettata ed abbandonata nel 1967
Possiamo ora passare a TV Helmet, il “prototipo” da cui è tratta questa foto.
Come avrete capito, TV Helmet non è mai stato progettato per essere commercializzato.
Pichler stesso non ha mai cercato fama, né onori, né di vendere la sua opera, preferendo edificare case/museo per mostrarle al pubblico sottraendo le sue creazioni al mercato o alle esibizioni presso i grandi circuiti dell’arte.
Lo scopo di TV Helmet esprime la sua duplicità: è un’opera che dà un corpo fisico alle visioni futuribili di un mondo dove i media diventano parte dell’architettura e della vita moderna ma, nel farlo, trasforma gli stessi in una oppressiva realtà virtuale.
Lo scopo di TV Helmet, la TV portatile progettata ed abbandonata nel 1967 che ora scopriamo essere un casco per la realtà virtuale prima della realtà virtuale è isolare l’uomo dalle suggestioni malsane del consumismo e dei media moderni, cercandone una nuova rilettura. Ma nel farlo, la natura umana ha il sopravvento e l’obiettivo fallisce: l’uomo non riesce a chiudere tali suggestioni fuori dalla porta, ma si rinchiude coscientemente in un universo virtuale in cui può solo percepire le stesse.
Immaginate un Tony Stark pronto a dichiarare che le sue fantastiche armature possono migliorare la vita dell’umanità (come è oggetto del film Avengers: Age of Ultron) ma, dopo il fiasco in Sokovia, sia pur continuando ad essere Iron Man cerchi di dimostrare al mondo come la sua tecnologia, nelle “mani di tutti” potrebbe dannare il mondo (sfociando così nella trama di Iron Man 3, con Tony che realizza la necessità di limitare la diffusione della sua tecnologia distruggendo le sue armature sovrannumerarie): Pichler ci era arrivato da solo senza passare per la distopia, ma semplicemente ipotizzandola come inevitabile “lato B” dell’utopia che sognava di poter creare.
Un insegnamento da tenere a mente, ora che abbiamo raggiunto se non la cosiddetta singolarità tecnologica, i mezzi tecnici per avverare la visione tecnologica di Pichler e siamo pericolosamente vicini a dimostrare che le sue paure non erano infondate.
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