Un’infermiera scambia neonati in Zambia. Per la precisione, circa 5.000 bambini, con la diretta interessata che confessa il suo peccato poco prima di morire. Questa la storia che sta circolando moltissimo sui social oggi 9 aprile, in riferimento a quanto avrebbe raccontato la stessa Elizabeth Mwewa. La donna lo avrebbe fatto per puro divertimento, tra il 1983 ed il 1995, ma in queste ore avrebbe deciso di sputare il rospo per togliersi questo peso dalla coscienza. Ha un tumore allo stato terminale ed evidentemente intende liberarsi di questo peso.
Del resto, qualsiasi storia che riguardi i neonati fa sempre discutere, come abbiamo notato a più riprese in passato sulle nostre pagine. Per questo motivo, leggere che l’infermiera scambia neonati, facendo riscontrare 5.000 casi in pochi anni, con la diretta interessata che confessa senza troppi giri di parole, non può non destabilizzare anche il pubblico italiano. Al netto del fatto che il caso sia avvenuto in Zambia. Eppure ci sono alcuni aspetti specifici da valutare dietro la storia di Elizabeth Mwewa.
In particolare, appena è emersa in Rete la storia dell’infermeria scambia neonati, immediata è scattata un’indagine non solo degli organi competenti (almeno speriamo), ma anche dei giornalisti. Ad esempio, un importante approfondimento giunto dal Lusaka Times ci dice chiaramente che nella struttura citata ad inizio articolo, nel periodo descritto dalla stessa infermiera, non abbia lavorato nessuno che risponda al nome di Elizabeth Mwewa. Cosa vuol dire questo? Al momento non è possibile escludere nessuna ipotesi, nemmeno quella che ci si ritrovi al cospetto di una mitomane.
Insomma, al dì là del suo pentimento e di una storia in grado potenzialmente di sfasciare famiglie (lei stessa ha parlato dei divorzi che ne sono scaturiti negli anni, dopo alcuni test del DNA), l’ipotesi bufala al momento è tutt’altro che lontana. Cosa vuol dire questo? Se leggete sui social “L’infermiera scambia neonati”, in riferimento a quanto sarebbe avvenuto a 5.000 bambini nello Zambia e precisamente presso l’University Teaching Hospital di Lusaka, sappiate che potrebbe ancora trattarsi di una bufala.
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