Un articolo pubblicato il 10 settembre 2019 su Meteoweb ci viene segnalato dai nostri lettori. Secondo il titolo sarebbe in corso un disastro nucleare che colpirà l’Europa, con una tappa già registrata nel mar Mediterraneo.
Ciò a cui Meteoweb allude è un rilevamento di tracce di rutenio-106 in Italia e nel resto d’Europa nel 2017 che già in quel tempo venivano considerate innocue per ambiente e salute. Il rutenio è un metallo di transizione con proprietà catalitiche, per natura poco reattivo.
Verso la fine di settembre 2017 l’Istituto di Radioprotezione e Sicurezza Nucleare francese (IRSN) aveva rilevato e riportato la presenza di rutenio-106 in Francia ed Europa, con una quantità di “qualche millibecquerel (unità di misura della radioattività, ndr) per metro cubo d’aria”, concludendo che una tale concentrazione non portava alcuna conseguenza sull’uomo e sull’ambiente. Ancora, l’IRSN aveva individuato che l’emissione, probabilmente, proveniva da una zona tra il Volga e gli Urali, dunque dalla Russia o dal Kazakhistan.
Il 27 settembre 2017 i rilevatori europei segnalarono la presenza delle tracce radioattive in Italia, come riportava l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) in una nota. L’ISPRA, a tal proposito, confermava l’assenza di rischi a livello sanitario. Verso la fine del novembre 2017, tuttavia, le tracce del radionuclide sui cieli italiani erano già scomparse, ma la provenienza della nube radioattiva era ancora un mistero.
Dalla Russia, a novembre 2017, era arrivata la segnalazione di una presenza di rutenio-106 al confine con il Kazakhistan che, secondo il servizio meterologico Roshydromet superava di mille volte gli standard di contaminazione estremamente alti, ma l’agenzia nucleare governativa russa Rosatom aveva negato tali dati. La fonte dell’innesco, in ogni caso, era stato rilevato nella regione di Chelyabinsk dove si trovava l’impianto di Mayak. Per fare chiarezza sulle conseguenze del rutenio-106 in Italia e in Europa – ribadiamo che verso la metà dell’ottobre 2017 le tracce nella nostra penisola si erano dileguate – Repubblica aveva raccolto le dichiarazioni di Marco Casolino dell’Istituto di Fisica Nucleare:
Le quantità rilevate in Russia sono 900 volte sopra il fondo naturale, ma solo perché il fondo naturale di rutenio è praticamente zero, anche se questo elemento si trova in rocce tufacce tipo quelle di Roma, che contengono uranio e torio.
Wired ricostruisce la vicenda e ci aggiorna sulla situazione attuale. Secondo uno studio di 70 esperti, l’emissione di rutenio-106 era da attribuire a un impianto di riciclo nucleare e non all’incidente di un reattore. I dati ottenuti sono stati pubblicati su Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas). La stessa teoria è supportata da Georg Steinhauser, ricercatore “dell’Istituto di radioecologia e protezione dalle radiazioni dell’Università di Hannover, in Germania, e da Olivier Masson.
Steinhauser, soprattutto, sottolinea che ancora non vi sono dichiarazioni ufficiali, ma come riporta Wired:
“Siamo in grado di mostrare che l’incidente è avvenuto durante il riprocessamento degli elementi dal combustibile nucleare esausto, in uno stadio molto avanzato [del riprocessamento, ndr], poco prima della fine del riciclo”, ha sottolineato Steinhauser. “Anche se attualmente non ci sono dichiarazioni ufficiali, abbiamo un’idea piuttosto chiara di ciò che potrebbe essere accaduto”. Insomma, la certezza non c’è, anche se gli autori pensano che quanto da loro descritto sia molto probabile.
Meteoweb parla di Chernobyl e Fukushima, ma gli esperti indicano un fenomeno diverso e, soprattutto, i dati raccolti negano l’incidenza dell’episodio su salute e ambiente. Ancora oggi c’è una forte carenza di informazioni, ma ciò che si sa è che con una buona percentuale di riscontri l’emissione sia avvenuta dalla regione di Chelyabinsk. Tutto il resto è allarmismo, nel tipico stile dei titoli acchiappaclick che propongono lo scandalo due anni dopo gli eventi.
Infine, il titolo dice il falso: la nube di rutenio-106 si è allontanata dal Mediterraneo dall’ottobre 2017.
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