Tutti riportano lo sfogo della giornalista Ana Kasparian su divieto aborto, ma è decontestualizzato
In queste ore in tanti stanno riportando il discorso della giornalista Ana Kasparian, durissima nel prendere posizione verso coloro che sono a favore del divieto per l’aborto. Una serie di dichiarazioni forti, dirette a coloro che mescolano il credo religioso a scelte politiche, che per forza di cose finiscono per avere un’incidenza anche sulle nostre vite. Insomma, chi spinge a favore del divieto è totalmente defocalizzato rispetto ai trend di questo momento storico, senza anteporre il benessere delle persone al proprio credo.
Va contestualizzato il discorso della giornalista Ana Kasparian sul divieto per l’aborto
La ricondivisione del video che vede protagonista Ana Kasparian, in ogni caso, presenta un errore di fondo abbastanza grossolano. In tanti, infatti, lo stanno facendo girare come se si trattasse di una risposta emotiva rispetto a quanto deciso dalla Corte Suprema negli USA, che a conti fatti ha rimandato la regolamentazione delle pratiche inerenti l’aborto ai singoli Stati. Si potrebbe parlare della confusione fatta sui social, dove passa il concetto di divieto, come abbiamo evidenziato nella giornata di ieri, ma qui il discorso è differente.
Basta collegarsi al link del video originale su YouTube, infatti, per rendersi conto che le dichiarazioni di Ana Kasparian siano vecchie. Nello specifico, stiamo parlando di un filmato che risale addirittura al 2018. Sono parole che vengono attualizzate periodicamente, a seconda degli eventi. Ad esempio, nel 2021 diventò virale in relazione alla Polonia e alle sue leggi sull’aborto diventate più inflessibili. Lo stesso accadde anche a febbraio 2021, in riferimento all’incriminazione a Varsavia di Marta Lempart. Vale a dire la leader delle proteste a favore dell’aborto.
Dunque, lo sfogo della giornalista Ana Kasparian è reale ed autentico, ma non ha nulla a che vedere rispetto alle novità che sono arrivate di recente dagli Stati Uniti, considerando quanto stabilito dalla Corte Suprema con apposita sentenza.
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