Tutti pazzi per il tubo catodico: la vecchiaia di Donkey Kong
Esiste una scena nel film di animazione “Summer Wars” (2009) che molti appassionati di retrocomputing prendono drammaticamente sul serio, spesso per ovvi e realistici motivi, spesso più per mitologia.
Nel film di animazione del celebre regista Mamoru Osoda il giovane studente Kenji Koiso si ritrova invitato dalla bella Natsuki Shinohara, di cui è seriamente invaghito, nella dimora di campagna della sua ricca e “ammanicata” famiglia. In quel genere di eventi che possono accadere solo in un film di Bollywood o in un anime Giapponese, si ritrova a sfidare una evolutissima intelligenza artificiale per il dominio sull’umanità, chiedendo alla ricchissima famiglia di lei un monitor a tubo catodico per “ridurre i propri tempi di reazione” diventando competitivo rispetto alla supremazia delle macchine.
Per quanto un CRT rispetto ad un monitor LCD abbia, per ovvie ragioni che vedremo, un “input lag” inferiore, questo è il motivo sbagliato per esigere un tubo catodico in casa.
Ma ci sono applicazioni, come le sale giochi vintage e alcuni contenuti, per cui il tubo catodico serve. Venturebeat parla di “fegato malato di Donkey Kong”: cabinati costruiti intorno al tubo catodico che cominciano ad invecchiare pesantemente, e riadattati con un LCD potrebbero non funzionare nello stesso identico modo.
Passabilmente simile certo, non uguale.
Ma ci converrà una digressione per partire dal fatto che, in realtà, prima di parlare del monitor perfetto bisogna ricordare che per un lungo periodo il monitor non faceva parte della storia dell’informatica.
L’informatica prima dei monitor
Prima dell’arrivo dei monitor, l’interazione tipica con un computer passava dall’osservare delle lucette colorate, o dall’inserire dati su nastri perforati per vederli risputati su nastri perforati.
La novità si ebbe grazie alle telescriventi, di cui abbiamo parlato con la nascita di Eliza, la “nonna” di ChatGPT.
Le telescriventi non nascono con l’informatica e non nascono per l’informatica: erano strumenti da usare sulla rete telegrafica: potevi battere a macchina un messaggio e una “macchina da scrivere” lontana chilometri l’avrebbe ribattuto uguale consentendo ad un operatore a digiuno del codice Morse di interpretare il tuo messaggio e rispondergli.
Nel dopoguerra qualcuno cominciò a chiedersi se non fosse possibile utilizzare una telescrivente per comunicare con un computer in modo più semplice ed efficace, ad esempio la Teletype Corporation Modello 33, che accoppiata ai computer dell’epoca creò involontariamente un settore di giochi di solo testo, tra cui il citato passatempo di Eliza e le grandi avventure testuali come la saga di Zork e alcune versioni di “Oregon Trail”.
Da cosa nasce cosa, e qualcuno, citando il divulgatore David Murray (8 Bit Guy), cominciò a chiedersi se fosse possibile evitare di avere interi uffici assordati dal ritmico martellare di una telescrivente e intenti a consumare risme di carta su risme e utilizzare un monitor a tubo catodico, tecnologia come vedremo già presente, al suo posto.
Nacque così il terminale Datapoint 3300 (1969), combinazione di un tubo catodico, già presente nei televisori di tutti gli utenti e una telescrivente vecchio stile.
Era diventato possibile comunicare con un computer in modo efficiente e intuitivo: il passo successivo fu “fondere” le due macchine.
Quindi siamo passati da computer controllabili con lucette, interruttori e schede perforate a computer controllati da telescriventi con carta e inchiostro.
Poi siamo passati dalle telescriventi alle telescriventi con tubo catodico e, infine, a computer come l’Apple I e il SOL-20 pronti a incorporare dentro loro stessi una telescrivente a tubo catodico.
In un mondo in cui non c’era ancora uno standard fisso a definire come doveva essere fatta una tastiera (problema che ci si riserva di affrontare in un’altra rubrica) e il monitor era un concetto nuovo ed inesplorato, l’informatica “domestica” cominciava anche dalla possibilità di poter acquistare un vecchio monitor da videosorveglianza e attaccarlo in formato videocomposito al proprio computer senza spendere altri soldi.
Dal tubo catodico al monitor passando per la TV
Del resto i primi esperimenti per trasmettere a distanza immagini in movimento ebbero luogo negli anni ’20 e si basarono su precedenti invenzioni, in particolare la radio e il cinema. Tra le diverse soluzioni proposte, quella vincente fu il tubo a raggi catodici, un cilindro di vetro con due elettrodi che, grazie alla corrente elettrica, consente di creare fluorescenze (e quindi immagini) su uno schermo.
Nel 1927 un inventore statunitense, Philo Farnsworth, creò il primo schermo televisivo “moderno” dotato di tubo catodico (sulla base delle intuizioni del fisico tedesco Karl Ferdinand Braun). L’invenzione suscitò subito interesse e negli Stati Uniti, già alla fine degli anni ’20, furono fatti esperimenti di trasmissione televisiva e mandati in onda alcuni programmi, dando così al tubo catodico il dirompente valore di oggetto ubiquitario e storico.
Risparmiandovi la storia di tutti i tentativi precedenti, un tubo catodico è sostanzialmente qualcosa a metà tra un condensatore ed un acceleratore di particelle: un catodo, il polo positivo, spara degli elettroni verso l’anodo e poi verso delle molecole di fosforo piazzate dietro lo spesso vetro del monitor, grazie all’aiuto di un “giogo di deflessione”, che guida magneticamente quel raggio facendolo scorrazzare “a zigzag” per lo schermo illuminando le aree necessarie e alcune calamite per mantenere una corretta convergenza.
L’effetto, praticamente istantaneo, è che i fosfori eccitati si illuminano creando immagini.
Ovviamente, lo scopo era quello di trasmettere immagini, ma nell’era informatica semplicemente ci si chiese se la sorgente non potesse un computer, lo stesso che abbiamo visto usava già telescriventi e altri mezzi meccanici.
Il passaggio successivo diventò come abbiamo visto incorporare un tubo catodico in ogni telescrivente al posto dei meccanismi di stampa, per poi incorporare direttamente nel computer circuiti in grado di pilotare un monitor (incidentalmente rendendo popolare anche la tastiera come mezzo primario di input).
Arriviamo così al passaggio successivo e rilevante: l’era dell’informatica di massa e del videogioco, arrivando anni ’70 e ’80: in quest’epoca tutti vogliono un home computer e tutti hanno un monitor in casa: la loro TV.
Per moltissimi utenti degli anni ’80 (ironicamente, questo è accaduto di nuovo negli ultimi anni con televisori dall’ingresso HDMI usati come monitor per PC) il primo monitor è stata una vecchia TV a tubo catodico e il primo contatto con i videogiochi in generale è stato un cabinato da sala giochi, in bianco e nero con qualche “sporco trucco”.
Se nell’era hobbistica era possibile procurarsi un monitor da videosorveglianza e usare quello, nell’era dell’informatica “domestica” il fai da te non solo era soluzione appropriata, ma approvata.
Il mondo del colore e del bianco e nero
Negli anni ’70 era ancora frequente imbattersi in macchinette arcade di tipo “cocktail”, ovvero col tavolino in piano, come Moon Base (1979, Nichibutsu), basate su un tubo catodico in bianco e nero con una copertura colorata in sovrapposizione per simulare immagini colorate.
Era del resto quello che accadeva nelle case americane quando venditori poco scrupolosi vendevano fogli di plastica colorata da attaccare davanti alle TV per “dare colore alle immagini”.
Generalmente parlavamo di fogli colorati attaccati davanti alle TV con tre colori: blu in cima, color carne al centro, verde giallastro in fondo, in modo da simulare un’atmosfera rurale all’aperto, con risultati risibili.
Per molto tempo un monitor in bianco e nero si rivelò la scelta migliore, anche perché garantiva un testo molto più chiaro anche quando divennero disponibili i primi tubi catodici a colori, che separavano i colori con una “griglia” inserita dietro i fosfori in modo da guidare il raggio di elettroni.
I due tipi principali di maschere di separazione sono la aperture grille e la shadow mask.
La Aperture Grille, presente dagli anni ’60 ha una una griglia di sottili fili verticali interposta tra i cannoni elettronici e i fosfori dello schermo, con rettangoli di colore primari disposti su file continue verticali, ed è tipica dei monitor Trinitron della SONY e derivati successivi, come il Diamondtron, mentre la Shadow Mask, presente dagli anni ’30, ha una serie di piccoli forellini.
Ovviamente la necessità di una maschera rende la possibilità di avere colori brillanti, ma la sua assenza sui monitor in bianco e nero crea contorni più definiti: motivo per cui hanno continuato ad esistere giochi in bianco e nero fino agli anni ’70 inoltrati, molti “portabili” degli anni ’80 erano equipaggiati con piccoli monitor in bianco e nero e perché molti computer come l’Apple II fossero creati in modo da escludere il colore.
Prova ulteriore di questo potete averla con l’SX64, “portabile” di casa Commodore con un piccolo monitor CRT integrato la cui maschera di separazione causava una visualizzazione imperfetta dei testi.
La presenza di diversi standard di trasmissione per il colore si tradusse in una peculiarità dell’informatica degli anni ’80 che i più anziani di voi ricorderanno.
Esistevano diversi standard televisivi per la trasmissione del colore: l’Americano NTSC, l’Europeo PAL e il francese SECAM (usato anche in Russia e nelle ex colonie Africane).
Questo si traduceva nell’esistenza di console e computer costruiti per avere output in quei formati.
L’Atari 7600, il Nintendo NES, il Commodore 64, l’Apple II e molti computer e console dell’epoca venivano prodotti per i diversi mercati supportando i diversi sistemi di trasmissione del colore, creando una barriera di fatto all’importazione dei giochi e dei programmi attraverso diversi paesi.
Un gioco PAL non avrebbe funzionato in modo affidabile su una console NTSC o viceversa, e il supporto per gli standard televisivi rendeva possibile usare vecchi televisori come primo, e spesso unico monitor.
L’esempio che abbiamo visto su questi schermi è il Commodore 64: nativamente supportava il formato LCA, un parente dell’S-Video in esso convertibile e il videocomposito, ma anche il pieno supporto per un modulatore antenna.
Chi non poteva permettersi il monitor Commodore dal formato adatto poteva usare una TV compatibile, con un po’ di fortuna in formato composito o S-Video, nella media dei casi col modulatore antenna e sintonizzato su un canale analogico.
Vi erano formati indipendenti dalla codifica l’RGB Analogico, l’RGB Digitale (sovrapponibile col CGA) e i formati EGA e VGA, usati ad esempio dai PC compatibili e da console ma non tutti, che “spediva direttamente” i colori al monitor senza l’intermediazione della codificazione e rendendo più facile, ad esempio, scambiarsi giochi in tutto il mondo tra utenti di IBM Compatibili.
Cosa comporta tutto questo?
Torniamo a bomba a quanto espresso in anticipo: perché cabinati e console domestiche vintage esprimono il loro meglio con monitor a tubo catodico. Semplicemente quando i programmatori hanno creato quei giochi, li hanno collaudati e testati con la tecnologia disponibile all’epoca.
Il gioco medio era scritto con hardware performante per funzionare decentemente su hardware inferiore. Chi vendeva e produceva giochi sapeva che molti si sarebbero fermati alla vecchia TV della nonna, e quindi non si aspettava di trovare un monitor professionale come quello che stava usando.
Ma come come vedremo, in fondo la differenza qualitativa per l’utente finale non era così evidente da giustificare un enorme adattamento.
Troverete infinite raccolte su Internet che mostrano scene di giochi d’epoca visualizzati su un monitor LCD e su un monitor CRT: attraverso una maschera di separazione quelle piccole sfocature dei fosfori eccitati dal raggio luminoso compongono un’immagine complessivamente più simile a quello che gli originali creatori avevano in mente.
Per quanto un moderno LCD raggiunga risoluzioni superiori con una spesa inferiore, alcuni giochi sfruttavano all’osso le imperfezioni dei vecchi CRT: il “rumore di fondo” creato usando connessioni come il formato composito o l’analogico via antenna, uniti alle peculiarità dei monitor, consentivano ad esempio di creare trasparenze quasi perfette, come cascate e giochi d’acqua.
Inoltre molti utenti vi diranno che il “nero” su un CRT è più marcato di un LCD e pari o superiore ad un OLED: come negli OLED che accende solo i pixel che gli servono un CRT “accende” solo i fosfori che compongono l’immagine.
Il “nero” di un LCD è pur sempre macchiato dalla retroilluminazione diventando una sorta di grigio assai scuro, mentre il nero di un OLED e un CRT è assenza di luce e colore, quindi un nero più apprezzabile.
E non solo.
Altre cose che funzionano meglio su un CRT: all’inseguimento dello “zero lag”
Un altro esempio di “tecnologia perduta” a causa dei CRT è la “light gun”, il gioco mediante pistole elettroniche da attaccare alle console. Ci siamo tornati con console come Wii, WiiU e Switch, ma sui giochi vintage con un monitor moderno non funzionerà.
Il motivo è quello descritto nel film “Summer Wars”: il raggio di un elettrone che si muove rapidamente a zigzag è quasi istantaneo, e i giochi per “Light Gun” (come lo “Zapper” Nintendo e la “Light Phaser” SEGA) funzionavano con un fotodiodo nella pistola.
La pistola funzionava come un odierno termometro portatile, entrato agli allori della cronaca per la pandemia da COVID19: laddove un sensore nei termometri portatili individua il calore sottoforma di radiazione, un fotodiodo registrava un brevissimo, impercettibile lampo luminoso localizzato in un quadrato (la “hitbox”) sul monitor, disegnato da quel “pennello elettronico” in modo troppo rapido per essere percepito dall’occhio umano.
Il gioco faceva un controllo rapido: tasto sparo premuto su fotodiodo acceso equivaleva a colpo riuscito, tasto sparo premuto su fotodiodo spento significava colpo fallito.
I moderni monitor LCD e OLED hanno un impercettibile “lag”, ovvero differenza tra la ricezione del comando e l’accensione dei pixel, data dal bisogno di decodificare quelle istruzioni.
L’occhio umano non è equipaggiato per distinguerla, quindi avere un CRT non vi renderà giocatori superiori, ma è più che sufficiente perché il fotodiodo si attivi fuori sincrono ed ogni singolo colpo anche riuscito risulti fallito.
Un CRT per motivi d’epoca nasce inoltre con tutti gli input necessari ad un “retrogamer”: una TV o un monitor moderno stanno escludendo sistemi desueti come il videocomposito e l’S-Video in favore dell’ormai ubiquitario HDMI.
Su un CRT è più facile trovarsi dinanzi almeno formati “legacy” come composito, S-Video o antenna (PAL, SECAM e NTSC) oppure il formato RGB o a componenti, cosa assai improbabile su un monitor moderno, oppure è ancora più facile reperire un monitor VGA da usare sugli ancora ubiquitari computer di solo venti-trenta anni fa, oppure per cimentarsi su un PC che abbia ancora la VGA.
Inoltre proprio perché parliamo di giochi progettati sul CRT non sono esclusi artefatti o qualche “differenza” grafica su hardware moderno.
Cosa che diventa ad esempio un problema per chi ha vecchi cabinati da sala giochi: possono essere riadattati per l’uso di monitor moderni ma si vedrà la differenza.
Questo parlando di videogiochi e programmi: se vogliamo dedicarci alla visione di vecchi film, magari su VHS, usare un CRT col corretto rapporto di aspetto restituisce una visione più simile a quella della vostra infanzia, il che ci riporta ad uno dei motivi principali per scegliere un CRT, la nostalgia
Un ulteriore motivo se hai fatto trenta, puoi fare trentuno. Se hai speso tempo e risorse per munirti di una console d’epoca, di un computer d’epoca, di dispositivi audiovideo d’epoca, la tentazione di avere il set completo è umana. E comprensibile: semplicemente l’essere umano è una creatura di abitudine, e il collezionista uno “peggiore” di tanti altri.
Investire anche cifre di denaro cospicue per un buon videoregistratore, un computer d’epoca, una collezione di film e videogiochi o uno qualsiasi tra i media dell’epoca per poi scoprire che non si vedono allo stesso modo è un affronto emotivo al quale il collezionista medio difficilmente è disposto a soprassedere.
Entriamo nella teoria del costo irrecuperabile: se il tuo obiettivo di collezionista era non solo esibire scatole su uno scaffale, ma fruire dei media dell’epoca, aver riempito casa di cassette e videogiochi vintage è di stimolo a cercare di visualizzarli come all’epoca.
Quindi, a meno che di rivendere tutto, rischiando di andarci in perdita o rompere l’illusione, provi la tentazione di “percorrere quell’ultimo miglio” e coronare una collezione.
Esattamente come chi ha visto un brutto film fino alla metà del secondo tempo non spegnerà ma la TV ma “vedrà almeno il finale perché ci sono quasi” per poi lamentarsi sui social o chi ha perso una serie di scommesse probabilmente non lascerà il tavolo da gioco se non dopo la batosta definitiva perché “Tanto mi restano solo due spicci in tasca, tanto vale tentare di recuperare”.
Quindi mi stai dicendo di comprare un CRT?
La risposta è “ni”.
La risposta più estesa è, ovviamente dipende da quello che vuoi farci e quanto sei disposto a spendere.
I CRT sono ormai una risorsa finita: abbiamo smesso di produrli. I monitor a schermo piatto semplicemente costano meno a parità di risoluzione e ormai raggiungono risoluzioni superiori.
È come se tu mi chiedessi insomma se vale la pena comprare un’auto d’epoca. Chi scrive questo pezzo per Bufale è il gestore di una rubrica sul Retro, è ovvio che se tu mi dicessi “Dovrei comprare un’auto d’epoca?” io ti direi “Certo figliolo”
Poi ti chiederei se pensi di riuscire a permetterti un’auto d’epoca, se sei in grado di guidare un’auto d’epoca, se saresti in grado di riparare un motore d’epoca o trovare qualcuno in grado di farlo al tuo posto e per quanto tempo tu pensi di poterti riuscire a permettere la manutenzione e il reperimento dei ricambi per tenerla attiva.
La stessa cosa si applica ai monitor CRT oggi.
Il numero di oggetti che richiedono le connessioni “legacy”, antiche, peraltro comunque presenti su alcuni monitor e TV anche se usate sempre meno si stanno riducendo sempre più, e quelli che li richiedono hanno ormai equivalenti moderni, come l’Atari 2600+ in prossima uscita, il The64 (e il suo “cugino ricco Ultimate 64”), l’Amiga 500 Mini e la pletora di “miniconsole” che emulano le console datate ma con uscita HDMI.
Per un prezzo infimo, parliamo dai 20 ai 50 euro, è ancora possibile trovare nel mercato dell’usato un monitor Samsung Syncmaster 910 MP, monitor LCD del 2005 con tutti i connettori che potrebbero servirvi, ovvero SCART, VGA, Composito ed S-Video, in grado di funzionare senza sforzo con tutte le console, videoregistratori e computer d’epoca e, con l’aiuto di un Videoregistratore usato come sintonizzatore analogico, con le console più datate ed economiche degli anni ’70 e ’80.
Ma coi problemi che abbiamo già visto: neri carentucci, nessun supporto per la light gun, un’esperienza grafica diversa rispetto all’originale e quel’impercettibile lag.
Di tanto in tanto saltano fuori annunci di vendita su portali di eCommerce cinesi di “nuovi monitor e TV CRT”. Si tratta però di assemblaggi di tubi catodici di recupero con logiche di controllo nuove, problema vedremo nel capitolo dedicato alla “lista dei no” non da poco.
Quindi se volete l’esperienza più autentica possibile, dovrete passare necessariamente da un monitor o una TV CRT.
Quale scegliere?
Un errore assai comune è incaponirsi sul santo Graal del CRT: i Sony PVM. PVM è la sigla che sta per “Professional Video Monitor”, la linea “lussuosa” di Trinitron che SONY vendeva per scopi prettamente professionali, come il montaggio audiovideo, la videosorveglianza, l’uso in stazioni televisive o in medicina.
Un Sony PVM, spesso rimarchiato Olympia e dipinto di bianco era il tipico monitor da ospedale dove serviva la massima precisione e la capacità di accoppiarlo a diversi sistemi.
Un PVM arriverà in tutte le taglie e con una pletora di input e formati, digerendo S-Video, Composito, RGB e/o Component, PAL, NTSC e SECAM e consentendo di selezionare tra le diverse fonti e collegarlo ad altri monitor a catena.
Ma arriverà anche con un prezzo elevato per un hardware datato, parliamo di una media di 300 euro e più per un 14 pollici degli anni ’80 e ’90 (spesso arrivando al migliaio di euro e oltre per un PVM particolarmente “pregiato”) e l’elevato rischio di trovarsi un tubo catodico consumato, condensatori arrivati alla fine del loro ciclo vitale e altri problemi che affronteremo.
In realtà lì fuori nel vasto mondo ci sono una infinità di televisori CRT e monitor per uso consumer e prosumer (consumatore e consumatore abbiente) con tubi catodici non meno buoni e con tutti gli input che possono servirvi, cosa che consente di abbattere il costo.
Viewsonic e NEC/Mitsubishi hanno continuato a produrre monitor professionali assai simili (il Diamondtron Mitsubishi è un Trinitron rifatto a scadenza del copyright) fino alla fine dell’era catodica, e diversi monitor iconici, come il Commodore 1702 sono in realtà JVC rimarchiati, e JVC ha prodotto monitor in proprio.
Inoltre ogni singolo televisore di buona qualità può diventare il “pregiato monitor da retrocomputer” che cercate, e buona parte delle TV prodotte per il mercato Europeo supportano già il formato RGB mediante la presa SCART da noi ubiquitaria, mentre in sua assenza ci sono diverse tecniche per inserire la funzione bypassando il cosiddetto “Jungle Chip”, integrato che converte il segnale composito nelle sue parti RGB e che può essere, a seconda del modello, aggirato per dotare anche una umile TV domestica di più ingressi del dovuto.
Il miglior monitor CRT che possiate usare per il vostro setup è il monitor che potete permettervi, possibilmente che non sia visibilmente logorato, con segni di burn-in o colori smorti, e che accetti i formati che vi servono.
Ancora possibilmente, anzi, auspicabilmente, il monitor che potete permettervi da un venditore che accetti di farvelo vedere acceso e funzionante.
Per un fattore nostalgia potreste ricordare che la presenza di Mivar in Italia e la fedeltà assoluta del Commendator Vichi alla tecnologia CRT ha inondato per decenni il mercato italiano di televisori a basso costo che dovrebbero rendere il reperimento di un CRT facile.
Forse. Infatti ora siamo nel campo della negatività, e i “bagarini della nostalgia” si spingono sovente a rivendere persino il più umile dei “Mivar da cantina” a prezzi da PVM.
Motivo in più per confrontare i prezzi prima di comprare.
Perché invece non dovreste comprare un CRT
Come molte cose nella vita, la perfezione richiede impegno. Se non siete pronti ad investire il denaro necessario al monitor dei vostri sogni o se, avendolo trovato a poco prezzo, decidete di non avere spazio, tempo e la capacità di effettuare le riparazioni del caso, forse non dovreste.
Sarebbe come decidere di comprare una macchina d’epoca per poi lasciarla marcire in garage e decidere che al primo problema tecnico la butterete in cortile: non ne varrebbe la pena.
Vi abbiamo spiegato in questa rubrica come dedicarsi al retrocomputing richiede la scelta tra due soluzioni entrambe problematiche: accettare di comprare riproduzioni di hardware antico o adattamenti alle nuove tecnologie che non sempre sono all’altezza di un nobile passato ormai trascorso, oppure accettare di comprare hardware d’epoca sapendo che il tempo lo ha logorato e reso bisogno di riparazioni spesso onerose o difficili.
Comprare online un buon CRT è rischioso per due motivi: non lo vedi funzionare e sfidi il trasporto.
Se i CRT venivano venduti nei negozi in pallet con scatolone piene di polistirolo e trasportati con cura esiste un motivo: un CRT può partire intatto e arrivare sgretolato, complici imballi improvvisati e plastiche ormai invecchiate.
Oppure può arrivare col tubo catodico con visibili tracce di “burn-in”, ovvero i fosfori consumati in modo irregolare, condensatori andati o il giogo di deflessione cotto dal tempo.
Ricorderete la vecchia TV della nonna teledipendente che continuava a mostrare il “fantasma” del logo di Rete 4 nell’angolo del display anche cambiando canale, perfino spegnendola, bruciato a forza dopo decenni di telenovelas.
Gli screensaver e il “demo mode” sulle console da Sala Giochi (quello che mostrava scene del gioco) esistevano non solo per la privacy e per invogliare i giocatori, ma per cercare di logorare in modo costante e uniforme i fosfori di un tubo catodico anziché lasciare antiestetiche macchie.
Più si risale nel tempo alla ricerca di un esemplare pregiato, più aumenta il rischio di strapagare un tubo catodico macchiato o così logoro che, anche portando la luminosità al massimo, mostri immagini ormai sfocate e fioche.
Con un po’ di fortuna basterà rifare qualche saldatura e tutto tornerà a posto: ricorderete anche voi la vecchia TV di casa dei nonni la cui immagine “collassava” in una linea orizzontale e si rianimava dando dei colpi sul lato, problema causato da saldature già deboli di fabbrica logorate da anni di surriscaldamento e risolvibile ripassandole con stagno fresco. Ma se fortuna non avete, servirà qualche intervento da un tecnico che probabilmente non conoscete.
L’arte della costruzione dei tubi catodici è andata perduta col tempo, ed anche l’arte della riparazione: se un tempo erano comuni negozi e laboratori in grado di riparare e revisionare vecchie TV, oggi ogni volta che un anziano riparatore va in pensione, al suo posto arriva un tecnico nato direttamente nell’era degli LCD che non saprebbe dove mettere mano.
Inoltre, i CRT più recenti hanno dei menù per la regolazione accessibili dal telecomando o dal frontale: i più datati richiedono di aprirlo e pasticciare con potenziometri all’interno e spostare il giogo di deflessione fino all’aspetto il più perfetto possibile.
Cosa complicata dal fatto che i tubi catodici funzionano con tensioni elevatissime ed essendo il tubo catodico un enorme condensatore le conservano fino alla scarica: aprirli e lavorarci su in modo imperito significa rischiare la scossa elettrica.
Inoltre se nessun problema sorge per le vecchie TV e i monitor con un altoparlante incorporato, la stessa tecnologia del tubo catodico rende impossibili usare altoparlanti da PC moderni: i più anziani tra voi ricorderanno aver rischiato di rovinare più di una TV giocando a poggiare calamite sul tubo catodico per vedere i colori cambiare.
Le casse moderne sono costruite con in mente un monitor a schermo piatto moderno: bisognerà quindi cercare casse schermate o casse altrettanto vintage, con un buon compromesso dato dalle Bose Companion 2 Serie II prodotte dal 2006 al 2015 (periodo in cui sono scomparsi i CRT).
Abbiamo parlato delle “nuove TV e monitor a tubo catodico made in China”: come detto in realtà quello che rischiate di ottenere è una combinazione di tutti questi fattori.
Tubi catodici nuovi nessuno ne fa: con un po’ di fortuna la TV che avrete comprato ha un tubo catodico mai usato o poco usato. Con sfortuna un tubo ormai sbiadito e consumato, applicato ad una logica nuova ed un guscio nuovo, spedito attraverso oceani e continenti di distanza con risultati incerti.
Potrebbe quindi arrivarvi un monitor logoro, distrutto o ambo le cose.
Come posso sostituire un CRT?
Abbiamo visto che un CRT funzionante ha degli eccellenti vantaggi. Potete comunque approssimarli in qualche modo: dispositivi come i RetroTink consentono di connettere il vostro hardware vintage a monitor moderni, correggendo al volo la risoluzione e simulando tutti gli effetti che imitano l’aspetto fisico del gioco d’epoca, comprese le iconiche linee di scansione e gli artefatti dovuti alla maschera di separazione, mentre dispositivi opensource come RGB2HDMI consentono di tradurre l’RGB digitale, come la CGA dei vecchi PC, in HDMI.
Una soluzione ancora più economica, ma priva di quelle finezze, è tollerare le differenze tra i due sistemi e trovare una TV abbastanza datata da avere tutti gli input che desiderate ma non troppo per essere a sua volta logora e ormai inefficace.
In ogni caso, una soluzione moderna non sostituirà mai alcune delle idiosincrasie tipiche del CRT, dal tempo necessario per “scaldare il tubo” all’accensione fino al leggero ronzio elettrico udibile solo con orecchie ancora “giovanili”.
Ma del resto, è la differenza tra il voler guidare una vettura d’epoca o una vettura nuova ma con tocchi d’epoca come volante in cuoio e plancia personalizzata.
Cosa posso fare con un monitor o una TV CRT?
Ovviamente, collegarla alle tue console vintage o ad un videoregistratore. Oppure, usando appositi adattatori da HDMI a S-Video o Composito, usare un decoder per il digitale terrestre o un Fire Stick e provare l’emozione di guardare la TV come si faceva un tempo.
Con Fire Stick hai anche il vantaggio di poter usare un vecchio CRT, specie se piccoletto, come un Amazon Echo dal sapore vintage.
Il che incidentalmente ci porta ad un altro motivo per inseguire il setup “stile antico”: come tra la scelta se guidare un’auto moderna o un’auto d’epoca, l’effetto nostalgia.
Alla fine della fiera probabilmente tornerete al più economico (perché più economico lo è) e pratico 4K della vostra TV domestica, lavorerete in ufficio con monitor moderni risparmiandovi qualche mal di testa e il più delle emittenti ormai trasmette in 16:9 e non in 4:3.
Ma come collezionare le gomme del Mulino Bianco, guardare una vecchia trasmissione, un vecchio film o osservare un videogame in 4:3 su uno scatolone ronzante con ampio spazio per i centrini della nonna è subito nostalgia.
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