Tutti pazzi per il vinile, e non è solo una questione di audiofili incalliti. Nel 2022 sono stati venduti circa 41 milioni di album in vinile, rispetto ai 33 milioni di CD, con un sorpasso arrivato in anni di tallonamento.
La moda del retro che ci ha portato ad esempio a tentativi di convincerci che si possa comprare un Commodore 64 a 1000 euro o una imitazione (non del tutto) perfetta di un PC IBM XT a 300 euro ha contribuito a popolarizzare la vendita dei dischi.
45 e 33 giri sono definitivamente usciti dai mercatini dell’usato per tornare in pompa magna nei negozi (da dove, va detto non erano mai andati via) e persino nelle edicole, questa volta eredi del concetto di album come collezionabile.
Siamo nell’era della digitalizzazione: con dieci euro di abbonamento mensile ad Amazon Prime Music e/o 11 di Spotify Premium puoi avere una libreria pari a tutta la musica che prevedi di ascoltare in questa vita e nelle prossime, ma quello che non puoi avere è il “collezionabile”.
Parliamo dell’oggetto da scaffale, la colorata confezione di “feelies”, gadget che riempiono il vostro armadietto musicale, spesso un “tutt’uno” col mobile dove è custodito il vostro impianto stereo, il “possesso” che l’era digitale ti ha strappato assieme alla gioia di esibire la propria collezione agli amici.
Possesso che sì, viene conservato dal CD, ma il vinile ha riguadagnato col tempo un’aria di sofisticazione che la bolla del vintage ha riportato in auge.
Per un lunghissimo periodo della storia dell’umanità esisteva un solo modo per diffondere una melodia: suonarla di nuovo, facendo circolare gli spariti (la cosa più antica e simile ad uno spartito è l’Inno a Nikkai del 1400 prima di Cristo, trovato in Siria).
Una “scorciatoia” accettabile era creare oggetti meccanici che suonassero per te, come i carillon e i pianoforti meccanici, strumenti in grado di suonare musica “guidati” da cilindri chiodati, dischi perforati o nastri di carta perforati non dissimili da quelli dei primi elaboratori.
Ma tutto questo rimandava il problema e non la risolveva: ogni volta che volevi ascoltare una melodia, qualcuno doveva cantarla o suonarla per te, o ti toccava intrattenere e intrattenerti con un carillon.
Le cose cambiarono per sempre quando un certo Thomas Alva Edison, nella pratica il Bill Gates dell’epoca (buon inventore, brillante uomo di affari odiatissimo da picchiatelli, complottisti e schizzati convinti che avesse rubato a Nikola Tesla il segreto per far esplodere la testa a tutti i cattivi dei Poteri Forti), nel 1877 inventò il fonografo.
Osservando un ripetitore telegrafico di sua invenzione Edison ebbe un’improvvisa epifania: incidendo su un rullo una spirale, si otteneva qualcosa in grado di suonare come la voce umana. Nel 1860 un certo Édouard-Léon Scott de Martinville era riuscito a “disegnare” su un foglio di carta le vibrazioni emesse da rumori come strumenti e voci umane: Edison capì che se potevi registrare, potevi riprodurre.
Bastava avere lo strumento adatto, che nel suo caso fu un cilindro di stagnola e diventava possibile ripetere il passaggio inverso: passando da suono a ondulazione su un cilindro a viceversa. Se una puntina poteva incidere un solco su un materiale, una puntina poteva ripercorrere quel solco e trasmettere quelle vibrazioni in forma di suono.
Non è scopo di questo articolo tediarvi coi dettagli più tecnici: vi diremo solo quello che serve a capire come ascoltare la musica in modo migliore. Quindi vi diremo che ogni singolo formato successivo nasce dalla stessa intuizione alle spalle del fonografo di Edison.
Le vibrazioni sonore incidono un solco, quel solco viene riprodotto. Solco presente in una forma fisica su cilindri fonografici e dischi in lacca e vinile, sui nastri magnetici di bobine e cassette (dove una testina magnetizza in modo diverso della polvere magnetica su un nastro che una testina di lettura “riconvertirà in audio”) e persino i formati digitali, dove le onde sonore, captate dal microfono, divengono una sequenza di uno e zero da leggere e riconvertire in onda sonora, banalmente parlando.
Intorno al 1910 prese piede un formato già nato come evoluzione del cilindro di Edison: il disco di lacca da 78 giri.
Il 78 giri aveva una serie di vantaggi: era più facile da conservare (un cilindro dovevi avvolgerlo nella stoffa e riporlo in un contenitore di cartone sperando di non graffiarlo, un disco potevi inserirlo in una busta di carta e impilarlo sugli altri), e ottenere la rotazione da 78 giri era semplice con un motore da 3600 giri al minuto e una ruota dentata da 46.
Fino all’arrivo dei 45 e dei 33 giri, ovviamente il disco si chiamava solo “il disco”, e l’assenza di uno standard fisso rese possibile l’esistenza di 80 giri accanto ai 78 giri.
Il materiale di elezione dei 78 giri era la gommalacca, in un’era in cui non trovavi di certo il video in cirillico a dirti che siccome la gommalacca è fatta dagli insetti è colpa del complotto dei poteri forti. Era un materiale abbastanza robusto per essere usato, ma non così robusto per reggere a impatti casuali e una conservazione meno che pignola. I dischi in gommalacca resistevano all’umidità ma non agli impatti, e il materiale rigido era parte del motivo per cui i 78 giri si dice abbiano più rumore di fondo del 33 e del 45 giri. Del resto parleremo nella parte centrale di questo articolo.
Edison propose 78 giri incisi in Amberol, una particolare plastica, e durante la seconda guerra mondiale a fronte furono spediti 78 giri stampati in vinile nella speranza che la spedizione rude dovuta al conflitto li risparmiasse. Cosa questa importante come vedremo.
Già nel 1930 già gli editori avevano messo gli occhi sul vinile, ma il costo ai tempi della Grande Depressione, della guerra prima, li rese proibitivi. Il grammofono (seguito poi dai giradischi con amplificazione elettrica) e i 78 giri continuarono ad essere l’unica alternativa economicamente possibile per molto tempo.
Solo nel dopoguerra fu possibile far ripartire la ricerca e la spesa su cose più “voluttuarie” come i dischi, arrivando nel 1948 al primo “disco a microsolchi infrangibile”, il formato LP, per gli amici il 33 giri e il formato 45 giri.
Nasce anche col vinile il concetto moderno di album: una raccolta di uno o più dischi in una copertina con testi e illustrazioni, creando una guerra dei formati che si “stabilizzò” nella forma attuale, col 33 giri dedicato ad album e raccolte e il 45 giri perlopiù dedicato al singolo ed alla musica per juxebox.
E qui, senza pretesa tecnica, arriviamo all’ascolto.
Immaginate di essere una giovanissima fan dei Musicarelli di Gianni Morandi nel 1960, o un baldo giovanotto amante delle feste nell’Italia del Boom e del Primo Miracolo Economico dopo il dopoguerra.
Avete quindi non in abbondanza, perché siete nel periodo storico in cui gli italiani piano piano smettono di essere “poveri ma belli” e cominciano a farsi i soldi per permettersi le vacanze in 600, la musica in vinile, la TV e il frigorifero.
Complimenti, avete maggiori possibilità di ascoltare un disco in vinile o in gommalacca nel modo “previsto” rispetto ai futuri nipoti che non sapete ancora di avere che, pur avendo più possibilità di voi, hanno meno strumenti da usare e sono inclini ad essere ingannati dal mercato.
La più economica delle “fonovaligie” d’epoca, il giradischi trasportabile più comune per chi non poteva permettersi un impianto stereo, arrivava già col suo bravo motorino regolabile a 33, 45, 78 e 16 giri (un formato più raro, divenuto subito desueto) e una doppia testina metallica, microsolco per 33 e 45 giro, dimensione standard (come quella del grammofono e dei primi 78 giri) per gli altri.
Perché qui casca l’asino.
Molti dei giradischi in commercio venduti come multiformato, ovvero con la velocità a 78 giri selezionabile, arrivano con solo la testina da 33 e 45 giri.
E nessuno che ti dice di doverla cambiare (anche per i modelli che consentono di farlo).
È semplicemente impensabile ascoltare un 78 giri con la “puntina” di un 45 giri. Buona parte delle lamentele di chi è convinto che semplicemente i 78 giri “non suonino bene e siano pieno di rumori” derivano dall’aver comprato una moderna fonovaligia economica ed essersi incaponiti sull’uso di una testina da microsolco su un solco ben più grande (un millimetro contro tre), perdendo in precisione e potenzialmente accelerando il degrado del disco stesso.
Per capirci, immaginate di avere una pista per le macchinine e delle macchinine visibilmente più piccole della canaletta nella pista. Una macchinina sottodimensionata probabilmente riuscirà a muoversi nella pista, ma sbatacchiando nella canaletta in modo incontrollabile e rischiando di uscire di pista ad ogni curva.
Precisando e tornando al caso concreto: un solo ascolto casuale, una tantum, non dovrebbe danneggiare il disco, ma tra l’equalizzazione non standard (l’equalizzazione RIAA “moderna” fu introdotta nel 1955) e l’uso di una testina platealmente inadatta l’ascolto risulterà sonoramente lontano dalla qualità massima raggiungibile e macchiato da schiocchi e rumori che un inesperto attribuirà sicuramente al “disco troppo vecchio”… e probabilmente lo farà anche chi vi ha venduto il giradischi se intenzionato a difendere la qualità del proprio prodotto, specie se un prodotto assai economico e senza la possibilità di cambiare la testina per una adatta.
A volte, nel retro, antico è meglio. Proprio perché nel ’60 il disco era diventato un bene diffuso, c’erano diverse marche anche italiane che producevano giradischi di tutti i tipi.
Considerando questa guida rivolta ad un hobbista medio e non un audiofilo, che storcerà sicuramente il naso perché sa già cosa comprare, quando comprare e che dovrà spenderci moltissimi soldi, chi vi scrive può confermarvi che è ancora possibile recuperare una fonovaligia Geloso e farla rimettere in sesto per poco meno del costo necessario a comprare una riproduzione economica e spesso assai deludente.
Buona parte delle fonovaligie replica moderne sono fatte con lo stesso meccanismo economico piantato su un amplificatore economico, che con un po’ d’occhio allenato non è difficile da riconoscere.
Parliamo di una meccanica da 6 euro in tutto piazzata al cuore di tutti i “giradischi retro” da 50 e 60 euro che potreste trovare sui soliti portali economici, col risultato che ne prevedete. Audio deludente, la promessa di leggere qualsiasi cosa dal 45 al 78 giri, ma mantenuta leggendo male i primi e in modo assai deludente i secondi per mancanza anche solo della possibilità fisica di usare la puntina giusta.
Anche con marche più “di reputazione” potrebbe capitarvi la riproduzione vintage problematica, come capitato ad un recensore la cui fonovaligia Crosley (tra i marchi più diffusi di “repliche di fonovalige vintage”) aveva il bordo del coperchio che, aperto, sfregava sul disco rallentandolo.
Chi più spende meno spande: buone idee per ascoltare la propria musica, o la nuova musica, e farlo con uno stile retro è rinunciare alla fonovaligia e comprare un Audio Technica del modello AT-LPxx (non ci pagano per dirlo) rinunciando ai 78 giri per una somma dai 150 euro a salire a seconda del sottomodello.
Se siete interessati a giradischi moderni troverete ottime guide o, se volete, potrei chiedere in futuro consigli per gli acquisti alla nostra rubrica musicale del buon Luca Mastinu. Parlando del retro, il target di riferimento non è tanto l’audiofilo ma quello che vuole ascoltare un disco vintage del Clan Celentano e farlo in stile.
Ti ho spiegato che al momento non ne hai bisogno. Ma se proprio volessi qualcosa nel settore retro si muove, almeno per i giradischi come vedremo, e lo fa proprio dal Giappone, dove, solo su importazione (ma io stesso sono riuscito a mettere le mani su uno da Amazon Jp) è possibile acquistare un Anabas GP-N3P, perfetta riproduzione migliorata del Columbia “Freestyle” GP-N3P.
Sia pur con le dovute differenze, il Freestyle è stato prodotto negli anni ’80 e la fonovaligia Italiana media risale ad almeno venti anni prima, il Freestyle era la fonovaligia per una intera generazione di Giapponesi, e Anabas ha semplicemente reinventato lo strumento senza cambiarne la forma.
Di fatto stiamo parlando dell’unica riproduzione 1:1 di un oggetto vintage che ha senso avere in collezione e, anzi, l’unico oggetto che nell’uso da collezionista ha più senso avere del Freestyle originale.
Tutto dell’Anabas GP-N3P replica perfettamente il modello base del Freestyle (salvo, ovviamente, le immancabili edizioni limitate dell’epoca come quella dedicata a Cornelius, noto musicista attivo dagli anni’90 ad oggi ma noto perlopiù in oriente), salvo con un’elettronica ridisegnata (ora l’uscita audio-cuffia mono è stereo, consentendo l’uso di cuffie di buona qualità o persino adattatori Bluetooth) e una testina Audio Technica ATN-3600L sostituibile con una buona manualità, o in un qualsiasi negozio di Hi-Fi.
Ovviamente, parliamo di un oggettino dal sapore vintage, con un prezzo che si aggira, importato, intorno ai 200 euro (quindi superiore ad un lettore da tavolo Audio Technica) ma che, almeno, renderebbe un’ipotetica esperienza anni ’80 o da picnic Italiano anni ’70 (del resto, il design industriale anni ’80 Giapponese era ancora molto influenzato dall’Occidente di pochi anni prima) più godibile e completa, dandoti la possibilità di scegliere tra batterie e alimentatore e la possibilità, complice un “gancio” fornito di serie e un braccio dal peso fisso e non regolabile di 5g circa, di suonare 45 giri sia in orizzontale che in verticale.
Cosa che negli anni ’80 lo rese il simbolo del futuro “lo-fi” alla Giapponese, consentendo a generazioni di studenti di poggiarlo in verticale sulla scrivania per aiutarsi negli studi e generazioni di famiglie di poggiarlo su una tovaglia da picnic senza salti.
Il prezzo, per quanto alto presenta un vantaggio: nel mercato dell’usato è grossomodo lo stesso prezzo con cui in Giappone vengono venduti i Columbia Freestyle usati originali, complice la loro diffusione enorme in Giappone. Prezzo al quale ottieni la replica perfetta di un oggetto vintage, con le minime modifiche per renderlo usabile.
Unici svantaggi che mi vengono in mente da utente (assolutamente non “pagato per recensire”, si badi) è il fatto che essendo un prodotto per il mercato Giapponese, al contrario del Columbia Freestyle originale ha solo le serigrafie in lingua Giapponese (ma capisci velocemente quali sono gli unici due controlli presenti, la regolazione di velocità fine e la manopola di volume/accensione, fine), lo stesso manuale e la scatola originale sono giapponesi a imitazione del materiale promozionale d’epoca e anche l’alimentatore è un 8V a 100V in ingresso con connettore EIAJ, cosa che non impedisce di usare le sei batterie tipo Torcia oppure usare un adattatore universale con un riduttore simile.
Personalmente io stesso sto usando un buon alimentatore universale senza effetti avversi sul funzionamento del dispositivo.
Un altro esperimento vintage interessante è il “Sound Burger” di Audio Technica, mattatore del settore nostalgia, anche esso quasi riproduzione di una fonovaligia anni ’80, preceduto da una edizione limitata.
Storcerà forse un po’ il naso il purista estremo: Il Sound Burger 2023 (riedizione del 2022 limited, riedizione dell’originale) è molto più “ritoccato” del GP-N3P.
Dove Anabas si è limitata ad aggiungere l’audio stereo e le testine AT, lasciando persino inalterato il vano pile con le mezze torce dal sapore vintage (cosa che mi costringe ad averne un cassetto pieno ogni giorno), Audio Technica col Sound Burger è andata oltre incorporando batterie ricaricabili mediante standard USB-C da dodici ore e Bluetooth incorporato).
Concettualmente siamo alla differenza già vista tra i kit per ricostruire un proprio Commodore 64 da zero in un capitolo precedente, laddove puoi trovarti a spaziare dalla riproduzione fedele 1:1 alla riproduzione con preamplificatore, supporto HDMI e accessori “moderni” di serie.
Anche qui siamo ad una fascia di prezzo competitiva rispetto al mercato dell’usato, con la differenza però che siamo di fronte ad un prodotto nuovo che in comune con l’originale ha solo il nome e l’iconica forma.
Per il nostalgico “non troppo nostalgico” potrebbe essere però un gran vantaggio: anche il Sound Burger affonda le sue origini nel Giappone convertitosi al lo-fi giovanile degli anni ’80, ma al contrario dell’Anabas mostra la sua vocazione di prodotto per il mercato estero arrivando con materiale promozionale e guide in inglese e rimuovendo l’ostacolo del diverso standard elettrico con un cavo USB-C che consente di usare ogni buon caricabatterie da cellulare in vostro possesso.
Eh, in Occidente percepiamo un vistoso vuoto. A parte le citate fonovalige Crosley il mercato della nostalgia ha un marcato vuoto.
Basti pensare che probabilmente operazioni nostalgia che riportassero le fonovalige Geloso o i mangiadischi Irradio (spesso basati su meccaniche Philips) sul mercato dei nostalgici potrebbero avere lo stesso mercato delle loro controparti nipponiche, purché realizzati con le stesse condizioni (come abbiamo visto, meccaniche migliorate o aggiornate a standard moderni ma con la medesima qualità, conservazione completa dell’aspetto iconico, supporto di testine moderne), ma, come al solito, abbiamo perso un treno di nostalgia lasciato in mano ai bagarini.
Ovviamente sì, ve l’abbiamo detto, anzi, il mercato del vinile ha sorpassato quello del CD (che probabilmente tornerà in auge tra altri venti o trenta anni come alternativa alla scatolina di cartone coi codici download).
Cogliamo l’occasione per ricordarvi che solo nel 2021 la band Vaporwave e Chiptune “Nameless Dreamers” ha rilasciato (ma ora è dovrebbe essere esaurito definitivamente, vi fu un rilancio l’anno scorso) un singolo per cilindro fonografico Edison.
Sempre nel 2020 era possibile comprare un album musicale rilasciato in formato cartuccia per Commodore 64, di fatto rendendo disponibili all’ascolto canzoni in formati estinti di fatto prima che la compilation fosse rilanciata.
Nel diluvio di nostalgia legato a Barbie Mattel ha rilasciato la colonna sonora dell’iconico film su una cassetta rosa (con una variante blu per i piccoli Ken all’ascolto) echeggiante i kit di registrazione Mattel degli ’80 legati alla bambola portata sul grande schermo da Margot Robbie, e Disney le cassette audio usate da Star-Lord nei primi due capitoli di Guardiani della Galassia prima di sostituire il suo Walkman con uno Zune.
Il che ci porta a chiudere questa cavalcata nei ricordi con una enorme e triste considerazione: ovvero il motivo per cui anche se esiste un “Awesome Mixtape Vol 3” su cassetta, sulla sua scatolina è ritratto un Zune. Non solo perché Star Lord ha dovuto “evolversi” passando dagli anni ’80 agli anni ’90, ma perché anche se avesse voluto sostituire il suo Walkman, oggi non avrebbe potuto farlo.
Abbiamo visto come, in fondo, comprare un eccellente giradischi moderno sia un ottimo modo per godere della propria musica su vinile, a tratti persino su gommalacca.
La situazione con le musicassette è ancora peggiore.
Mentre nel compartimento vinili abbiamo un diluvio di dispositivi dall’aspetto vintage basati sulla stessa meccanica economica e costruiti al risparmio, presunti “compatibili 78 giri” gettati all’avventura con testine assurdamente inadatte, al momento la totalità dei nuovi lettori di cassette musicali, come evidenziato da Techmoan, si basano su una sola meccanica economica.
Unito al fatto che la complessità di un Walkman storico comporta che, assai probabilmente, comprandone uno dovrai imbarcarti nella folle impresa di sostituire cinghie e pulegge, reperire o ristampare in 3D adattatori per le batterie ricaricabili ove presenti o sperare che il vecchio proprietario non abbia lasciato batterie esauste nel vano pile alcaline corrodendo tutto ad oggi non avete un vero modo per ascoltare un album su cassette nel modo in cui i vostri genitori o voi stessi da ragazzini se avete superato i 30 da un pezzo potevate fare.
Fino al momento di un vero rilancio della cassetta fareste meglio a tenervi strettissimi quei Walkmen ancora funzionanti, o prepararvi alla consapevolezza che se i vostri nastri suonano in modo diverso non siete cambiati solo voi, ma è cambiato anche il mercato e probabilmente avreste molta più fortuna comprando un cilindro di Edison.
Se punti alla qualità assoluta non chiedere a me: abbandona le pretese di un setup che sia contemporaneamente retro e adatto alla qualità del moderno ritorno dei 45 e dei 33 giri e rivolgiti ad una guida per l’ascolto moderno, sperando di non incappare nei vari venditori di olio di serpe pronti a giurare che cambiando tutti i cavi con cavi costruiti sottovuoto in Rame preso da Atlantide durante una notte di luna piena possa trasformare l’esperienza audio.
Ma siccome sei venuto a leggere questa rubrica, e so quindi che sei quel genere di persona che probabilmente se non lo ha fatto vagheggia come costruirsi il proprio Commodore 64 “pari al nuovo” con pezzi reperibili nel 2023, saprai che recuperare una fonovaligia Geloso è il modo migliore per ricostruire l’esperienza di quegli anni.
Volendo spostarti ai picnic anni ’80, le riproduzioni Anabas e Audio-Tecnica del Freestyle e del Sound Burger passano il voto nostalgia a pieni voti, avendo, specialmente la prima, il giusto compromesso tra retrotecnologia e affidabilità (il “nuovo Sound Burger” non ha certo qualità inferiore, anzi, ma “bara” fornendoti tecnologie fuori dal tempo dell’originale).
Siamo quindi in una situazione simile a quella vista con la moda del retrocomputer vintage, con la differenza che questa volta esistono riproduzioni dei dispositivi più datati che non siano una delusione.
Se hai ancora dei 78 giri che vuoi ascoltare, e non vuoi tirare fuori il grammofono, è accettabile usare una fonovaligia degli anni ’60 e ’70, o un dispositivo moderno che consenta il cambio della testina con una puntina adatta.
Restano le minime accortezze del caso, e investire una ventina di euro in una spazzola per dischi, siano essi i dischi della nonna che quelli comprati in edicola la settimana scorsa.
Abbandonate ogni speranza per l’ascolto in cassetta, almeno al momento. In alcuni casi, nuovo non è meglio, difficilmente lo sarà ma, ammettiamolo, per un ascolto occasionale non sentirete la differenza.
Foto di copertina: Anabas
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