Ci segnalano i nostri contatti vari dubbi sul COVID19, a volte collazionati in fonte unica, a volte suddivisi.
Il dubbio è legittimo, la soluzione però va data con tecnica e pratica. Per questo abbiamo deciso di attendere, trattenerli e farli uscire tutti assieme anziché frammentati in molteplici articoli.
Perché avere una fonte unica, sovente, aiuta la discussione.
Reinseriremo alcuni dubbi di cui abbiamo parlato in passato, solo perché essi continuano, incessamente, a girare.
Siamo assai prossimi alla fallacia di falsa causa o difetto di continuità qui.
“Sapendo che se un essere umano cade nella lava muore, se cade nell’acido solforico muore, perché ci preoccupiamo della lava che è nei vulcani quando l’Acido Solforico lo trovi in ogni laboratorio che è più vicino dei vulcani?”
Sostanzialmente ogni statistica sul numero di morti impatta, cosa di cui abbiamo ampiamente parlato, su una lunga serie di fattori che impattano il campione.
Premesso questo, c’è una ragione ben precisa per la quale anche gli esperti che abbiamo interpellato (medici e virologi) giudichino senza senso il confronto tra morti per influenza in Italia nel 2018 e 2019 e le cifre emerse di recente con il Covid. La questione Coronavirus, infatti, si differenzia dall’influenza per l’assenza di un vaccino. Quello attualmente disponibile per i malanni di stagione, al contrario, fa calare sensibilmente la probabilità di beccare virus stagionali. Possibilità non azzerata, ma di gran lunga inferiore rispetto agli standard.
La “straordinarietà” del Covid-19, poi, si concentra sulla facilità con cui il virus si trasmette. Scenario purtroppo più facilmente configurabile rispetto a quanto avviene con il virus stagionale. Aspetto, questo, che ci dà un’altra chiave di lettura anche sui morti per influenza in Italia tra il 2018 ed il 2019. Infine, quest’anno l’influenza stagionale potrebbe essere meno diffusa proprio “grazie al Covid”.
In questi mesi, infatti, con il lockdown c’è stato un calo significativo di tante infezioni virali respiratorie, proprio perché non c’è stata promiscuità. Del resto, questo è lo stesso motivo per cui se si fa attenzione all’igiene, limitando di conseguenza tutte le infezioni respiratorie. Che si tratti di Covid, influenza, o semplice raffreddore. Motivo per cui i giapponesi indossano la mascherina quando hanno un raffreddore, in modo tale da non infettare gli altri, per puro spirito di civiltà.
Al mutare delle condizioni, muta il dato fornito.
E le condizioni in cui stiamo vivendo, speriamo fino alla diffusione del vaccino, sono condizioni eccezionali.
Enfasi su un confrontro diretto tra i dati delle due fonti, ovvero il dato delle morti “COVID” e “non-COVID” è, per sua stessa natura, erroneo per metodologia ancor prima che per raccolta dati.
È vero, lo sappiamo.
Ci sono studi che sembrano addirittura retrodatare il “Paziente zero Italiano” a Novembre 2019.
Ma in questo caso possiamo ricorrere ad un apologo di Guareschi: se un uomo ignorante col figlio gravemente malato, con la febbre costantemente sui 40 gradi, decidesse di spaccare il termometro e smettere di misurare la febbre, potrebbe dire che suo figlio è guarito?
Assolutamente no: la febbre continuerebbe ad esistere nel figlio ma nessuno la misurerebbe.
Un numero elevato di tamponi comporta un numero elevato di positività, ovvio.
Perché consente di mappare anche gli asintomatici, persone che anche nelle passate epidemie influenzali continuavano a vivere la loro vita.
Quante volte, in tempi pre-pandemici, avete visto un collega al lavoro continuare a timbrar cartellino dicendo “Non ti avvicinare, potrei avere l’influenza, ho preso qualche medicina?”
Semplicemente davanti ad una malattia immondamente contagiosa e per la quale i vaccini arrivano, letteralmente, col contagocce, non possiamo permetterci il costo sociale dell’asintomatico o del paucisintomatico che contagia qualcun altro che con una certa dose di sfiga non sarà paucisintomatico come lui.
Non possiamo più farlo.
Una Pandemia non è omogenea, è globale.
È una cosa assai diversa, come chiunque abbia solo fatto una partita a Plague Inc. conoscerà.
La diffusione di una pandemia può essere comodamente valutata con diversi modelli matematici, ma come è noto a tutti, citando un ormai datato anime passato in televisione anni fa
A quel tempo noi eravamo sicuri che fosse anche la verità della vita. Invece, il mondo reale è imperfetto e non esiste davvero una legge che sia in grado di spiegare tutto quanto, nemmeno il principio dello scambio equivalente.
Possiamo quindi esaminare matematicamente l’impatto dei due elementi costituiti dal numero di pazienti già infettati che, ci dimostra la scienza, conservano immunità per un periodo di tempo ancora sconosciuto nel massimo ma potenzialmente almeno pari a quello delle altre sindromi influenzali e dall’attuazione delle misure di contenimento e mitigazione del contagio.
E non solo.
Le regioni ad alta densità di popolazione registrano invece una curva omogenea.
Sullo scacchiere mondiale quindi avremo stati caratterizzati da una scarsa densità di popolazione dove, nolente o volente, il “distanziamento sociale” era una realtà ancora prima della pandemia, e stati dalla densità elevata dove il dato è diverso.
Inoltre anche lo stile di vita del singolo stato/regione/agglomerato rende.
Recentemente l’Austria ha dovuto rivedere le proprie regole sui pendolari proprio perché in aree industrializzate il pendolare diventa vettore di contagio scarsamente prevedibile.
I virus non hanno gambe, ma camminano sulle gambe dei loro ospiti, spiega al riguardo la virologia.
Inoltre, non tutti gli Stati hanno reagito allo stesso modo nella Pandemia.
Questo non significa che questo portale voglia assegnare all’Italia una medaglia al merito: chi si loda, si imbroda, cita un altro proverbio.
E non possiamo essere certi di aver fatto tutto senza errore. E non sapremo mai quante vite avremmo potuto salvare in più o in meno. E non sappiamo se siamo in grado di sostenere i costi economici di una Pandemia.
È decisamente presto per dare medaglie di onore ai coinvolti, c’è sempre margine per migliorare una situazione che buona non è.
E, infine, va valutato il fatto che collazionare i dati di stati diversi postula la certezza che i dati siano stati raccolti in modo non solo corretto, ma omogeneo.
Figurarsi paragonare stati diversi con metodologie spesso non omogenee e nessuna garanzia sulla provenienza del dato.
Semplicemente, Pandemia non significa uniformità.
Lieto tu l’abbia chiesto, amico mio.
Non è infatti automatico come trovare il SARS-CoV-2 nel corpo di qualcuno. Ci ricorda l’ISS
I criteri per definire un decesso per COVID-19 sono indicati nel rapporto sopracitato e comprendono:
· Decesso occorso in un paziente definibile come caso confermato microbiologicamente (tampone molecolare) di COVID-19
· Presenza di un quadro clinico e strumentale suggestivo di COVID-19
· Assenza di una chiara causa di morte diversa dal COVID-19
· Assenza di periodo di recupero clinico completo tra la malattia e il decesso.
Se la morte è causata da un evento non immediatamente riconducibile al COVID-19, ad esempio un infarto, ma il soggetto è positivo, come deve essere classificato il decesso?
La positività al Sars-Cov-2 non è sufficiente per considerare il decesso come dovuto al COVID-19, ma è necessaria la presenza di tutte le condizioni sopra menzionate, inclusa l’assenza di chiara altra causa di morte. Va precisato però che non sono da considerarsi tra le chiare cause di morte diverse da COVID-19 le patologie pre-esistenti che possono aver favorito o predisposto ad un decorso negativo dell’infezione (per esempio cancro, patologie cardiovascolari, renali ed epatiche, demenza, patologie psichiatriche e diabete). Sono da considerarsi cause di morte associate a COVID-19 le complicazioni o gli esiti collegati a patologie pre-esistenti che possono aver favorito o predisposto ad un decorso negativo un paziente con quadro clinico compatibile con COVID-19. Nel caso specifico, se l’infarto avviene in un paziente cardiopatico con una polmonite COVID-19, è ipotizzabile che l’infarto rappresenti una complicanza del COVID-19 e quindi il decesso deve essere classificato come dovuto a COVID-19. Se l’infarto avviene in un paziente che non ha un quadro clinico compatibile con COVID-19, il decesso non deve essere classificato come dovuto a tale condizione.
La risposta è quindi sottostima. Una decisa sottostima, quantomeno nelle fasi iniziali del monitoraggio.
O come dice l’Istituto Superiore della Sanità: è probabile anzi che siano sottostimati nei mesi di marzo e aprile. In questo periodo molti pazienti sono deceduti senza essere testati e perciò le loro informazioni non sono state inserite nel Sistema di Sorveglianza. La stima fatta nel rapporto congiunto ISS-Istat sull’eccesso di mortalità è che nei mesi di marzo e aprile i decessi legati in maniera diretta o indiretta al COVID-19 siano circa il doppio rispetto a quelli misurati nel Sistema di Sorveglianza. Questa sottostima dei decessi si è comunque molta ridotta e quasi azzerata da maggio fino a fine estate. Nei mesi più recenti i Sistemi di Sorveglianza stanno osservando un nuovo aumento dei decessi. A breve sarà possibile valutare un eventuale eccesso di mortalità nei mesi autunnali/invernali tramite il confronto con i dati di mortalità Istat.
Confronto che abbiamo visto nei paragrafi precedenti.
In ogni caso, le “morti da COVID” non sono tutte le morti di pazienti COVID.
Un malato COVID investito da un’automobile o infartuato non è ovviamente un morto per COVID19.
Ma un cardiopatico, quindi sensibile alle polmoniti, che muore di polmonite interstiziale causata da COVID19, ovviamente è un “morto da COVID”. Purtroppo.
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