Cominciano le sanzioni contro la Russia, rese necessarie dall’attacco contro l’Ucraina.
Un elenco già imponente, non scevro da riflessioni, ma destinato a crescere nel tempo. Il principio di gradualità cui l’Unione Europea (e come vedremo, gli stati extra-UE che si accodano) comporta infatti che il lettore possa avere una sensazione di “si poteva fare meglio”. Che va temperata dal fatto che i pacchetti di sanzioni non sono scritti per colpire tutto e subito, ma come dissuasione.
Più la Russia prosegue sulla via della guerra, più pesanti divengono le sanzioni. In caso di arretramento, le stesse arretrerebbero. Sostanzialmente è il principio per cui, dovendo disciplinare un sottoposto non usi quasi mai la sanzione finale (licenziamento in tronco per un dipendente, divieto di uscire, telefonare e videogiocare per un figlio) come prima sanzione. Il sanzionato a quel punto sentirà di non avere “nulla da perdere” e siccome la pena massima viene irrogata a prescindere deciderà di agire nel modo peggiore possibile, sapendo che tanto non gli si può fare peggio di così.
Il pacchetto sanzioni contro la Russia, al momento, colpisce sostanzialmente il commercio, i capitali degli oligarchi e i settori chiave della tecnologia.
Almeno 52 entità commerciali, per un totale di circa 650 individui tra cui lo stesso Putin e Labrov vedranno bloccato il loro accesso ad asset e fondi esteri, con limitazioni nell’accesso al credito su banche non Russe. Solo a Putin e Labrov non saranno applicate inoltre le restrizioni alla libertà di movimento, allo scopo (ormai sempre più lontano) di consentirgli di spostarsi per motivi diplomatici, ovvero per chiudere la questione sul tavolo della diplomazia e non sul campo di battaglia o allo sportello bancario.
Parimenti le compagnie statali e a partecipazione statale risulteranno sanzionate, col risultato di isolare almeno il 70% dell’economia russa dall’accesso ai mercati esteri.
Banche e autorità governative russe non potranno esitare titoli azionari nel mercato UE, e gli oligarchi perderanno con l’accesso ai depositi europei la possibilità di aprire e usare conti in Europa.
Anche i visti di ingresso per il personale diplomatico perderanno le precedenti agevolazioni, cosa che non accadrà per i semplici civili.
Al momento, gli oligarchi potranno continuare a comprare beni di lusso dall’Unione Europea e dagli USA: col rischio però di non avere il necessario per godere di tale lusso.
Il blocco delle esportazioni al momento riguarda il settore tecnologico.
Per le imprese di trasporto e raffinazione russa diventerà impossibile anche solo procurarsi i ricambi per raffinerie e mezzi di trasporto. Cosa abbastanza grave se si conta che buona parte degli aerei usati a scopi commerciali in Russia sono di produzione Canadese, Americana ed Europea e gli sarà impossibile assicurare una manutenzione dello stesso livello pre-bellico senza poter acquistare le componenti necessarie.
Inoltre il blocco del settore tecnologico interesserà le c.d. “Tecnologie promiscue”. Quelle che possono essere usate sia per scopi bellici che civili.
In un mondo dove la crisi dei semiconduttori impedisce a molti di acquistare automobili, elettrodomestici e beni informatici (computer, videogames) in tempi brevi, la mossa dell’Europa esacerberà tale condizione per i Russi, ancorché non per il resto del mondo. Nel resto del mondo la fame di chip non peggiorerà né migliorerà: nel territorio Russo la riduzione progressiva delle capacità tecnologiche del settore bellico potrebbe pesare sul settore civile.
I rapporti con la Cina potrebbero mitigare l’effetto delle sanzioni nel settore hi-tech… almeno fino a nuove sanzioni, che questa volta verrebbero dagli USA. USA già pronti ad aumentare la loro produzione tecnologica per rendersi indipendenti dalla Cina e con una storia “rocciosa” nei confronti del drago di Pechino che potrebbe sfociare in sanzioni di rimbalzo.
Per quanto l’atavica dipendenza di nazioni come l’Italia da fonti di energia non rinnovabili potrebbe causarci problemi nel corto periodo, nel lungo periodo le sole sanzioni all’export petrolifero costeranno alla Russia fino a 24 miliardi di Euro annui (calcolati sulla media del 2019).
«L’Italia ritiene che si tratti di una misura necessaria alla luce dell’inaccettabile aggressione militare russa ai danni dell’Ucraina, che costituisce una grave violazione del diritto internazionale», ha comunicato il titolare della Farnesina, il ministro Di Maio, riguardo l’estromissione dal Consiglio di Europa.
Si ritiene che la Russia abbia dimostrato di non essere più in grado di offrire rappresentanza ad un’organizzazione il cui scopo è promuovere la democrazia, i diritti umani, l’identità culturale europea e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa.
Canada, Giappone e Corea del Sud si uniscono alle sanzioni, con Giappone e Corea del Sud che parteciperanno espressamente al ban dei beni tecnologici.
Cosa che suscita nella diplomazia russa una piccata reazione, dichairando tali scelte un segno della “debolezza Occidentale”.
Il blocco dello SWIFT, ovvero del sistema bancario di scambio interbancario, si avvicina sempre di più. Tanto da spingere la Russia a minacciare la nazionalizzazione delle imprese Europee e Americane sul loro suolo come deterrente.
Minaccia assai vana, contando la crescita del fronte del sì al ban SWIFT, fronte che comprende ormai anche Cipro, partner commerciale storico della Russia.
Senza SWIFT gli adempimenti bancari e i pagamenti da e verso le imprese e gli oligarchi russi diventerebbero malagevoli, difficoltosi, deprecati e privi di prestigio.
Provate a immaginare il dover avere un partner commerciale che anziché pagamenti bancari vi comunichi di voler essere pagato in cryptovalute e Money Transfer come un truffatore via mail vintage.
Nonostante questo, Putin punta proprio sulle Cryptovalute per cercare di uscire dall’impasse: mossa invero tentata già dal 2018, ma che si scontra contro i numerosi problemi del Crypto.
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