Sul caso del TSO a Fano, ovvero del giovane studente diciottenne che, dopo essersi ammanettato al banco in protesta contro l’obbligo di mascherina, è stato sottoposto al trattamento sanitario obbligatorio, si è scritto e ancora si scrive tanto.
Come si dice in questi casi, la verità è difficile da raggiungere, vieppiù quando lo stigma sociale di un TSO interviene per rendere ogni discussione sul tema ancora più complessa.
Proviamo a smontare la vicenda nei (pochi) elementi ancora disponibili
La mattinata del 5 Maggio uno studente diciottenne di Fano viene allontanato dall’istituto dopo una protesta contro l’obbligo di uso della mascherina. Protesta nella quale si era incatenato al banco rifiutando l’allontanamento.
La dirigenza scolastica convoca le forze dell’Ordine, il giovane viene tradotto in ospedale dove rimane in TSO fino al 9 Maggio.
Una storia definita alquanto lacunosa, nonché ulteriormente resa illeggibile dal rumore, e il Giornale, citando a sua volta i primi timidi tentativi di ricostruzione de Il Resto del Carlino, cita un malessere diffuso, rinfocolato dalle fake news e dai “cattivi maestri” del negazionismo.
Analisi, quella dell’ombra lunga delle fake news e sugli effetti sui giovani già gravemente sofferenti per la pandemia a nostro parere degna di una approfondita lettura e diffusione.
Una tempesta mediatica in cui lo stesso ragazzo è passato in secondo piano, coi social pronti a cercare altri bersagli, come il sindaco della cittadina, “colpevole” di aver disposto il TSO stesso.
È proprio dai meccanismi alla base del TSO che bisogna partire per capire la vicenda.
Il TSO non è un atto afflittivo, non ha valore sanzionatorio e non è un atto di impulso amministrativo-politico.
Un TSO viene disposto sì dal Sindaco, ma dietro parere motivato di due medici, i quali sono chiamati a regola della loro arte e professione a verificare i caratteri della necessarietà e della insisusstenza di altre soluzioni, comunque disposto come misura prettamente eccezionale.
Lo stigma sociale di un TSO non è dato dal TSO stesso, ma dall’immagine che si sceglie di darne.
Un paziente sottoposto a TSO non è un soggetto da compatire o deridere, e un TSO non è un atto malevolo o sanzionatorio, ma la scelta di almeno due medici di intervenire in soccorso di qualcuno.
Abbiamo per ora il parere di Cristina Tedeschini, procuratore della Repubblica, che nega il nesso causale tra la protesta delle mascherine e il TSO, dichiarando che
«La sequenza fattuale che risulta a me – spiega la responsabile della procura della Repubblica – è esattamente quella che ha riposizionato il sindaco di Fano. Il Tso non è stato fatto perché il ragazzo non vuole la mascherina, bensì per quanto è successo in seguito al pronto soccorso. La mascherina e il Tso hanno una contiguità che è stata solo fattuale ma non causale».
Ed abbiamo un’intervista ad una compagna di classe del giovane che descrive una complicata situazione pregressa.
D’altro canto abbiamo l’annuncio di una interpellanza parlamentare al riguardo e un esposto del legale del ragazzo.
Due versioni inevitabilmente contrapposte che non potranno che trovare, a questo punto, sintesi e composizione in un prossimo futuro in una analisi giudiziale a noi sottratta.
Fino a quel momento, non potremo che cercare di estrarre dal rumore di fondo costante i dati disponibili.
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