Complottismo

Torna la bufala antisemita del “Diario di Anna Frank scritto con la biro”

Torna la bufala antisemita del “Diario di Anna Frank scritto con la biro”, e non c’è da sorprendersi, dato il ritorno sulla scena internazionale dell’antisemitismo, ormai ostentato e completamente sdoganato con assurde “scusanti”.

Torna la bufala antisemita del “Diario di Anna Frank scritto con la biro”

Ovviamente la bufala torna sul corollario di gruppi Whatsapp e Telegram diventati ormai hub di genere di disinformazione e persino della Guerra Ibrida contro l’Occidente stesso.

Una teoria vecchia di almeno 40 anni, e dimostrata essere una bufala già allora, riesumata di tanto in tanto nel mondo del complottismo antisemita.

Torna la bufala antisemita del “Diario di Anna Frank scritto con la biro”

La bufala tornò in auge l’anno scorso, quando un antisemita Canadese fu incriminato proprio per averla proiettata sul muro di casa Frank ad Amsterdam con un laser, dimostrando un certo affetto dei Negazionisti per l’imbrattamento murario di vario tipo.

In realtà la teoria nasce quando tra il 1959 e il 1960 la grafologa Ockelmann, durante una serie di perizie grafologiche sul manoscritto, vi lascia dei foglietti scritti a penna (in questo caso una biro, esistente negli anni ’60) contenente i suoi appunti.

Appunti ritrovati dallla German Federal Criminal Police Office (BKA) negli anni ’80 che affrettatamente scrissero nei verbali di aver trovato “correzioni a penna”, senza precisarne però la natura.

Natura che sappiamo essere appunti di perizia che non non sono parte integrante del testo. Testo che come dimostra una perizia del Netherlands Forensic Institute su richiesta delNetherlands Institute for War Documentation (NIOD) risulta essere redatto con inchiostri per stilografica grigio blu e rosso, nonché matite di colore verde, rosso e nero, comprensibilmente date le scarse disponibilità.

Ma il testo fake insiste inventando un “frikin Ebreo”, frase che denuncia una traduzione automatica da una fonte antisemita e ricca di volgarit (“frickin'” è un “minced oath”, una parolaccia autocensurata per “fo**uto”) che sarebbe stato pagato dai Frank per redigere il Diario.

In realtà si parla di Meyer Levin, giornalista, scrittore ed editore che aveva preparato col consenso di Otto Frank un’opera teatrale sulla storia della figlia che non vide mai la luce, spingendo Levin a citare Otto Frank perché una persona da lui incaricata aveva bloccato col suo veto l’adattamento sui cui Levin aveva lavorato e gli autori di un’opera teatrale successivamente pubblicata.

Ovviamente i negazionisti dell’Olocausto decisero di omettere la parte in cui si parlava di un’opera Teatrale per inventare la bufala antisemita del “Fo**uto ebreo” che avrebbe scritto il diario.

Allora chi ha scritto il Diario?

Anna Frank ovviamente! Maggiori dettagli li troverete in questo nostro precedente articolo, per quel che ci riguarda qui, possiamo ricordare che Otto Frank non era un filologo, un editore professionista o un esperto storiografo.

Era un padre di famiglia che aveva subito una lunga serie di lutti ed era preso tra il desiderio di mantenere viva la memoria di sua figlia e la necessità di garantire ai pensieri che riteneva essere i più intimi e reconditi, quelli che, da padre, sapeva che la figlia non avrebbe mai voluto dati in pasto ad estranei, anche se per una nobile ragione. Come ricorda Luzzatto

Oggi, lungi da riconoscere in Otto Frank (come vorrebbero Robert Faurisson e gli spargitori di odio antisemita sul web) il malizioso artefice di una truffa politico-letteraria, i lettori dell’edizione critica dei Diari hanno ragione di riconoscere in lui un interprete meraviglioso dei manoscritti originali. Fu infatti con grandissima sensibilità che il padre intervenne sui testi della figlia: da un lato, raccogliendo, o anche allargando il velo di discrezione che Anne aveva deciso di stendere sopra i conflitti con la madre e la sorella; dall’altro lato, restituendo un’esistenza a ragionamenti, passioni, desideri che Anne aveva deciso di sacrificare per motivi di opportunità, perché sperava così di vedersi più facilmente pubblicata dopo la fine della guerra. – Fu grazie al lavoro di Otto che nei Paesi Bassi nel 1947, e poi là nel mondo dove il Diario uscì in traduzione, milioni di lettori poterono incontrare un’Anne Frank ancora viva e palpitante, ricomposta sulla pagina a partire dai due testi cui si era consegnata. […] In altri termini, fu grazie al collage non dichiarato della versione A con la versione B che la figura di Anne Frank poté emergere, nella versione C, in tutta la sua umanità di ragazza insieme normale ed eccezionale. Il libro-simbolo della Shoah era nato dalle mani di un padre amoroso, non da quelle di un rigoroso filologo

L’attuale Diario di Anna Frank in vendita è il frutto consapevole di tre stratificazioni.

Abbiamo infatti la versione A, il Diario così come Anna Frank lo redasse inizialmente negli anni del Nascondiglio Segreto.

Dal 28 marzo 1944 Anna Frank, come descritto nel Diario stesso, udì da Radio Orange un appello al popolo Olandese per conservare traccia scritta del periodo dell’occupazione tedesca in modo da documentare le atrocità del regime. Anna Frank decise, con l’impulsività tipica di una ragazzina, che il suo Diario sarebbe stata una testimonianza quasi perfetta, e cominciò a scriverlo in doppia copia: proseguendo la versione A ed aggiungendo una versione B, la quale conteneva anche gli eventi dell’anno passato ritrascritti.

Con le cognizioni sulla pubblicazione e l’editoria tipiche di un ragazzino, Anna Frank pensò che se il suo diario sarebbe un giorno diventato un vero e proprio documento storico avrebbe dovuto usare uno stile più curato, quindi ricorresse alcuni brani e costruzioni collazionando gli eventi del 1943 con le conoscenze e competenze linguistiche della Anna del 1944, e decise che avrebbe dovuto usare degli pseudonimi e dei soprannomi per gli altri suoi compagni di sventura cosa che, in un ipotetico futuro, le avrebbe evitato la necessità di riraccogliere i loro consensi o pseudonimizzare tutti coloro che si fossero opposti alla narrazione delle loro storie. Ciò divenne il Manoscritto B, mutilo del periodo dal 30 marzo in poi (essendo il manoscritto B la bella copia del manoscritto A semplicemente non ebbe il tempo e non le fu consentito proseguire la sua opera) ma compreso di alcune parti andate distrutte del Manoscritto A.

Il Manoscritto C, in tutto questo è il tentativo di Otto Frank di portare a compimento la fatica letteraria di Anna nel manoscritto B, ma contemporaneamente rimuovere alcuni elementi che, da padre, riteneva una Anna alla quale fosse stato consentito di sopravvivere avrebbe ritenuto sconvenienti ed infantili, o semplicemente inadatti al fine didascalico, come critiche sulla madre e osservazioni sulla sessualità e sul ruolo della donna.

L’edizione pubblicata nel 1946 da Contact fu ulteriormente censurata tagliando altri passaggi legati a momenti intimi della ragazza (scompare la parola mestruazioni) e ulteriormente ritoccando la prosa (ma non gli eventi narrati), rendendo ogni critica riguardo lo stile che non è da ragazzina la boutade di qualcuno a digiuno delle nozioni necessarie o l’opera in malafede di un negazionista.

Brilla in negativo tra le traduzioni del testo la prima traduzione in lingua tedesca del 1954, secondo Valentina Pisanty fortemente manomessa allo scopo di rendere ideologicamente accettabile il diario per un pubblico tedesco (cosa che rende ogni critica basata sulla traduzione tedesca degli anni ’50 rigettabile a priori).

Solo negli anni ’90, grazie all’opera di Mirjam Pressler, il vasto pubblico europeo ha potuto godere di una versione definitiva del Diario, la cosiddetta versione D, basata sul Manoscritto C, ma con tutte le parti arbitrariamente (ma in buona fede) rimosse da Otto Frank e dagli editori reintegrate dai Manoscritti B ed A, restituendo quindi l’immagine definitiva del Diario come Anna avrebbe voluto fosse consegnato alla memoria storica dopo aver udito l’appello Orangista in quel fatidico marzo del 1944.

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