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“Earworm” ecco perché non scordi i tormentoni estivi, ma poi te ne lamenti

È un dato di fatto che i tormentoni estivi siano un argomento altamente divisivo, con schieramenti che non conoscono mezze misure: o li ami e li imposti addirittura come suoneria del tuo smartphone, o li odi e lo fai sapere a tutti. Quella dei tormentoni estivi è una storia lunga.

Tormentoni estivi, questi stra-conosciuti

In Italia, citando Wired, un tempo si parlava di Legata a un granello di sabbia di Nico Fidenco, e gli specialisti di Recensiamo musica ci riportano ai tempi di Tintarella di luna di Mina. In Italia è sempre stata una gara a chi l’aveva più orecchiabile, ma possiamo immaginare che sia sempre stato così anche oltreoceano.

Restiamo sull’internazionale: lo staff di Red Bull ci fa notare che ogni anno spuntano titoli allarmistici sull’estate senza tormentoni, e abbiamo esempi concreti come questo articolo pubblicato da Vice nel 2013 e quest’altro da The Daily Beast del 2017. Non perderemo tempo a tediarvi con l’esegesi dei tormentoni: sono sempre esistiti, non hanno alcun significato nascosto se non quello di alleggerire gli animi degli ascoltatori, devono essere imbastiti con una base accattivante, un ritornello che resti in testa, una soluzione (riff, sequenza, cori e via discorrendo) che sia caratteristica e, soprattutto, darci quella sensazione di conoscerli da sempre.

L’earworm

Su questo aspetto si esprime meglio Federica Alemanno sulla Gazzetta. Alemanno, primario di Neuropsicologia dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano, ci parla del fenomeno earworm“. Come suggerisce il termine – “tarlo dell’orecchio” – “veicola un’emozione positiva e dall’altro anche un’emozione positiva traina il tormentone”. Certamente l’“emozione positiva” non è percepita (forse) da chi nutre un odio profondo nei confronti delle hit estive.

È anche vero che le hit estive vengono ossessivamente trasmesse in rotazione radiofonica, e anche quando ci teniamo lontani dalle emittenti ci imbattiamo nei tormentoni in maniera inevitabile: entriamo in un negozio, la radio accese trasmette la canzone; siamo in una sala d’attesa, stessa cosa. Qualsiasi luogo pubblico dotato di impianto audio trasmetterà per forza di cose il tormentone. Se accendiamo la televisione, negli spot troveremo sicuramente la hit estiva.

Questo, ad esempio, è l’anno del brano Disco Paradise di Fedez feat. Articolo 31 e Annalisa, ma ricordiamo che negli anni scorsi il marito di Chiara Ferragni ha sempre lavorato in trio: nel 2021 con Orietta BertiAchille Lauro in Mille, nel 2022 con TananaiMara Sattei ne La Dolce Vita e diciamoci la verità: c’è stata una volta in cui non le abbiamo sentite anche solo di sfuggita? No, chiaramente. Quello di Fedez è chiaramente un esempio, perché ogni anno ritornano anche i Boomdabash, i produttori Takagi & Ketra e per un certo periodo abbiamo “subìto” Giusy Ferreri con Baby K.

Marketing?

Ovviamente sì, e La Gazzetta del Pubblicitario parla esplicitamente di “operazioni di placement” anche solo a livello discografico. L’estate dura veramente poco e molti artisti già dal mese di aprile prenotano il proprio posto nelle playlist Spotify lanciando il loro nuovo singolo tutto estivo.

Che significa “estivo”? Latin pop, qualche sfumatura retrò, un testo che sia sì d’amore ma frivolo abbastanza per non farci rovesciare il cocktail, allusioni a corteggiamento e spiaggia, il tutto condito da good vibes che rendano il brano orecchiabile e che ci ricordi la stagione più calda anche quando è inverno.

Quindi? Perché li odiamo? E perché altri no?

Semplicissimo: sono gusti. Alcuni li odiano perché – oggettivamente – ogni bombardamento mediatico diventa pesante, come il pesce dopo due giorni o come un ospite che non lascia casa nostra. E “casa nostra”, nel caso dei tormentoni, è la nostra testa. La hit estiva entra nella testa e ci si conficca di prepotenza, e non sempre è cosa gradita.

Altri non odiano i tormentoni perché sostanzialmente ci si lasciano trasportare e ne colgono l’intento positivo: alleggerire, far ballare, accompagnare l’estate e fotografare dei momenti. La loro non è una ricerca, è più un abbandono.

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