Ci segnalano i nostri contatti una foto alle “fibre sintetiche nel tonno” che ci ha riportato nel viale dei ricordi.
Partiamo da una premessa: la formula dubitativa è grandemente esagerata.
Se io dichiaro che nel tonno, anzi, di un tonno del quale mostro espressamente la marca ci sono sostanze pericolose e/o nocive, lo faccio assumendomene ogni responsabilità.
Non sarà certo una formula dubitativa buttata lì dopo aver lanciato una vera e propria granata mediatica tra i propri followers a diminuire la portata della nostra accusa: non posso semplicemente tirare il sasso nello stagno e nascondere la mano. O, in questo caso, gettare un prosciutto ai piranha e far finta di niente.
Anche perché, come abbiamo detto più volte, in quelle “fibre sintetiche” (che tanto sintetiche non sono) non c’è niente di sordido e misterioso: sarebbe anormale non trovarle.
È lo stesso principio alla base delle infondate accuse scagliate al Tonno Auriga, di cui vi avevamo già parlato a Febbraio, e lo stesso principio alla base del famigerato video sui “cinque segreti dell’Industria Alimentare” dove una graziosa modella solitamente usa a mostrarci come creare fermacarte di cemento e vezzosi portacellulare in colla a caldo e colori vivaci aveva deciso di denunciare al mondo il complotto del glutine contenuto nel pane.
In entrambi i casi, i nostri scienziati improvvisati hanno scoperto l’esistenza delle proteine insolubili e delle fibre. Fibre naturali, non fibre sintetiche.
Quello che resta di un prodotto della panificazione a base di glutine se sciogli tutto il resto con un lungo e tedioso lavoro, e quello che resta del pesce bollito una volta che la carne viene “lavata via”.
Come dicemmo già all’epoca, e non ci saremmo certo ripetuti se voi non l’aveste fatto, la stessa esperienza si ripeterà immancabile con ogni scatoletta di tonno di ogni marca, ma anzi persino col brodetto di pesce di vostra nonna.
Ed in questo caso accuserete vostra nonna di essere collusa con le cospirazioni?
Semplicemente, come ricordammo già a febbraio, la preparazione del tonno in scatola prevede che tranci di tonno bollito, selezionati per la loro tenerezza, vengano messi sott’olio per conservazione e sapore ed inscatolati.
Quindi, abbiamo già un pezzo di tonno bollito, dal quale la componente fibrosa è già parzialmente distaccata, ed un “semplice” lavaggio può farla riemergere.
Come accade col brodo della nonna, o come accade per pezzi di pane e prodotti dolciari risciacquati in colini da aspiranti scienziati culinari che difettano però delle nozioni necessarie per interpretare il frutto del loro lavoro.
E la stessa controprova offerta dagli autori di questi esperimenti chimici “molto improvvisati” (eufemismo) per stanare le misteriose ed elusive fibre sintetiche in realtà si dimostra essere un autogol, se non un perfetto Autoblast
Un commento dove lo sperimentatore dichiara
Il fatto che più mi lascia basito e : se brucio i residui con accendino ottengo lo stesso identico odore se mi brucio i peli …..
Taceremo sulle considerazioni relative alla forma ed alla assoluta mancanza di scientificità in un riscontro empirico basato sulla propria esperienza sensoriale: vi ricorderemo solo che tecnicamente la cheratina, materiale di cui sono fatti i peli umani, è una proteina.
A meno che non siamo di fronte ad un Terminator, un cyborg venuto dal futuro per bruciare le fibre del tonno e raffrontarle con la propria sintetica esistenza (ma anche i Terminator avevano pelle umana clonata, e verosimilmente i loro peli non erano sintetici…), anche se un simile esperimento bastasse per raffrontare tonno e pelo umano, non si potrebbe che dover ammettere che di sintetico, in entrambi dei casi, non vi è nulla.
Non a caso abbiamo usato il tag “complottismo”: temiamo infatti che questo esperimento “scientifico” (che in realtà di scientifico nulla ha), ripetuto da febbraio ad oggi non contando il simile “esperimento” sul glutine possa essere la Sindrome di Morgellons del XXImo secolo, possa spostare nelle menti dei lettori più impressionabili le misteriose fibre sintetiche dalle ferite aperte (che la scienza ha dimostrato contenere semplicemente fibre tessili degli abiti con esse venute a contatto) ai cibi.
Unendo così all’isteria l’ortoressia.
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