Editoriale

“The Shoah Party”, l’operazione Delirio e le “Red Room” – il Male e la Mitizzazione del Male

In seguito al nostro articolo sul caso di “The Shoah party”, la chat degli orrori scoperta durante l’operazione Delirio abbiamo avuto numerose domande, alle quali converrà trovare una risposta.

La più grande verte intorno all’esistenza delle “Red Room”, angoli del Deep Web, siti in streaming dove assistere a torture, violenze ed omicidi.

Riassumendo preliminarmente per i pigri “dove vogliamo andare a parare”, nessuno sta negando l’esistenza di foto a contenuto pedopornografico e di violenza. Restano i dubbi su quanto emerso riguardo alle Red Room: al momento ogni indizio porta a ritenere che siano il sogno febbrile di un pubblico eccitato dalla violenza fino ad esserne così sensibilizzato da rifugiarsi nella contorta speranza di potersi imbattere in contenuti ancora più brutali e violenti.

Le Red Room sono qualcosa di cui tutti gli interessati al tema, per morbosa curiosità o per desiderio di detenzione di simile materiale, hanno scritto almeno una volta, ma di cui nessuno ha (fortunatamente, oseremmo dire) potuto esibire il macabro feticcio.

Le Red Room tra sogno perverso e crudele realtà

Da sempre, tutte le subculture hanno avuto un loro Graal personale, un feticcio che tutti dicono di aver visto (o di conoscere qualcuno che l’ha visto), ma che nessuno ha mi incontrato davvero.

Ad esempio le comunità hacker degli anni ’80 avevano la blotto box, una scatoletta miracolosa che, se collegata ad un telefono domestico o a gettoni, avrebbe distrutto le linee telefoniche di un intero quartiere se non dell’intera municipalità. Tutti i ragazzini che avevano comprato una rivista di fumetti di importazione con le pubblicità americane dei corsi di arti marziali giuravano di aver letto di un Antico Maestro che insegna i Segreti dei Secoli Antichi che per pochi spiccioli o una cartolina piena di francobolli avrebbe insegnato una mossa segreta così potente che se te la insegnano devi registrarti come arma vivente. Tutti i meno giovani tra voi ricorderanno di coccodrilli bianchi che escono fuori dalle docce, e altri esoterici segreti solo per gli iniziati. O, quantomeno, di avere il ragazzino antipatico in classe negli anni ’90 pronto a giurare, per guadagnare punti simpatia, di avere il cugino grande che lavora alla Sony e che ha il prototipo della Playstation 2 e me la fa giocare, se diventate miei amici forse ci parlo, ma non può farla vedere a tutti sennò lo licenziano.

Partiamo chiaro e siamo brutalmente onesti: la pedofilia esiste. Nessuno l’ha mai negato. Esistono persone perverse che vendono e comprano video a sfondo pedopornografico.

Esiste il revenge porn, anche se non riguarda i bambini: giovani donne irretite nel filmare le loro prestazioni sessuali “per ricordo” che vedono le stesse diventare una sorta di perverso porno amatoriale.

Dove c’è un mercato, esiste il prodotto: purtroppo, se qualcuno possiede un video che ritrae violenze ed altri sono interessati, questo sarà diffuso, per “denaro o altre utilità”. Al riguardo delle seconde pensiamo a Tarrant, l’attentatore di Christchurch che decise di riprendersi durante la sua azione criminosa inviando la stessa agli frequentatori di 8chan, una imageboard, per promuovere la sua agenda xenofoba.

Come ci ricorda Valigia Blu, la situazione delle Red Room, le Stanze delle Torture è esattamente lo stesso.

In un mondo dove esistono persone che vendono e scambiano materiale pedopornografico, un sottobosco criminale, sbuca sempre l’allucinato sogno che, da qualche parte nel Deep Web che loro ben conoscono, ci sia altro.

Come noi altri, che usiamo il World Wide Web in modo normale ne vediamo solo la superficie senza avvederci di ciò che il Deep Web nasconde, e siamo spaventati da quello che la cronaca ci mostra, ci sono persone che invece sperano ci sia ancora dell’altro al di sotto del livello in cui vivono, e si scambiano tra loro racconti di perversione e crudeltà ancora peggiori di quelle che hanno visto, perché ormai quello che hanno li ha desensibilizzati.

È sostanzialmente come con l’assuefazione: se ti ci vogliono dosi sempre maggiori di depravazione per trarne soddisfacimento, tutto quello che ti resta è sperare che da qualche parte nel mondo esista una sorta di “Gran Capo dei Perversi” che, in un orribile paradiso infernale, riconosca il tuo potenziale per la crudeltà e la perversione e ti ricompensi dandoti accesso a qualcosa di più crudele e perverso di quanto tu possa concepire.

Le Red Room e le Creepypasta

Ad esempio Valigia Blu ha rintracciato una descrizione assai simile a quella delle Red Room in un canale Reddit dedicato alle Creepypasta.

Le Creepypasta sono un concetto che conosciamo bene. Sono l’evoluzione 2.0 e moderna dei “racconti del terrore intorno al fuoco”: gruppi di persone che si sfidano a scrivere storie di paura e le condividono con lo spirito di chi, al campeggio, si riuniva intorno al fuoco raccontando storie.

Alcune Creepypasta evadono dal mondo dell’immaginario e finiscono nel mondo reale. Abbiamo già visto come siti bufalari si siano appropriati delle Creepypasta del CERN che distrugge l’universo invocando mostri e demoni e del soldato cinese pronto a giurare che COVID19 sia creato da dalle nanopolveri che lobotomizzano gli avversari politici che poi vengono bruciati vivi in un altoforno all’ospedale da campo di Wuhan.

L’origine è la stessa: entrambe sono state tradotte, in malo modo, da community di Creepypasta.

Ora, chiedersi se le Red Room derivino da una creepypasta o se le creepypasta relative siano state scritte ispirandosi al Deep Web ed al sogno putrido di chi vorrebbe le Red Room nella vita reale come mezzo per avere ancora più depravazione sarebbe come chiedersi chi sia venuto prima tra l’uovo e la gallina.

Ma al momento gli inquirenti di tutto il mondo non hanno prova dell’esistenza fisica delle Red Room, ma solo del fatto che il concetto delle stesse sia invocato tra i frequentatori del Deep Web, come i ragazzi arrestati per “The Shoah Party” come un ipotetico Santo Graal della loro depravazione.

E per fortuna, desiderare fortemente che qualcosa esista non basta a garantirne l’esistenza. Di fatti, indimostrate da FBI e giornalisti di tutto il mondo, le Red Room sono al momento archiviate tra le bufale.

Elementi sull’inesistenza delle Red Room

Eileen Orsmby, giornalista, esperta di Deep Web ed autrice di un testo sulle stesse, the Silk Road (il cui titolo rimanda ad una serie di “negozi online” presenti nel Deep Web dove è possibile comprare droga, banconote false ed altra merce chiaramente illegale…) si è pronunciata al riguardo.

Il testo è, comprensibilmente, lungo ed in lingua inglese, e gli interessati trarranno enorme giovamento dal tradurlo, ma possiamo riassumerlo nelle seguenti osservazioni:

  1. I limiti tecnici della Rete non consentono di avere contenuti in streaming accessibili in gran numero alla qualità descritta nelle Creepypasta e nei sogni dei giovinotti attratti da simili idee. Come ben sa chi è stato costretto ai webinar ed allo smart working dal COVID19, non riusciamo a tenere più di venti persone su Zoom senza far de-evolvere la qualità audiovideo del singolo intervento al livello “Astronauta che manda il suo messaggio di aiuto da Marte con una antenna autocostruita”, figurarsi mandare un’esecuzione dell’ISIS o uno stupro in diretta ad una certa ora
  2. Il prezzo “medio” attribuito dalle Creepypasta per un “biglietto virtuale” per le Red Room si aggira tra i due e i dieci bitcon. Parliamo di circa 80.000 Euro, non esattamente il prezzo che un ragazzino armato di smartphone e desideri perversi possa permettersi. La somma esagerata è stata probabilmente scelta per ammantare di mistero il concetto di Red Room, trasformandole in una specie di Eden per i perversi più facoltosi
  3. Sarebbe molto più conveniente, possibile e lucrativo, mandare un Ransomware, un malware, a chi è stato così ottenebrato da pagarti migliaia di euro per vedere uno stupro o un omicidio, perché tanto non è che potrebbe denunciarti. O addirittura (ma riferisce la Orsmby, se mai le polizie del mondo lo ritenessero utile, cosa mai accaduta fin’ora), imbastire una falsa Red Room e arrestare chi ne manifesta interesse.

Anche il Washington Post arriva alle stesse conclusioni, facendosi però una domanda assai intelligente che ci facciamo anche noi. Ovvero, chiedersi cosa, psicologicamente, spinge un giovanotto dell’Occidente Industrializzato e Benestante ad aver bisogno di riempire i suoi paradisi virtuali di sesso e violenza.

Siamo già messi male anche senza le Red Room

Come chi conosce questo stesso sito sa, siamo già messi molto male anche senza le Red Room. E parlo di molto male.

Sempre 4chan, la Fabbrica dei Meme di cui abbiamo parlato, tempo fa fece un certo scandalo con un thread in cui si chiedeva (con esiti incerti) ed una certa malcelata petulanza ossessiva, ad un utente di amputarsi un dito del piede per mostrare i risultati agli avventori.

In Italia abbiamo avuto inviti a gettare acqua fredda nell’olio bollente e in piena ossessione da Blue Whale in Russia apparvero inviti, rivolti ai più piccoli, a ignorare i consigli dei genitori per giocare col fuoco usando i fornelli in cucina.

Se chiedi a chi ha proposto tutte queste, la risposta invariabile sarà, nel linguaggio nerd-virtuale

I did for the lulz

L’ho fatto per le risate

Anteponendo il potenziale rischio per cose e persone all’edonismo di una risata.

Viviamo sostanzialmente in un mondo dove non si ha bisogno delle Red Room per vedere video di attentatori come Tarrant che filmano le loro gesta, ragazzi che si riprendono al cellulare mentre prendono a pugni passanti e scappano (il c.d. Knockout game) per mettere online i loro video e ricevere approvazione.

E dove, come purtroppo l’operazione Delirio ha dimostrato, nelle chat online si può ormai reperire facilmente materiale pedopornografico e scene di violenza di ogni tipo.

Ma, nonostante tutto questo, il giovane occidentale medio continua a richiedere a gran voce di poter avere di più.

Ed eravamo messi molto male anche prima di Internet

Non pensiate però che il sogno febbrile delle Red Room sia una malattia di questo benessere: è una malattia del benessere che ci insegue da generazioni.

L’idea dello Snuff Movie, il film “professionale” che prima che Internet esistesse veniva girato per i ricchi maggiorenti e perversi era già immanente nella cultura popolare.

E anche qui, univa l’esistenza di criminali e malintenzionati che registravano le loro azioni per perverso feticismo all’idea di poter avere quello stesso materiale ad una risoluzione maggiore.

Ed era tanto pervicace da diventare parte dell’immaginario, con gli autori dei film Snuff che diventavano i cattivi dei film reali.

Donandoci ad esempio Videodrome, famoso film di Carpenter in cui videocassette piene di scene di sangue e violenza trasformavano gli spettatori in brutali assassini dal corpo deformato pronti a dare via ad un nuovo ciclo di violenza, Gli occhi del testimone, in cui una giovane donna muta rimane intrappolata sul set di uno snuff movie cercando di uscirne e avvisare le autorità nonostante la sua disabilità, la saga di Hostel, in cui una cabala criminale offre a malintenzionati degli ostaggi da torturare e riprendere e la saga per home video di Guinea Pig, imitazioni di un film snuff così riuscite da convincere l’attore Charlie Sheen a denunciarne gli autori alle autorità competenti convinto di aver visto un vero snuff.

Citando Mad Max, Oltre la Sfera del Tuono

Gli anni passano rapidamente, e giorno dopo giorno abbiamo fatto la nostra storia raccontando la nostra leggenda. Ma questa non è la storia di uno. È la storia di tutti noi. E voi dovete ascoltare, e ricordare. Perché voi oggi ascoltate, e domani racconterete ai nuovi nati.

E siamo ancora allo stesso punto di prima: le Red Room sono le discendenti del mito dello Snuff Movie?

E inseguire il sogno perverso delle Red Room in un mondo che ha già la perversione a portata di mano, è una importante spia di allarme psicologico? E se lo è, implica un fallimento psicologico del singolo, o della società intera?

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