Se parliamo di tecnologie retro perdute è perché il tempo passa inesorabile: e pare una tipica frase fatta ad uso conversazione o peggio ad uso SEO, ma non lo. Il tempo passa, e come le Ere Tolkeniane, ogni era è più breve della precedente, e questo è un problema.
Possiamo ancora oggi leggere tavolette di argilla vergate da commercianti Babilonesi truffaldini millenni fa, ma abbiamo già problemi nell’ascoltare una musicassetta nel modo migliore (vedremo) e ci sono già floppy disk il cui contenuto sarebbe illeggibile se non fosse per emulatori e simili.
Semplicemente, ci sono tecnologie che abbiamo abbandonato, e nel farlo abbiamo reso il mondo del retro più difficile da mantenere.
Ricorderete come negli anni ’70 e ‘8 il media di elezione per gli home computer era la cassetta audio, che era anche il media di elezione per la musica.
Una audiocassetta aveva numerosi vantaggi rispetto a formati “compatti” come l’8-Tracce, vantaggi che la rendevano un prodotto perfetto non solo per la musica ma per i dati. Non potevi riavvolgere un otto tracce, l’otto tracce era incline a incepparsi e sporcarsi e quando gli home computer sono arrivati nelle case degli hobbisti, semplicemente un registratore da tavolo era il modo più efficace per salvare e leggere programmi, usando la funzionalità di riavvolgimento e avanzamento rapido, unita al contagiri, come indice sequenziale sia proprio che improprio.
Ogni “compilation”, sia fatta in casa che più tardi venduta in edicola aveva un suo bravo indice con la posizione del singolo programma. Molti utenti ora retro semplicemente usavano un Philips o un Panasonic, mentre Commodore passò rapidamente, sin dal PET, ad adattare meccaniche in commercio ad un sistema esclusivamente digitale in grado di passare mediante una apposita interfaccia ereditata da tutti i computer della linea fino al Commodore 128, rimossa solo nell’SX64 (il “portabile” per uso professionale basato sul Commodore 64) e i prototipi del mai costruito Commodore 65, quello che avrebbe dovuto traghettare gli irriducibili del Commodore 64 all’Amiga.
E qui casca l’asino: nella parola meccanica.
Sia nel mondo dell’informatica che della musica non bastava una buona elettronica, ma un’eccellente meccanica. Meccanica che fu buona parte del successo del Walkman SONY, prodotto così iconico da superare in fama le radio della casa e rendere la parola Walkman sinonimo di lettore portatile.
Succede che oggi ci sono ancora nostalgici che producono musica su nastro, anche di ottima fattura, con la Disney che lanciò le colonne sonore di Guardiani della Galassia (2014) proprio su nastro per mimare i passaggi “retro” che vedono il protagonista Peter Quill, eroe spaziale nato sulla Terra degli anni ’90, passare dai nastri ai primi lettori MP3 nel corso della trilogia.
Ma non esistono più produttori di buone meccaniche: SONY, Philips, Panasonic ed altri sono andati oltre e, come ricorda l’influencer e divulgatore Techmoan (nome di battaglia di Matthew “Mat” Taylor) tutti i lettori attualmente in commercio fanno capo ad una stessa, unica meccanica economica made in China.
Non abbiamo niente in contrario contro gli store cinesi: se lo avessi, io personalmente non avrei recensito positivamente il Miyoo Mini Plus, console di retroemulazione, non una, ma due volte: il problema è che ormai ogni singolo esemplare moderno di lettore di cassette fa capo ad una sola meccanica dolorosamente inefficiente.
Esiste un suo equivalente nel mondo dei giradischi economici: ma mentre Audio-Technica, Denon e Cambridge Audio assieme ad altre ditte continuano a produrre ottimi prodotti il campo dei lettori di cassette è diventato un deserto.
Appassionati di musica e computer retro faranno prima a cercarsi esemplari datati da restaurare, oppure passare allo stato solido, ammettendo che il vinile è l’unica soluzione audio retro rimasta e per i vostri retrocomputer potrete passare allo stato solido con interfaccie come CASDuino, TZXDuino o TAPuino in grado di inviare file audio o digitali ai vostri retrocomputer compatibilmente con gli standard d’epoca.
Cosa che dovreste fare per un altro grande assente
Una gag molto in voga tra gli addetti ai lavori è esibire il meme del genitore Millennial che mostra fiero e impettito un floppy da 3,5 al figliolo Gen Z o Alpha per sentirsi dire
“Bellissimo papà, hai fatto stampare l’icona di salvataggio di Word in 3D con tutti i dettagli!!”
I floppy disk, ubiquitari fino agli anni ’90 in tutti il loro formati sono ormai una merce estinta, con SONY che ha cessato, in un Giappone tardivo a dire addio al floppy, la produzione degli ultimi 3,5 nel 2011.
Questo naturalmente rende possibile reperire lotti di “new old stock”, ovvero “mai aperti” nel formato più recente, ma rende sempre più rari, e deteriorati, i 5,25′ e gli 8′ pollici.
Floppy che potrete comunque trovare, specialmente i 5,25′, data l’enorme sovrabbondanza coi quali essi furono prodotti negli anni ’70 e ’80.
Ma l’entropia chiama tutto e tutti a sè, e spesso anche un desiderato pacchetto di “fondi di magazzino mai aperti” potrebbe nascondere i pericoli della muffa.
Vi stupirà sapere che esistono ancora installazioni della metropolitana, come quella di San Francisco, che usano floppy disk, anche se si stanno evolvendo verso il trasferimento di dati wirless da cellulari e proprio quest’anno il Giappone finalmente ha abbandonato, anche dal punto di vista legislativo, floppy e CD per muoversi in ottica cloud first.
Come per le cassette, semplicemente il numero di produttori di lettori si è azzerato. Puoi trovare lettori di floppy da 3,5” in vendita su Amazon per una ventina di euro, e questo è quanto.
Non troverai più produttori di nuovi lettori da 5 1/2” e probabilmente anche se sei un cultore dei vecchi retrocomputer passerai allo stato solido usando il lettore che ti è rimasto per trasferire le immagini dei tuoi floppy prima che l’entropia lo richiami.
Il floppy non è quindi tecnicamente defunto, ma non passa certo buone acque. Una sua variante è però decisamente defunta
Nel 1994 IoMega decise di produrre un “superfloppy” da 250 Mega, lo Iomega Zip, primo antesignano di una serie di “superfloppy” dalle qualità eccezionali.
Come per i suoi competitori, come il SuperDisk, lo Iomega Zip aveva l’enorme vantaggio di esssere superiore per capienza e velocità rispetto ai floppy, e nonostante il Superdisk, arrivato circa due anni dopo fosse retrocompatibile coi vecchi floppy, semplicemente uno Iomega veniva usato in aggiunta. E tutt’ora, come i floppy e i Datassette, lo è nel mondo del retro.
È una legge non scritta: se hai un Commodore 64 ti tieni stretto al cuore un Datassette e un 1541, se hai un Amiga una Iomega, se hai un vecchio PC con MSDOS prima di passare al GoTek cerchi di tenere in vita il tuo lettore floppy da 3,5′
E lo Iomega aveva tutto: una vasta gamma di input (SCSI, IDE, Parallelo, Firewire e USB per gli ultimi esemplari), una quantità di dati eccellente per gli anni ’90 ed era, sostanzialmente, una via di mezzo tra il pendrive e il CD per rapidità di uso.
Nel 2006 lo Iomega Zip fu eletto il 15mo peggior prodotto informatico di sempre, a causa di un difetto di disallineamento che colpiva circa l’1% degli esemplari totali che però diventavano macchinette distruggi-floppy, il c.d. “Click della morte”.
A parte questo la caduta dall’Olimpo degli oggetti del desiderio di Iomega Zip arrivò nella metà degli anni ’90, assieme ai “Multimedia PC”.
In breve tempo lo Iomega Zip dovette affrontare la concorrenza dei CD e dei CD Riscrivibili: anche chi non usava i secondi, dato il relativo poco costo di una “campana” di CD-R semplicemente cominciò ad usare il primo formato fino alla venuta dei pendrive, e a questo punto lo Iomega Zip fu consegnato al viale dei ricordi.
Ma attenzione, qui cominciamo ad andare sul difficile
Chi di voi si aggira sulla quarantina ricorderà le parti essenziali di un buono impianto Hi-Fi modulare. Una piastra a doppia cassetta, un amplificatore con equalizzatore, una radio e un giradischi migliore del mangiadischi che usavate per andare a spasso.
I più ricchi, ma solo tra il finire degli anni ’80 e degli anni ’90, potevano aggiungere un buon lettore CD al loro setup, ed una funzione apprezzabile dei primi consentiva di “riarrangiare” le tracce del CD in modo da riempire nel modo più ottimale un’audiocassetta, nominalmente per i propri backup, ma spesso per duplicarsi in modo biecamente abusivo CD presi a nolo.
Negli anni ’70 potevi aggiungere un Audioscopio. Un piccolo monitor CRT, ne abbiamo parlato ma ci torneremo per completezza con un sintonizzatore analogico e una pletora di ingressi e uscite compatibili con l’integrazione in ogni impianto Hi-Fi, munito di un sintetizzatore analogico.
Di fatto sovente una TV mono (stereo negli esemplari più evoluti) e in bianco e nero con un monitor ridicolmente piccolo.
Il motivo era evidente: spesso la TV trasmetteva cose che volevi conservare, almeno in una forma tale da preservare il ricordo. Concerti, telegiornali con notizie di importanza rilevante.
E negli anni ’70, prima dei videoregistratori, poter registrare l’audio con una qualità decente usando un monitor televisivo per sapere esattamente quando far partire la registrazione era un miraco.lo e, una volta attivata la registrazione, quello stesso monitor per visualizzare la forma d’onda del suono
Avresti ottenuto una registrazione tanto buona quanto buona era la tua migliore piastra di registrazione, e avresti registrato il tuo concerto o il tuo telegiornale.
SONY vendette il suo SONY VT-M5 nel 1976.
Sempre SONY aveva già presentato il BETAMAX nel 1975 e nel 1976 la concorrente JVC aveva tirato fuori dal cilindro il formato concorrente, più economico e vittorioso nella lotta per l’audiovideo domestico, il VHS.
Vale a dire che presto, e intendiamo già sul finire degli anni ’70 e per tutti gli anni ’80, la famiglia media poteva comprare un videoregistratore e usare quello per registrare non solo concerti, ma anche film, telegiornali, telefilm e ogni programma televisivo, rendendo così obsoleto e senza significato l’audioscopio.
Se un audiofilo esigente avesse mai voluto registrare delle cassette ad alta qualità per portarle con sé, poteva semplicemente collegare lo stereo al suo videoregistratore.
Se l’Audioscopio ebbe una vita corta e maledetta, il videoregistratore ebbe una vita lunga, molto lunga. Specialmente il formato VHS, vincitore di fatto del derby Nipponico tra SONY e JVC, tra Betamax e VHS.
Nonostante una leggenda metropolitana volesse il Betamax, tecnicamente superiore, sconfitto dall’assenza di pornografia in Betamax, JVC vinse la guerra dei formati creando un formato aperto e su licenza, in cui diversi produttori potessero competere per creare prodotti economici ed alla portata di ogni famiglia.
E così fu: per decenni il videoregistratore VHS fu l’elettrodomestico per eccellenza: persino quando, con l’avvio della Terza Generazione di Console, Nintendo importò il FamiCom in America lo fece truccandolo da videoregistratore VHS e chiamandolo NES.
Per decenni il videoregistratore, inteso come il VHS, è stato il compagno di una vita, e “Be kind, Rewind” non solo il titolo di un film che celebra quell’epoca remota, ma l’invito a noleggiare film da riconsegnare rigorosamente col nastro riavvolto.
Nel 2006, con A History of Violence finì l’epoca del videonoleggio. Una cavalcata lunga trent’anni che aveva ridefinito il nostro rapporto con la fruizione televisiva, con Sony Corp. of America v. Universal City Studios, Inc., 464 U.S. 417 (1984) (invero, riguardante il Betamax ma applicabile ad ambo i formati) ad introdurre il concetto che videoregistrare un film non costituisce pirateria, ma un mezzo con cui decidere di fruire del prodotto televisivo ad un’orario più consono alle proprie esigenze (creando il concetto di time shifting) senza che questo rechi danno ai detentori dei diritti sulla trasmissione.
Col videonoleggio la ritualità della cassetta da noleggiarsi dal Blockbuster (che tutt’ora è sinonimo di “successo cinematografico”, come “successo di cassetta” è sinonimo di “successo nell’home video”) e da riavvolgere con un riavvolgitore esterno per non sciupare cinghie e meccanismi del proprio videoregistratore sono finiti per sempre.
Le videocassette avevano resisito all’assalto del VideoCD, limitato per durata, costi e quantità, ma non al DVD, che di fatto unì tutti i vantaggi del VideoCD a quelli delle VHS e del Betamax, e con una qualità video superiore.
Ad oggi DVD e Blu-Ray si condividono una nicchia tra i “feticisti del prodotto fisico”, col DVD alternativa economica, il Blu-Ray più lussuosa, ed entrambi che ti lasciano quella scatola da esibire e quel prodotto da detenere che il digital delivery non consente.
Anche i videoregistratori, specie i VHS, hanno il loro posto nel retro, spesso appaiati a vecchie TV CRT per desiderio nostalgico e per ricatturare assieme alla ritualità dell’epoca anche l’irripetibile resa grafica di un 4:3 SDTV filtrato da un tubo catodico.
Ironicamente, il motivo per cui i videoregistratori erano stati accettati nelle case e nel diritto è stato la loro fine: se lo scopo fondamentale del videoregistratore era il time shift, ovvero lasciarti guardare la TV quando eri tu a volerlo e non quando era il palinsesto a dettarlo, le funzioni di time shift incorporate nei decoder PayTV come il MySky hanno di fatto sostituito la videocassetta e i servizi di streaming e TV on Demand ti rendono padrone di creare un palinsesto di tua fiducia
Prima di parlare del VideoCD, dobbiamo parlare del suo celebre antenato e antesignano, il LaserDisc.
Il LaserDisc fu creato nel 1978, ma basandosi su brevetti degli anni ’60 di Paul Gregg. Il primo LaserDisc commerciale della storia conteneva Lo Squalo, nel 1978. L’ultimo film rilasciato in Occidente fu Al di là della vita nel 2000 mentre in Oriente il LaserDisc godette di un po’ di vita in più.
Al contrario dei CD, i LaserDisc erano ancora un media analogico, grossi dischi di plastica e alluminio da 30 cm, affini quindi per dimensione a un 33 giri: ne furono realizzati due tipi il CLV (Constant Linear Velocity) a velocità lineare costante che poteva contenere più dati, ma non consentiva la moviola e il fermo-immagine e il CAV (Constant Angular Velocity) a velocità angolare costante (giri al minuto costanti), con più funzioni ma meno durata.
Potremmo dire che il LaserDisc ha avuto cortissima vita in Occidente e molta più in Oriente, come la sua evoluzione digitale il Video CD di cui parleremo, ma in realtà qualcosa ci ha lasciato: i laser game.
Ricorderete tutti giochi come Dragon’s Lair (1983) e la sua controparte spaziale Space Ace, del medesimo anno ed entrambi basati su disegni di Don Bluth.
Quello che non tutti sapete è che nel cuore dei due giochi c’era proprio un Laserdisc: al contrario di un videogioco tradizionale non muovevi veramente un personaggio, ma sceglievi costantemente tra diverse scene contenute nel laserdisc muovendo il joystick nel momento e nella direzione indicata.
La scena giusta avrebbe mostrato il proseguire della storia, rispettivamente in cui il Cavaliere Dirk l’Audace cerca di salvare l’affascinante principessa Daphne dall’avido drago Singe o l’eroe spaziale Ace cerca di salvare l’attraente Kimberly e invertire gli effetti di un raggio laser che l’ha trasformato nell’adolescente Dexter.
La scena “sbagliata” avrebbe mostrato gli eroi morire in maniere grafiche ma buffe in un Game Over.
Proprio la natura del Laser Disc rendeva possibile una storia “interattiva”: esperimenti simili, perlopiù nel mondo dei giochi da tavolo, come Atmosfear su VHS, si scontravano con l’impossibilità di “selezionare una singola scena” e la difficoltà di mandare avanti o indietro rapidamente una VHS.
Un lettore LaserDisc poteva essere occultato in un cabinato da Sala Giochi oppure collegato ad un computer in grado di controllarlo mediante il cavo per il controllo da fonte esterna (un PC o un Amiga) consentendo di divertirsi con una avventura interattiva.
Semplicemente, in Occidente il VHS aveva ormai preso piede, e con l’arrivo dei DVD e dei giochi interattivi con filmati e tracce audio l’arte del lasergame divenne un ozioso esercizio di stile, ed oggi anche una miniconsole può emulare i laser game con molti meno cavi e meno equipaggiamento.
Mentre il CD Audio continua a vivere, sia pur insidiato dal vinile come oggetto di collezione ed esibizione e dal maggior valore iconico, il suo equivalente video è praticamente nato già morto in Occidente.
In Oriente il VideoCD ha goduto di un breve ma intenso periodo di gloria situato tra il LaserDisc e il DVD.
Nato originariamente come formato per il Karaoke il VideoCD godette dei progressi nella compressione dell’audiovideo passando da stivare pochi minuti di video musicali ad interi film.
Tranne che in Giappone e in Corea del Sud, in Asia il VideoCD sostituì di fatto le VHS: resisteva meglio all’umidità ed arrivò in un periodo storico in cui ogni abitazione occidentale e giapponese aveva un videoregistratore ma quasi nessun Cinese, Cambogiano, Vietnamita o Afgano ne aveva uno.
Sostanzialmente, accadde il DVD. Il DVD aveva pià spazio, maggiore qualità, la capacità di muoversi di scena in scena e poteva ospitare un intero film e qualche extra in un singolo disco.
Unito al fatto chhe fino al 1995 non esistevano VCD in formato PAL, molti europei sono passati direttamente dalla VHS al DVD.
Il VCD rimase, e rimane talora, in paesi dove il DVD è ancora un lusso: per un brevissimo periodo, quando erano disponibili lettori DVD ma solo masterizzatori CD, “comprimere” un film affittato in DVD in un VCD o in un file DivX era considerato una pratica accettabile.
Oggi, semplicemente, probabilmente masterizzeremmo direttamente su DVD o semplicemente apriremmo Netflix o Prime Video: in questo caso ipoteticamente ogni PC in grado di leggere un DVD potrebbe leggere un VCD, ma sempre meno PC sono venduti con lettori ottici (il mio ha un lettore Blu-Ray esterno).
Del CRT abbiamo diffusamente parlato qui.
Una tecnologia longeva, amatissima nel retro, ma attualmente nessuno è più in grado di fabbricare nuovi tubi catodici, né le norme di riferimemento consentirebbero di farlo.
Possiamo trovare ancora molte TV usate, “schede di controllo” universali da adattare ai tubi catodici esistenti, ma un giorno semplicemente i CRT esistenti cesseranno di esistere e dovremo cercare alternative.
Se eri un ragazzino negli anni ’90 ricorderai senz’altro il Casio My Magic Diary e i traduttori Multilanguage (ML). Piccoli oggettini con una tastiera e un monitor in grado di stivare numeri di telefono, pagine di diario e, per i traduttori, un gruppo di frasi utili nelle lingue principali.
Per il My Magic Diary due sensori ad infrarossi consentivano a due ragazzini di sfidarsi in giochi multiplayer: una ipotetica battaglia tra le facce più buffe generate da un identikit (utilizzabili anche per identificare i propri contatti in rubrica), oppure un minigioco di calcio in cui un giocatore indicava l’angolo della porta verso cui tirare e l’altro quello in cui avrebbe dovuto spostare il suo portiere per parare.
Con circa 160mila lire ragazzini e ragazzine avrebbero avuto diario, oroscopo, giochi, calcolatrice e una serie di bizzarri videogiochi.
Tra i giochi più gettonati, il calcolo dell’affinità di coppia per sfogare le prime cottarelle adolescenziali e la funzionalità di messaggistica a infrarossi per scambiarsi qualche segretuccio o pizzino virtuale.
Non lasciatevi infatti ingannare dalla presenza nei goffi menù virtuali della presenza di una rubrica “Business” ed una “Privata”. La funzione “diario segreto” (un diario accessibile con password), il multiplayer primitivo e l’affinità di coppia denunciavano chiaramente il target del prodotto: adolescenti attratti dalle nuove tecnologie.
Sono arrivati gli smartphone.
Ecco cosa è successo. Quando si è cominciato a dare i primi telefoni cellulari e poi gli smartphone ai ragazzini, non c’è stato più bisogno dei Magic Diary.
Una app può fare tutto quello che facevano loro e meglio, anche se con meno nostalgia.
Lo Smartphone ha sostanzialmente ucciso molti degli oggetti citati. Le agendine elettroniche ad esempio, ma anche i Walkman e i Discman: con un solo oggetto hai musica, i tuoi show televisivi preferiti, video, audio e una macchina fotografica.
Abbiamo visto però come il vinile goda ancora di perfetta salute nonostante le musicassette soffrano moltissimo l’assenza di lettori all’altezza, assenza che trasforma un potenziale ritorno in auge in una lenta agonia e floppy e CRT hanno dato origine ad un accaparramento retro degli esemplari rimasti.
Quello che sembra un piccolo miracolo, è vedere le vetrine ancora piene di macchine fotografiche usa e getta e pellicole Instax e Polaroid.
Anzi, poter comprare pellicole Polaroid perfettamente compatibili con modelli Vintage come la Polaroid Impulse 600 e sue riedizioni moderne.
Oppure comprare stampantine bluetooth in grado di trasformare ogni Smartphone in una Instax, la risposta anni ’90 del Giappone alle Polaroid.
Il fascino dell’usa&getta e il feticcio del “ricordo stampato” hanno riesumato sia le macchinette usa e getta che le Polaroid, tornate nei negozi con nuove formulazioni delle iconiche “cartucce” (che continuano a inseguire e cercare di ricreare l’effetto delle formule originali).
Oggi potete ancora comprare una Polaroid o una Instax rivivendo lo scontro Occidente/Oriente o girare con una compatta usa e getta per imbaracarsi nel tentativo di cercare un laboratorio di sviluppo e scoprire se le vostre foto sono venute così bene da giustificare un posto nell’albo dei ricordi o così male da giustificare la derisione dei vostri amici e parenti.
Rendendo così il passato un’occasione di ricordo e divertimento.
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