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Tecnologie retro che stanno facendo un ritorno (o non sono mai andate via)

Il retrocomputing e il retrocollezionismo sono mercati basati sulla nostalgia. Siamo pronti ad accettare il bagarinaggio nostalgico di diversi elementi della nostra infanzia, strapagare per un ricordo. Ma ci sono elementi culturali che non sono mai andati via, o meglio che alla fine tornano sempre in nuove forme, o in forme commerciali strappate al bagarinaggio.

Tecnologie retro che stanno facendo un ritorno (o non sono mai andate via)

Alcuni li abbiamo già visti, altri li vedremo assieme.

Il Giradischi

Vi ho dedicato un lungo articolo al riguardo ormai un anno fa.

Basti pensare che ancora adesso le vendite di dischi in vinile superano quelle dei CD come oggetto del desiderio fisico.

Siamo del resto dinanzi ad una generazione, quella degli attuali ventenni che tecnicamente potrebbe non aver mai posseduto né un giradischi e neppure un lettore CD, eppure tra adulti e anziani nostalgici e giovani il vinile ha dalla sua quell’aspetto da costoso feticcio che lo rende oggetto di collezione.

Comprando un disco in vinile ad esempio su Amazon puoi scoprire di trovarti la stessa musica automaticamente aggiunta alla libreria Amazon Music. Il vinile è diventato quell’oggetto di lusso da esibire per dare una forma tangibile all’intangibile mercato della musica in digitale, ormai metodo prediletto per la diffusione della stessa.

Tutti pazzi per il retro vinile (per non parlare delle cassette): musica come negli anni ’70, Foto di Mike Gattorna da Pixabay

Il che significa poter comprare giradischi per tutte le tasche: un anno fa vi ho parlato ad esempio delle economiche fonovaligie Crosley, o di riedizioni di “lussi accessibili” del passato come i mangiadischi/fonovalige giapponesi Columbia (rinato come l’Anabas GP-N3P) e SoundBurger, ma AudioTecnica e altri produttori di pregio continuano a creare nuove unità.

Cosa che pone il giradischi in netto vantaggio su un altro simbolo e coetaneo della sua epoca: il lettore di cassette, tecnicamente ucciso dal fatto che mentre c’è chi continua a produrre giradischi di buona marca, i lettori di cassette con buone meccaniche sono andati estinti, lasciando in vita solo gli esemplari più utilitari ed economici, ma imperfetti.

La cabina del telefono

C’era una volta, in tutta Europa, USA e nei paesi con una rete telefonica, la cabina del telefono.

La prima cabina del telefono fu installata in Germania nel 1881, e richiedeva l’acquisto di apposite tesserine di carta (non le schede magnetiche dei nostri ricordi) da un operatore.

Il primo telefono a gettoni fu brevettato invece negli USA da William Gray e George A. Long, il primo inventore di protezioni sportive per il baseball che si dice abbia avuto tale idea dopo essersi visto negare l’accesso in casa dagli abitanti di un quartiere dove era assieme a sua moglie quando ella aveva avuto un malore per chiamare soccorsi.

La sua idea era sostanzialmente che chiunque fosse stato fuori casa o privo di un telefono avrebbe potuto quindi chiamare soccorsi in caso di bisogno o telefonare a casa inserendo monete e gettoni in una gettoniera che facesse automaticamente il calcolo delle chiamate.

Cabine telefoniche tradizionali

Da allora la cabina telefonica ha fatto enorme strada, ed è diventata la madre di mille invenzioni.

Il bisogno tipico adolescenziale di ribellarsi e riuscire a rubare qualche interurbana per chiamare amici lontani creò la “cultura dei Phreaker”, i “Phone Hackers” che negli usa scoprirono che usando un fischietto (sostituito poi da registrazioni) per i imitare i toni usati dalle compagnie telefoniche per segnalare inizio e conclusione delle chiamate si potevano rubare telefonate alla compagnia.

Da noi in Italia virtualmente non esisteva località turistica senza file di persone pronte a tempi biblici di coda per telefonare a casa a nonni e genitori rimasti lì, controllare le prime segreterie telefoniche con accesso in remoto (non da Internet ovviamente, ma che “rispondevano” ad alcuni semplici messaggi vocali e/o toni dati dalla pressione di alcuni tasti) e risolvere piccole emergenze fornite sul momento.

Negli anni ’70 furono introdotte al posto dei gettoni e degli spiccioli le prime tessere magnetiche: in Italia la “Precursoria SIDA”, dal nome della ditta che la stampava, blu con bandella magnetica destinata al solo uso sperimentale.

Esempio di schede telefoniche

Ci vollero gli anni ’90 per arrivare alle tessere magnetiche “moderne”: plastificate, indeformabili (al contrario delle SIDA erano difficili da spiegazzare), nei formati da 5000 e 10000 lire col retro libero per sponsor e immagini. Ad inizio quelle di una trottola, poi spot commerciali, partnership e serie speciali per invogliare una forma di collezionismo.

Le schede magnetiche, specialmente in un’epoca in cui le carte di debito erano ancora poco diffuse tra la popolazione e le carte di credito per molti un lusso, divennero un oggetto ubiquitario e di collezionismo.

Oggi in Italia con delibera 98/23/CONS, pubblicata il 23 maggio 2023, si è stabilito che non esiste più un obbligo al mantenimento delle Cabine Telefoniche, di fatto stroncando la loro diffusione: le mercato delle schede del telefono era già stato messo in ginocchio dalle carte di debito e ricaricabili, egualmente arricchite da immagini e testi.

In altri paesi del mondo le cabine del telefono sono diventate cabine del book-crossing, cabine per defibrillatori, hotspots per WiFi e chioschi interattivi, nonché “stazioni per chiamata” isolate che consentono di avere privacy in open space e co-working.

Le macchine fotografiche istantanee

C’erano una volta le Polaroid e le Instax, strumenti coi quali ogni giovane poteva avere un ricordo di un momento gradevole senza dover passare da un fotografo per sviluppare i rullini.

In un’era in cui le macchine fotografiche digitali e i cellulari con fotocamera erano lontani da venire, l’unico modo per avere un ricordo istantaneo era ricorrere ad una macchina istantanea.

La storia delle Polaroid comincia negli anni ’30, da una serie di pellicole/foto in tre strati, di cui uno trasparente, un’emulsione chimica e una sorta di gelatina nella quale l’emulsione chimica, colpita dalla luce, si “tuffava” creando immagini che apparivano come per magia una volta esposta la pellicola all’immagine in 60 secondi.

Una delle nuove Polaroid

Negli anni ’70 ed ’80 anche Kodak e Fuji entrarono nell’agone, creando la Instax, versione orientale della Polaroid.

Per tutti gli anni ’80 e fino agli anni ’90 erano una vista comune ragazzi armati della loro Polaroid Impulse 600 o della loro Instax: ma con l’arrivo dei cellulari e delle macchine digitali, che consentivano di avere file immagine da guardare sul PC o stampare con una stampante a colori domestica, anche la Polaroid sbiadì come un ricordo malamente esposto alla luce.

Nel 2008 The Impossible Project decise di ricreare le pellicole Polaroid, o una approssimazione quasi perfetta, per poi diventare Polaroid Originals e Polaroid B.V.

Impulse originale, Polaroid Z-Ink e stampante Instax

Nello stesso anno la casa madre, o meglio quanto rimasto dopo il fallimento dell’originale nel 2001, poi confluita nella “nuova Polaroid” sotto la direzione creativa di Lady Gaga creò le “Zero Ink”, macchine fotografiche portatili competitive rispetto agli standard dell’epoca ma con una stampante in grado di produrre immagini a colori su carta termica adesiva.

Il fascino del Retro è tornato quindi a donarci nuove Polaroid Impulse e nuove pellicole compatibili con le vecchie macchine, esattamente come abbiamo nuove Instax, ma anche stampantine portatili connettibili con cellulari e console da videogiochi per trasformare entrambi in macchine Instax (ricordando l’amore dei Giapponesi per le foto adesive).

Nuove pellicole Z-Ink adesive e Polaroid

La scelta di FujiFilm peraltro fornisce un momento di unione tra due passioni retro: la Instax printer diventa quindi sia un mezzo per trasformare ogni cellulare in una instant camer che l’erede spirituale della GameBoy Printer, accessorio del 1998 che consentiva di stampare scene dei videogames o ricordi scattati con una (infima) macchina fotografica da collegare al GameBoy.

Esempio di stampa Instax da fonte Nintendo Switch (Legend of Zelda: Breath of the Wild)

Ovviamente la Instax Mini Link attuale, che godette anche di una edizione limitata a tema Nintendo Switch non è realmente interoperabile con la console: ma siccome Nintendo Switch è interoperabile con ogni smartphone Android ed Apple aggiornato, e la Instax Mini è progettata per funzionare con essi, il cellulare diventa mezzo di connessione per portare in vita le scene dei videogames più amati.

La scelta è ora tra Polaroid dal sapore retro identiche all’originale o Instax e Z-INK dal sapore delle piccole foto adesive care ai ragazzi ed alle ragazze dell’oriente degli anni ’80 e ’90.

Le macchine fotografiche usa e getta

A metà tra le macchine fotografiche e le Polaroid, negli anni ’80 e ’90 le macchine fotografiche usa e getta riunivano lo scarno costo di quello che tutto sommato era la più semplice macchina fotografica a cassetta con ottica fissa, costruita intorno ad una pellicola.

Costavano poco ed avevano la qualità di una macchinetta giocattolo da “fustino del Dash” o in omaggio con le riviste per l’educazione del fanciullo, come Topolino, e raggiunta una località di vacanza ti consentivano di avere una serie di ricordi con te senza dover rompere il portafoglio per una macchina fotografica migliore.

Il ritorno della Funsaver

La combinazione dell’imperfetta ottica quasi lomografica, il rustico fascino vintage di una soluzione povera ha reso le macchine usa e getta oggetto del desiderio da trovarsi in negozio assieme alle nuove Polaroid e Instax, ottenendo peraltro il nostalgico vantaggio di resuscitare il marchio Kodak dopo decenni di sparizione dai negozi.

Paradossalmente, ci sono voluti la Pandemia e il suo traino verso gli interessi nostalgici per risvegliare l’interesse nel “mercato della nostalgia” e riportare nei negozi l’eterno derby tra il fotografo da Polaroid e il fotografo da usa e getta Kodak, secondo il motto della casa “tu ci metti il dito sulla fotocamera, noi ci metteremo il resto”.

Il “feature Phone”, ovvero il vecchio, stupido telefono

Partiamo da un punto di vista: il Giappone il “telefono stupido” ha continuato a insidiare lo Smartphone almeno fino al 2010. Si chiamano “Galapagos Phone”, dal fenomeno studiato da Charles Darwin per cui l’evoluzione in posti deserti e lontani senza concorrenza assume forme strane.

In Giappone fino a poco più di un decennio fa quindi i “Gara-Kei”, telefoni identici ai nostri cari vecchi telefoni non-smart convivevano con gli smartphone, anzi superandoli in numero, avendo in essi tutte le funzioni che noi associamo allo smartphone.

Scena di “A Tunnel to Summer” dove è visibile un Gara-Kei: “Proto Feature Phone” che aveva già email e pagamento NFC prima di avere un sistema operativo complesso e lo schermo touch

I fan dell’animazione giapponese tra voi avranno recentemente visto in The Tunnel to Summer, the Exit of Goodbye la protagonista Anzu Hanashiro, conservare durante gli anni ambientati nella vicenda per motivi che non ho intenzione di spoilerarvi un “catorcio” di cellulare da lei usato al liceo perfettamente in grado di inviare email e navigare su Internet (nonché in una scena che farà strizzare l’occhio ai puristi, ingurgitare thè freddo e tramezzini usando un originale cabinato di Space Invaders! come tavolino), mentre altri Gara-Kei erano già in grado di usare modalità di “pagamento via telefono” affini ai nostri Google/Android Pay.

Cellulari “stupidi” ma in grado di navigare su Internet, inviare email (predilette da giovani Giapponesi perché il piano tariffario medio già prevedeva l’uso di 2G e 3G) e pagare con valuta digitale, e quindi amati quanto gli smartphone, spesso ornati con colorati adesivi e laccetti ornatissimi.

Ma anche da noi il “feature Phone”, ovvero il rottame è tornato di moda, ma per motivi opposti.

I Giapponesi hanno abbandonato il Gara-Kei quando Apple e i vari produttori di cellulari Android hanno inondato il mercato, mentre in Occidente la mania del “detox digitale” ha riportato in auge i Feature Phone.

Nokia Feature Phone

In una società sempre più teledipendente cellulari semplificati con accesso ad Internet, Whatsapp e Telegram vengono offerti come alternativa per l’utente che vuole svezzarsi dalla dipendenza smart, avere un cellulare che duri per giorni e giorni senza caricarlo e ostentare un certo fascino hipster.

Chi si sentisse radicale può rinunciare anche a quelle funzioni devolvendo ad un dumb phone: di fatto, un cellulare degli anni ’80 in un guscio moderno in grado solo di fare e ricevere chiamate.

Meglio sarebbe però usare il meno derisivo termine ombrello per entrambe le categorie: basic phone, o cellulare con le sole funzioni di base.

HMD Global, erede del marchio dell'”Indistruttibile Nokia” controlla il mercato nostrano dei basic Phones, mentre Brondi vende entrambe le categorie come strumento per introdurre gli anziani, solitamente più restii all’adozione di tecnologie nate dopo che la loro memoria muscolare si è stabilizzata, alle nuove tecnologie.

Tra utenti budget alla ricerca di un cellulare poco costoso che quantomeno funzioni con Whatsapp e Messenger, utenti in cerca di digital detox e anziani, il cellulare “stupido” sta avendo il suo rinascimento, come anche alcuni form factor un tempo comuni come il telefono a conchiglia e il “mattone”.

Il telefono a conchiglia, anche smart

Ma anche tra gli smartphone sta tornando il telefono a conchiglia, in grado di ridurre la sua mole piegandosi.

Strumenti come il Motorola RazoR e le varie generazioni del Galaxy Flip uniscono l’estetica vintage alla possibilità di estendere il display diventando quindi se non phablet direttamente affini a dei tablet.

Samsung Galaxy Flip 6

Al prezzo però di costi più elevati (e pronti a svalutarsi con l’inevitabile arrivo del modello successivo) ed una connaturata fragilità dovuta all’aumento delle parti mobili e dei punti di complessità.

Ma del resto, ora come allora, il telefono a conchiglia è sinonimo di pregevolezza e agiatezza.

Il cabinato arcade

In un mondo in cui le sale giochi si contraggono di numero anno dopo anno, succede che i cabinati diventino oggetto di lusso.

Qualche sala giochi resiste, come il Time Rift Arcade in Texas con la sua collezione di cabinati vintage restaurati, ricondizionati e, ove necessario, ricostruiti dalle valenti mani di David “8-bit Guy” Murray.

AT Legends Ultimate

Ma ci sono anche produttori come Arcade 1UP, Arcade Cabinet Machine, ATLegendsBitCade e vecchie glorie come NEOGEO pronte a trasformare i cabinet Arcade in mezzi di gloria e collezionismo.

Possiamo aggiungere a queste ditte un gran numero di amatori e collezionisti che, basandosi sull’interoperabilità offerta dallo standard JAMMA, costruiscono e ricostruiscono vecchi cabinet (talora sostituendo gli usurati e sempre meno reperibili schermi CRT con pannelli LCD, nonostante i problemi del caso) inserendo in loro emulazioni di più giochi vintage.

Il cabinato diventa una console da emulazione e un oggetto di arredamento.

Le console portatili

Oltre ai cabinati, tornano le console portatili. Negli anni ’80 e ’90 il Game Boy e il Game Gear, come il WonderSwan in Giappone, avevano perfettamente senso.

Gli smartphone, ma anche i Gara-Kei, non erano così diffusi come ora. Se avevi fame di giochi in macchina o in vacanza, dovevi placarla col gioco portatile.

Console vecchie e nuove, ma di simile form factor

Nintendo ha sempre mantenuto una console portatile nel suo listino, e quando ha smesso di farlo ha reso Nintendo Switch un ibrido.

Ma abbiamo visto con la nascita di GameStop Retro la vendita in esclusiva del Modretro Chromatic, console retrocompatibile col Game Boy.

Al pari di Analogue Pocket, la cui compatibilità si estende a tutte le console portatili del passato, e senza scomodare le console Miyoo e Anbernic di cui abbiamo parlato, che forniscono emulazione accessibile e a basso costo.

Perché tutto questo sta tornando?

Ovviamente, se siete arrivati fin qui lo sapete: la nostalgia è un potentissimo motivatore, e con in mezzo una Pandemia e il fatto che in questa economia il potere di acquisto è sostanzialmente concentrato se non esclusiva di coloro che potevano in infanzia fruire di questi oggetti che ora possono nuovamente detenere è ovvio che in età adulta si cerchi di avere in abbondanza quello che in gioventù si desiderava molto.

Inoltre buona parte della spinta più “hipster” è il detox , dove la spinta primitiva ed ecologista sovente si traduce in un rifiuto della tecnologia “a targhe alterne” di cui tutti siamo un po’ colpevoli.

Usare una Polaroid consente ad esempio di scattare foto senza dover ricorrere alla “schiavitù del cellulare”, ascoltare musica in vinile ti consente di avere il tangibile feticcio dell’intangibile musica e poterti distanziare dal computer e le schede telefoniche ispirano più simpatia e “tenerezza” delle carte di debitgo.

Eppure arriviamo alle targhe alterne: una foto Instax o Polaroid finirà comunque prima o poi “Instagrammata” per mezzo dello scanner o della sua copia digitale nativa, un Feature Phone avrà accesso a Whatsapp e ogni oggetto vintage, sappiamo bene, sarà propagandato a mezzo social, quindi a mezzo modernità.

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