Chi sono i condivisori compulsivi
L’abbiamo spiegato tantissime volte, ma ci siamo resi conto di aver pubblicato una guida dedicata solamente ai mendicanti del web e non ai condivisori compulsivi che veramente si trovano alla base di ogni malefatta perpetrata sui social. In parole povere: i mendicanti del web si nutrono attraverso i condivisori compulsivi, e se i condivisori compulsivi smettessero di esistere allora non avremmo più mendicanti del web.
No, non parliamo di estinzione ma di consapevolezza. Se tutti smettessero di obbedire passivamente a chi scrive “condividi”, “fai girare”, “copia e incolla ai tuoi contatti” e via discorrendo, cosa resterebbe ai viralizzatori? Niente. Pare poco? A volte sì, ma certe volte no.
Cos’è un condivisore compulsivo?
Il condivisore compulsivo è l’utente che condivide perché qualcuno gli dice di farlo. Il viralizzatore sa che un certo tipo di utenza ragiona per “non si sa mai”, e dunque crea contenuti che gli daranno una certa visibilità. Quando il web scoprirà che si tratta di una bufala sarà troppo tardi. La memoria ci insegna che vi sono tanti tipi di condivisioni che fanno gola al condivisore compulsivo, e vi facciamo alcuni esempi di quelli apparentemente meno gravi:
- Una catena di Sant’Antonio girava velocemente su Facebook per segnalare la necessità di sangue RH positivo o negativo per un bambino affetto da leucemia fulminante presso l’ospedale Pausilipon di Napoli. Del bambino venivano diffusi nome e cognome. Ci contattò la mamma del bambino, esasperata dal perserverare di quella catena che lei stessa aveva tentato di fermare segnalando i post e parlando con chi condivideva: il bambino era veramente ricoverato per una leucemia, ma non era fulminante e non vi era urgenza di donare il sangue. Una donna, messa al corrente dell’inutilità dell’appello, minacciò di morte la mamma del piccolo. Per saperne di più potete leggere il nostro articolo del 24 settembre.
- Un appello per un cane di nome Willy, rimasto orfano dalla padrona, riprende ciclicamente a circolare di bacheca in bacheca con riferimenti telefonici utili per trovargli una casa. Peccato, però, che il campione a quattro zampe aveva già trovato una famiglia nel 2017 e su Facebook esiste ancora la smentita. Ecco il nostro articolo.
- Un post su Facebook, senza alcun riferimento a una fonte, riportava che un bambino nato da appena 40 giorni era stato abbandonato all’ospedale Giovanni XXIII di Bari e aveva bisogno di vestiti. In quell’occasione Silvia Frattasi, presidente dell’associazione “Seconda Mamma”, aveva dichiarato che la situazione era sotto controllo e che le autorità e i Servizi Sociali erano al corrente di quanto era accaduto, e soprattutto che non c’era bisogno di vestiti. La foto pubblicata su Facebook, addirittura, non era autorizzata. Nonostante lo stop diffuso sui social e sugli organi di stampa, alcune persone si ostinavano a voler entrare in reparto nonostante non fosse concesso. Ecco il nostro articolo.
Un condivisore compulsivo può essere pericoloso?
Sì, solo che non sempre ne è consapevole. Anzi, no: se fosse consapevole del rischio eviterebbe di premere “invio”, quindi no, non è mai consapevole. Perché può essere pericoloso? L’esempio è facile: se mi mandano una foto di vostro zio – che io non conosco – e mi dicono di condividerla perché «quest’uomo violenta i bambini», se fossi un condivisore compulsivo la condividerei. Si scoprirà, poi, che vostro zio è un uomo mite, buono e trasparente, che non ha mai toccato un bambino e soprattutto è stato aggredito da persone che hanno creduto alla bufala sul suo conto. La fonte? Un messaggio arrivato su WhatsApp o Messenger. Molte persone diventano rosse in viso, quando si tratta di bambini. È vero, i bambini non si toccano, ma chi ha la prova, in questo caso, che siano stati toccati? No, nemmeno il contatto che vi ha girato il messaggio, anche se si tratta del vostro partner: se non c’è fonte, verificate prima di fare qualsiasi cosa.
Nel mondo dei social le condivisioni hanno sostituito la regolare denuncia presso le forze dell’ordine. Ha senso? No. Per fermare un criminale bisogna recarsi presso gli organi di competenza. Loro faranno le indagini, non voi. Anche se quella notizia vi ha disgustati, vi ha fatti arrabbiare, accettatelo: senza prove non esiste notizia.
Stiamo esagerando? Bene, continuate a leggere. Volete sapere in quali occasioni un condivisore compulsivo si è dimostrato pericoloso? Ecco un brevissimo elenco:
- Lo citiamo sempre, ma non ci stancheremo mai di ricordare il caso di Alfredo Mascheroni, un barista colpito da un’accusa di pedofilia inventata da qualcuno che lo odiava. Il messaggio in cui si chiedeva “segnala e condividi” lo rovinò, letteralmente, scatenando famelici detrattori che si recarono presso la sua attività e gliela vandalizzarono. Non era vero niente, Alfredo era un brav’uomo e un onesto lavoratore. Ecco il nostro articolo.
- Una foto di due uomini parlava di truffatori travestiti da dipendenti Enel, e chiedeva la massima diffusione. Le due persone ritratte erano veramente dipendenti Enel e dovettero recarsi presso le autorità per sporgere denuncia ed evitare rappresaglie. Ecco il nostro articolo.
Sì, è sufficiente. Avete un grande potere, e questo potrebbe logorarvi se non acquisite consapevolezza. Obbedire passivamente non fa di voi persone migliori. Sui social, imparatelo, non esiste il “non si sa mai”. Verificate sempre.
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