Soffiare nelle cartucce dei videogiochi non serviva a niente allora, e neppure adesso
Per le false credenze di oggi, ci è capitata una richiesta che costituisce un crossover con la nostra rubrica retro: ovvero il mito di ogni ragazzino degli anni ’80 per cui soffiando nelle cartucce di Atari e Nintendo si sarebbe in qualche modo ripristinata la connessione.
Mito che ha avuto un eterno ritorno contando che Nintendo continua ad usare le cartucce come mezzo di distribuzione dei giochi sulla sua Nintendo Switch e che Atari ha rimesso in vendita recentemente una versione rivisitata dell’iconico Atari 2600 (veramente un Atari 7800 nel guscio di un 2600 con uscita HDMI aggiunta), con tanto di cartuccia come unico mezzo per caricarvi giochi.
Soffiare nelle cartucce dei videogiochi non serviva niente allora, e neppure adesso
In realtà soffiare nelle cartucce era solo un placebo, un placebo che però ti portava all’unica cosa sensata da fare: provare a reinserire e inserire più volte la stessa cartuccia.
Se si dice che ripetere la stessa azione aspettandosi un diverso risultato sia l’opera di uno sciocco, parlando di cartucce invece era l’unica cosa sensata.
Meccanicamente, una cartuccia è una scheda con delle “dita” metalliche che si incastrano in un connettore con delle piccole “mollettine” per tenerlo ben salvo.
Nintendo e altri produttori scelsero connettori che richiedevano la minima forza possibile per la massima sicurezza di connessione: del resto vendevano console a dei bambini.
Bambini che di certo non avevano la forza di Ercole, ma neppure cognizioni di elettrotecnica.
Dal punto di vista funzionale una cartuccia non è diversa da una scheda di espansione per il vostro PC: anche quella va in uno slot e deve fare un buon contatto.
Ma una cartuccia viene tolta e rimessa ripetutamente: significa che, dagli e dagli, l’usura comporta una serie di fenomeni. In primo luogo col tempo lo slot all’interno della console diventa meno elastico e più usurato di come era appena comprato.
Parimenti la cartuccia si riempie di piccoli invisibili graffietti, ma se guardate sulle vostre vecchie cartucce con una lente di ingrandimento li vedrete comunque.
Il che ancora non giustifica da sola la perdita di funzionamento è perché il “soffio della vita” sembrava sempre funzionare.
Dobbiamo aggiungere altri due fattori: nonostante le istruzioni raccomandassero di rimettere le cartucce nella scatola dopo ogni uso, pochi lo facevano davvero.
E la stessa console raramente veniva tenuta pulita.
Quindi si formava uno strato di sporcizia, umidità e corrosione che copriva parzialmente quelle “dita”, rendendo ulteriormente difficoltoso il collegamento.
Cosa succedeva “soffiando”?
Ora, per un bambino di 8 anni lo sporco è “la polvere”. Il concetto di ossidazione e usura del metallo gli è ancora ignoto. La madre gli ha insegnato che bisogna tenere pulito spolverando, quindi se vede della polvere in una cassetta lasciata abbandonata, ci soffia dentro. Se vede qualcosa che “fa ombra dentro i connettori” sicuramente è polvere.
Ma spesso polvere non era, era ossido.
Soffiando toglievi la polvere, e poi provavi a togliere e rimettere la cartuccia finché il “soffio magico” non funzionava. In realtà era lo stesso connettore nella console a “sgrattare” sulle “dita” della cartuccia, rimuovendo un po’ di ossido e facendo contatto.
Inoltre di tentativo in tentativo si finiva, specie quando era la console ad essere usurata, a agganciare l’angolo giusto nel quale il metallo del connettore e quello della cartuccia facevano ancora buon collegamento, e il gioco ripartiva.
Già all’epoca erano disponibili, ma poco diffusi, kit per pulire le cartucce e le console senza aprirle: finti slot per cartuccia foderati di un panno ben steso, o finte cartucce con del feltro, che potevi umettare di alcol isopropilico e usare, togliendo e reinserendo, perché strofinassero e pulissero.
E questa era l’unica cosa sensata da fare: soffiando infatti mandi minute gocce di saliva nella cartuccia a creare l’ambiente ideale per nuova ossidazione, specialmente nei punti in cui i graffietti che abbiamo citato hanno sciupato la superficie.
Col tempo, anche sgrattando a forza di “togli e metti”, la corrosione cresce e rovina tutto.
Cosa dovrei fare invece?
I kit di pulizia vintage si trovano ancora nel mercato dell’usato, e se ne trovano di nuovi.
Ma la cosa più efficace da fare è usare un cottonfioc intinto nell’alcol isopropilico: aprire le vecchie cartucce (si trovano in commercio cacciaviti particolari per le viti di sicurezza usate), estrarre la scheda, pulire il guscio con acqua e far asciugare bene, pulire la scheda elettronica con dell’alcol e un cottonfioc.
Solo alcol: l’umidità abbiamo visto distrugge i contatti stessi, l’alcol evapora. Se l’ossidazione fosse davvero ostinata, si può provare a usare una gomma da cancellare al posto del cottonfioc, oppure del bicarbonato di sodio umido su uno spazzolino, ma prendendosi cura di “ripassare” con alcol per togliere ogni residuo prima.
Naturalmente, meno sgrattate, e meglio sarà: se siete arrivati al punto di dover usare il bicarbonato, dovrete controllare se c’è rimasto abbastanza materiale per fare contatto.
Dal lato della console uno spazzolino aiuterà a entrare in profondità nel connettore rimuovendo sporcizia ed ossidazione, e si potrà valutare l’esistenza di connessioni usurate oppure rovinate e la necessità di rimpiazzare il connettore stesso: del resto, un connettore vede molte cartucce.
Per console nuove come la Nintendo Switch? Generalmente non servirà: la tecnologia ha fatto passi da gigante, e le cartucce “minime” della Switch non consentono neppure agevole smontaggio.
Potrete quindi limitarvi a ricordarvi di riporle sempre nelle apposite confezioni senza mai lasciarle a marcire all’aperto e trattarle con cura: su un datato 3DS con problemi di lettura prima di portarlo a riparare potrete provare a togliere e rimettere una decina di volte la stessa cartuccia, a console spenta, per vedere se avete staccato un po’ di morchia.
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