Società cinese gira video razzisti sui bambini africani per venderli sui social: ora lo sai
I video dei bambini africani pesantemente derisi e umiliati a loro insaputa risalgono a quasi una decina di anni fa. Difatti, già nel 2017 la BBC parlò di questo detestabile scandalo, ma l’effetto non fu quello sperato.
In questi giorni, però, l’emittente inglese ha nuovamente sollevato il problema riguardo la notizia, girando addirittura un documentario inchiesta. L’emittente inglese difatti ha denunciato lo sfruttamento di molti bambini africani da parte di alcuni videomaker cinesi privi di scrupoli. Nei filmati le giovani vittime non solo vengono schernite, ma in alcune occasioni vengono persino torturate psicologicamente.
Secondo quanto è emerso dal documentario della BBC uno tra gli ideatori di questi video è un certo Lu Ke, di nazionalità cinese. L’uomo ha creato un vero e proprio business con guadagni di migliaia di dollari al giorno, grazie alla vendita di centinaia di questi video. Nel documentario Lu Ke ⎯ ignaro di essere ripreso da una telecamera nascosta ⎯ spiega a un falso acquirente complice della BBC che il motivo per cui ha scelto l’Africa è dovuto al fatto che gli africani «sono un popolo senza morale», «primitivo e dedito al furto».
Cosa contengono i video?
Sapere esattamente dove siano stati girati molti di questi filmati non è semplice, anche se il villaggio di Lilongwe, in Malawi, sembra essere uno tra i siti preferiti dal “regista” Lu Ke ― conosciuto più semplicemente con il soprannome di Susu che in lingua locale significa “zio”. In poche parole ai bambini viene chiesto di ripetere delle frasi in cinese. Ovviamente non ne conoscono il significato.
Lo fanno per avere i 50 centesimi di dollaro giornalieri promessi come “stipendio”. Buona parte dei video vengono girati su commissione. I temi più richiesti sono le ricorrenze, come ad esempio felicitarsi per un matrimonio, confessare il proprio amore alla fidanzata, augurare buon compleanno o celebrare anniversari o lauree.
A quanto pare, viste le migliaia di richieste, ai cinesi piace molto sentire il proprio nome pronunciato da un bimbo africano con alle spalle le capanne del villaggio e come sfondo la savana. Basterebbe già questo per dimostrare l’indegno sfruttamento. Come denunciano però molti genitori, uno tra i problemi maggiori causati da questi video è l’abbandono della scuola da parte dei bambini.
Tuttavia quelli che colpiscono maggiormente sono i filmati di chiaro contenuto razzista. Ai bambini difatti viene detto di ripetere frasi in cinese come ad esempio: «Sono un mostro nero», «Meglio la pelle bianca di quella nera» oppure «Abbiamo un basso quoziente intellettivo». Per assicurarsi che il futuro acquirente comprenda bene le frasi in cinese, pronunciate con evidente accento malawiano, queste vengono anche scritte su una lavagnetta ben visibile.
Come se non bastasse alcuni bambini vengono addirittura torturati psicologicamente, mostrando loro dei piatti stracolmi di croccantissime patatine fritte per poi privarli allo scopo di lasciarli delusi e affamati.
Non mancano di certo i video più spinti, ovvero quelli in cui i bambini sono filmati in posizioni sessuali al limite della pedopornografia. Contrariamente a come si può pensare, tutti questi video non sono segreti né tantomeno riservati ad una élite di persone esclusive.
Piuttosto i siti come questo, o pagine Facebook come questa, sono aperti a chiunque voglia acquistare o commissionare un video. Il prezzo varia dalle decine alle centinaia di dollari, secondo le richieste. Addirittura, come scritto sul sito: il committente è avvisato che a causa di possibili piogge, interruzione di corrente o altre problematiche tipiche dei luoghi africani, ci potrebbe essere un ritardo sulla consegna.
Come si difende dalle accuse Lu Ke
Davanti alle telecamere della BBC Lu Ke nega di aver detto che gli africani siano dei ladri e inferiori di morale. Anzi, dice che ciò che sta facendo altro non è che un gesto filantropico. Una sorta di missione al fine di insegnare ai bambini la cultura e la lingua cinese. Poi dice che sono pagati (50 centesimi al giorno ndr). Addirittura li chiama “artisti” e dice di aver avuto sempre il massimo rispetto per ognuno di loro.
Peccato che nel documentario si vede chiaramente Lu Ke intento a farsi massaggiare da alcuni bambini. In un’altra circostanza, invece, si è addirittura fatto lavare i piedi come segno di superiorità razziale. Sempre nel documentario un bambino dice di aver subito violenze fisiche per non aver rispettato il copione di un video. A testimoniarlo è anche la mamma, la quale conferma la versione del figlio.
Da chi parte la denuncia
Oltre al colosso inglese BBC, uno tra i primissimi a denunciare questo sfruttamento è stato Berthold Ackon: uno tra i più famosi e importanti youtuber ghanesi, conosciuto ai suoi follower con il nome di Wode Maya. Il ragazzo, che si è laureato all’università di Lingua e Cultura di Pechino, conosce bene il cinese ed è proprio per questo motivo che ha avuto modo di comprendere quello che dicono i bambini davanti alla telecamere.
La sua denuncia in questo video, pubblicato due anni fa, non è solo rivolta ai cinesi, colpevoli di razzismo, ma anche al governo del Malawi il quale, secondo lo youtuber, sarebbe complice di propagandare la superiorità cinese a discapito di quella africana. A quanto pare dietro i video ci sarebbe una rete parecchio estesa di finanziatori cinesi.
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