Recentemente mi sono imbattuta in alcuni fatti di cronaca che hanno un elemento in comune, cioè lo stretto connubio fra social e nuove generazioni. In particolare questi fatti riguardano giovani adolescenti che, purtroppo, si sono ritrovati a perdere la vita in seguito ad alcune challenge su un social relativamente nuovo chiamato “TikTok”. Una, in particolare, prevedeva il cingersi attorno al collo una cintura per trattenere il respiro per alcuni secondi. Tuttavia ce ne sono state anche altre più risalenti, balzate agli onori della cronaca, egualmente pericolose e diseducative come la famigerata “Blue whale challenge” che consiste in una serie di sfide che terminano con un’ultima che porta a togliersi la vita, o ancora un’altra che prevede di fare due giri intorno alla vita con le cuffie del cellulare e fare un fiocco con le stesse, pena il rendersi conto di non essere propriamente in forma. Questi tristi fatti mi hanno portato a fare una serie di considerazioni tra me e me. Nel farlo mi sono soffermata su due cose in particolare: dapprima ho operato un parallelismo, nei limiti del possibile, in termini di utilizzo dei social con la generazione precedente (millennials), in seguito mi sono chiesta, alla luce dei fatti sopra citati, se servano ‘istruzioni per l’uso’ dei social (ma più in generale di internet) da far conoscere ai nativi digitali e, qualora fosse necessario, in che modalità trasmettere tale libretto di istruzioni senza passare per bacchettoni ai loro occhi.
È necessario, prima di tutto, fare una premessa: che i bambini di oggi nascano con un ‘cellulare in mano’ non è una frase da boomer detta tanto per, ma un dato di fatto. A riprova di ciò la generazione Z entra in contatto con un moderno dispositivo elettronico dotato di connessione internet, quale uno smartphone, un pc o un tablet in maniera spontanea, quasi naturale, senza bisogno che qualcuno effettivamente le insegni né in che modo utilizzare il dato oggetto né come gestirne il potenziale. I bambini, infatti, hanno una skill innata in tal senso che li porta sin dalla più tenera età a saper maneggiare la tecnologia.
Ciò è tanto più accreditato se si pensa, per fare un esempio, alla differenza d’approccio che le nuove generazioni hanno rispetto alla generazione precedente, i millennials, con i social network. Per noi millennials quello con i social è stato un avvicinamento graduale e in continua evoluzione temporale.
Inizialmente Facebook (tipo nel 2009) era usato solo da pochissimi per lo più per giocare a FarmVille, successivamente si è diffuso fra noialtri acquisendo la fama di “piattaforma per socializzare e rimanere sempre in collegamento con gli amici”: nei primi anni di diffusione in Italia Facebook ha acquisito sempre più consensi fra i giovanissimi proprio perché consentiva di rimanere sempre collegati sia con l’amichetto di scuola visto fino a due minuti prima, sia con lo zio ultrasessantenne residente a Montevideo, ai quali si potevano inviare un’infinità di messaggi senza doverli centellinare per evitare pagamenti extra: eh sì, perché c’è stato un periodo in cui quasi tutti avevamo una promozione telefonica che ci consentiva di mandare 100 messaggi al giorno (non uno di più), per cui quando abbiamo appreso dell’esistenza di un mezzo che ci consentiva di inviare anche 101 messaggi al secondo abbiamo pensato di aver tra le mani la risposta a buona parte dei nostri problemi. Più o meno lo stesso discorso può esser fatto per altri social: Instagram è stato un social di nicchia per molto tempo prima di affermarsi come Facebook (se non addirittura superarlo quanto a utilizzo), Twitter lo usavamo in pochissimi al fine di seguire i personaggi famosi, tipo me per pedinare Harry Styles (oggi a questo nobile utilizzo ne ho aggiunto un ulteriore: fare una zelante telecronaca di programmi televisivi dallo scopo tutt’altro che educativo).
Nel tempo è mutato anche il modo dei millennials di usufruire dei principali social network. L’iniziale approccio a Facebook è stato quello di chi non ha capito bene il meccanismo, un po’ come mia nonna innanzi a un touch screen, in egual misura noi abbiamo utilizzato i social agli esordi: ci davamo l’appuntamento in piazza con i nostri best friends forever&ever ad un orario assai trasgressivo, tipo le 18:00, ignari del fatto che di quel nostro appuntamento scritto in bacheca potesse venirne a conoscenza chiunque facesse parte della nostra cerchia di amici virtuali, condividevamo link di dubbia utilità stile “CoNdIvIdI sE iL tUo NoMe InIzIa x I <3”, uh guarda che casualità mi chiamo Ilaria, condivido sulla mia bacheca! Per non parlare poi del linguaggio utilizzato intriso di abbreviazioni, ogni singola parola veniva abbreviata “cmq” al posto di comunque, “xk” invece di perché, si voleva risparmiare tempo evidentemente, d’altronde si sa quanto sia piena di impegni l’agenda di un primo adolescente. Anche l’uso di Instagram nel tempo è cambiato: siamo passati dal momento iniziale nel quale ritenevamo opportuno pubblicare ogni singola cosa, anche lo scatto ritraente lo scaldabagno di casa nostra opportunamente “filtrato” con Retrica, all’essere (o ritenere di essere) dei fashion blogger oppure dei fotografi concettuali, a seconda dei casi.
Questo excursus sul modus operandi dei millenials in relazione ai social è utile per capire un dato fondamentale, ovvero che si è trattato di un avvicinamento lento, quasi, se vogliamo, ‘bambinesco’ agli strumenti di connessione virtuale, avvenuto in concomitanza con gli sviluppi e gli aggiornamenti che hanno attraversato questi stessi strumenti sino ad arrivare alla forma con cui li conosciamo oggi.
Lo stesso non si può dire per la generazione Z.
I nativi digitali, infatti, nascono in un contesto storico in cui i social non costituiscono la novità bensì la normalità; di fatto per loro è impensabile immaginare una socialità senza il tramite di Instagram o Facebook, così come un appartenente alla generazione X difficilmente immagina una corrispondenza fatta solo di lettere senza la possibilità di utilizzare un telefono fisso. Questo per la banale ragione di essere nati vedendo, ad esempio, Facebook come social network affermato in uso tra le persone (tutte le persone, non alcune persone) oppure WhatsApp come strumento di messaggistica principale (al posto degli ormai desueti sms).
Ed è con questo argomento che arrivo al nocciolo del mio discorso: se è vero che viviamo in un contesto storico- culturale in cui la tecnologia e i social, in maniera particolare, sono la normalità, è vero anche che gli stessi, in virtù della vastità di informazioni e contenuti che forniscono ai loro utenti quotidianamente, se da un lato costituiscono uno strumento preziosissimo sempre a nostra disposizione, dall’altro per lo stesso motivo potrebbero essere fonte di minacce più o meno insidiose in particolare per i più giovani che potrebbero, nell’ingenuità dovuta alla giovane età, non saperle neppure riconoscere per poi poterle evitare.
Questo è il motivo per il quale in definitiva mi sento di dire che quelle ‘istruzioni per l’uso’ di cui ho parlato in precedenza potrebbero servire alle nuove generazioni non già in relazione all’utilizzo prettamente meccanico dei dispositivi tecnologici che per loro avviene in maniera spontanea nonché immediata, quanto più in relazione alle loro potenzialità contenutistiche che, se non gestite nella maniera opportuna, portano a spiacevoli conseguenze. Alla luce di quanto detto i media così come anche la pubblica istruzione dovrebbero prendersi la briga di educare i ragazzi, con l’ausilio di esperti che sappiano comunicare le informazioni correttamente ma soprattutto con linguaggio e modalità che siano congeniali al pubblico uditore, al corretto utilizzo dei social e di internet affinché sappiano maneggiare strumenti di connessione sociale divenuti oggigiorno indispensabili come pane quotidiano, tanto a livello lavorativo quanto a livello ricreativo, riducendo però al minimo gli eventuali rischi sottostanti.
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