Skara Brae è un nome che sembra uscito da un fantasy, anzi, in almeno due fantasy è stato usato come nome. Parlo di The Bard’s Tale (1985), dove Skara Brae è il nome di una città fantasy invasa dai mostri e della saga di Ultima, dove è un borgo marittimo dedito al valore della Spiritualità.
Ma entrambi i mondi fantasy non hanno alcuna relazione se non di nome con la vera Skara Brae, un borgo neolitico, patrimonio dell’UNESCO, e popolato nel 3100 a.C. fino al 2500 a.C. circa, quando fu abbandonato e i suoi abitanti residui presumibilmente cercarono un posto migliore dove vivere.
Nel momento di massimo splendore, a Skara Brae vivevano dalle 50 alle 100 persone, che facevano vita in comune, in case costruite sui midden, ovvero collinette artificiali di rifiuti (per capirci, tanti piccoli Testaccio, collinette di rifiuti e scarti come il Testaccio era fatto da cocci di anfore scartate), ovvero conchiglie, compost e altri scarti alimentari.
Sono arrivate a noi dieci casette, collegate l’una all’altra in una specie di condominio preistorico: gli abitanti di Skara Brae potevano farsi visita a vicenda senza dover uscire all’aperto, sfidando il freddo delle Orcadi, esattamente come noi possiamo scorrazare per il pianerottolo incontrando i nostri vicini.
Le case di Skara Brae, al pari dei nostri condomini moderni, sembrano essere costruite peraltro in modo standard, perlopiù indistinguibili l’una dall’altra. Tutte con del mobilio in pietra (il legno, prezioso e raro dato il clima, era usato per costruire utensili e come materiale edile), con credenze, scaffalature per riporre materiale e un focolare per bruciare alghe secche e sterco, tutte con una piccola finestrella, ma abbastanza spaziose (una trentina di metri quadri, un grande stanzone).
Le casette di Skara Brae dovevano essere tutte assai fumose: il fuoco doveva ardere tutto il tempo per sopravvivere ai freddi, e due case tra quelle pervenute sono diverse: la casa numero 8, piena di pezzi di selce e materiali, probabilmente un luogo di incontro o il laboratorio di un artigiano e la casa numero 7, visitabile in un tour virtuale, con una porta sprangabile dall’esterno, costruita sopra il luogo di sepoltura di due donne e con un letto istoriato con caratteri similrunici, ancorché munita di comfort come un focolare e una credenza.
Forse una prigione, forse un posto rituale.
Quando Skara Brae venne abbandonata, rimase indisturbata e fu ricoperta dalla sabbia e dalla terra fino all’anno 1850 d.C., quando William Watt, signore delle terre vicine e aspirante archeologo poté realizzare il sogno della sua vita e darsi all’archeologia sul campo.
Ci vollero decenni e una barriera per proteggere Skara Brae dal mare, ma la città fu riscoperta. I suoi antichi abitanti erano parte del popolo della ceramica scanalata, e si lasciarono dietro ematite per l’uso nella lavorazione della pelle, artefatti d’osso e piccole pietre tonde scolpite con simboli runici, forse pesetti, forse oggetti rituali da usare come “segnalini” per decidere chi avrebbe parlato in assemblea.
La presenza di scatole per le esche e quello che sembra un bacino/piscinetta per i pesci fa pensare che gli abitanti fossero dediti alla pesca.
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