Prima dei test il diabete si diagnosticava assaggiando le urine: questa la domanda che ci è stata posta mostrandoci video dove questa pratica viene effettuata. Ma voi non dovete farlo, per lo stesso modo per cui in caso di ipertensione potete andare dal medico e non farvi cospargere di sanguisughe e tagli in fronte dal barbiere tonsore, in caso di carie dovreste andare dal dentista e non dal “maniscalco cavadenti”, e preghiere scritte sui cuscini non sono accettabili pratiche mediche.
Fino al 1841 semplicemente non esisteva metodo per diagnosticare il diabete. La malattia esiste sostanzialmente da quando esiste la storia umana, con le prime tracce per iscritto del Diabete di Tipo 1 in manoscritti del 400 BC.
I nostri antenati sapevano quindi che esisteva una malattia che causava sovrabbondante produzione di urine e conduceva alla morte, e sapevano che in alcuni casi le urine acquisivano un gusto zuccherino, in alcuni testi antichi descritto come “in grado di attirare le formiche”.
Non sapevano molto altro, per costernazione dei malati.
Cinesi, Egizi e Greci conoscevano il diabete, e Apollonio di Memphi gli diede il suo nome attuale, da “Dia-betes”, ovvero “passare attraverso” e proponendo semplicemente di ridurre la quantità di acqua data ai malati per evitare i sintomi che poteva osservre, ovvero continuo urinare, alitosi, generale deterioramento psicofisico.
Gli Antichi Romani consideravano il diabete una malattia assai rara, e non perché (come molte branche del complotto tutt’ora dichiarano), nell’antichità “si viveva meglio e in modo più salubre”: ricordiamo che nel mondo antico la mortalità infantile era elevatissima e l’età media compresa tra i 30 e i 50 anni circa, con “venerabili vecchi” circoscritti tra i ceti patrizi e, generalmente, con molte malattie una condanna a morte.
Semplicemente il diabete era raro perché “diagnosticato” nei casi più gravi e solo a sintomi evidenti, con medici come Areto di Cappadocia pronti ad attribuire il Diabete a umidità e “colpi di freddo” proponendo improbabili diagnosi differenziali con l’avvelenamento da serpente perché anche esso causava aumento della sete.
A Roma nacque la definizione di Diabete Mellito, ispirata alla “dolcezza” delle urine, che per buona parte del medioevo fu il motivo per cui i medici medioevali assaggiavano le urine dei pazienti alla ricerca di zuccheri.
Dovremo aspettare il 1769 perché William Cullen ipotizzasse il Diabete Insipido, precedentemente confuso col Diabete Mellito e perché Johann Peter Frank dell’Università di Pavia lo codificasse nel 1794.
E dovremo aspettare il 1841 perché Karl Trommer, producesse il primo test funzionale per la diagnosi del diabete mellito, sottoponendo campioni di urine a idrolisi acida.
Sostanzialmente e in modo molto semplificato aggiungendo un reagente si otteneva un cambio di colore nel campione indicante la presenza di zuccheri, col risultato però di non ottenere una diagnosi su casi “minori”.
Nel 1849 il test fu migliorato da Herman von Fehling creando la soluzione o liquore di Fehling, un test molto più sensibile superato nel 1907 dalla soluzione di Benedict (dal chimico Stanely Rossiter Benedict), che nel 1940 fu finalmente distribuito in un kit domestico che poteva essere usato da tutti senza dover ricorrere ad analisi di laboratorio.
Attualmente siamo in grado di misurare il glucosio direttamente nel sangue, usando test sviluppati a partire dal 1960 dalla Ames Corporation (ora Bayer) ed ora con test sempre basati sul glucosio nel sangue in grado di essere usati con apparecchiature e sensori moderni.
Nel frattempo, nel 1889 Joseph von Mering e Oskar Minkowski scoprirono il ruolo del pancreas nella causazione del diabete mellito, il medico rumeno Nicolae Palescu scoprì di fatto l’insulina (il cui nome deriva dalle “Isole di Langerhans” nel pancreas) nel 1916 e quattro ricercatori Canadesi Frederick Banting, John Macleod, Charles Best, e James Collip codificarono e svilupparono l’uso terapeutico dell’insulina.
Avevamo quindi una diagnosi affidabile e un metodo di cura che non fosse “mettiti a dieta e spera di non morire”.
Oggi quindi non abbiamo più bisogno di bere urine. Per fortuna.
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