Abbiamo già parlato dei giochi panellenici, ricordando che esistevano i campioni professionisti anche all’epoca: ed esistevano anche scandali e imbrogli ai tempi delle Antiche Olimpiadi.
Così tanto che sono sopravvissute prove scritte incise in statue lasciate ad Olimpia a imperitura memoria dei bari.
Il doping esisteva anche nell’antichità e nei giochi Panellenici: semplicemente non c’erano né i mezzi per scoprirlo, e neppure i mezzi perché fosse efficace.
C’era “un doping placebo”: molti atleti olimpici erano seriamente convinti che ingozzandosi di testicoli animali e cuori di animali riconosciuti come feroci e “coraggiosi” la loro forza si sarebbe trasmessa ai loro corpi.
Di fatto si era anticipato l’uso e la polemica sul testosterone, senza capire esattamente come assumerlo.
C’erano anche medici pronti a preparare misteriosi intrugli, perlopiù blandi analegisici (già esistenti con la scienza dell’epoca) nella speranza che se l’atleta sentisse meno il dolore sentisse meno la fatica e quindi andasse oltre i suoi limiti.
Per ovvi motivi, era impossibile coi mezzi dell’epoca comprendere se un atleta in particolare si fosse presentato con lo stomaco pieno di testicoli di toro e cuore di bestie selvagge e non era possibile individuare e punire atleti strafatti di oppio nel tentativo di sentire meno la fatica.
Il doping non veniva punito, ma veniva punita la magia nera: potevi portarti da casa le tue brave “palle di toro” (ma nel senso letterale) per fartici un panino al presunto doping, potevi farti il tuo thé al papavero da oppio e nessuno ti avrebbe detto niente.
Ma se avessero sospettato che stavi usando quegli ingredienti per lanciare il malocchio su un tuo avversario in stile “Magaria di Oronzo Canà”, semplicemente a quel punto eri fuori.
Il Malocchio era “una cosa seria”.
Col doping praticamente inefficace e limitato ad oppiacei, testicoli, pane, amore e fantasia, restavano altri due mezzi tipici anche dei giochi moderni: le mazzette e i colpi bassi.
Scrittori come Pausania avevano già descritto storie di atleti olimpici pronti a pagare fior di mazzette per comprarsi un incontro prima che esso iniziasse.
Tra le testimonianze storiche vi sono anche storie di atleti pronti a prendere prestiti a strozzo dai loro allenatori (figure che all’epoca erano la somma di allenatore, preparatore atletico, gestore della palestra, presidente di federazione e gestore delle pubbliche relazioni) nella speranza di ripagarli con gli (elevati) interessi usando i premi spettanti in madrepatria al vincitore e rientrare nei costi.
Il corruttore beccato veniva naturalmente cacciato con ignominia: e non poteva semplicemente “rientrare con un’altra federazione” (cosa ammessa, ma solo per i vincitori che non si facevano scacciare). In più veniva multato severamente e i soldi usati per erigere una statua di Zeus con inciso sul basamento il suo nome e il motivo della sua esclusione da lasciare a imperitura memoria per tutti i partecipanti dei ludi.
C’erano statue (oggi ne restano solo le basi) sia per chi vendeva che per si vendeva: testimonianze storiche parlano di statue per un pugile di nome Eupolos di Tessaglia e chi si era venduto le vittorie a lui, nonché per il lottatore Ateniese Kallipos.
Ce ne era anche per i “codardi”, intesi come coloro che si ritiravano con ignominia dalle competizioni: una delle statue è dedicate all’umiliazione di Sarapio l’Alessandrino, lottatore di pancrazio noto per essere fuggito da Olimpia per paura del suo primo combattimento, ponendo fine alla sua carriera.
Altro mezzo per evitare di pagare l’avversario erano le scorrettezze: un lottatore di Pancrazio poteva tentare di accecare l’avversario cavandogli gli occhi con le dita o mordendo l’avversario. Mosse queste illegali ovunque tranne che a Sparta, dove tutto era ammesso, anche il torcimento dei testicoli altrui.
Infatti secondo le regole del pancrazio dell’epoca non fu mai considerato un baro Sostrato di Sicione, noto per la sua abitudine di spezzare le mani ai suoi avversari come prima mossa sul ring per costringerli a ritirarsi.
Ogni atleta, abbiamo visto, era l’orgoglio del suo paese.
Questo comporta che un atleta di successo potesse essere convinto a trasferirsi prima dei giochi Panellenici promettendogli più danaro e lussi che nella sua madrepatria.
Ma ovviamente, ciò non era consentito ad atleti disonorati come mezzo per “ripulirsi”: a quel punto semplicemente nessuno più li voleva in casa.
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