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“Sembra un maschio, non è stupro”: la sentenza shock annullata con rinvio

“Sembra un maschio, non è stupro”: una sentenza amara da digerire a due giorni dall’otto marzo. Eppure, è successo davvero, dimostrando a tutti gli effetti perché è bene che abbiamo un sistema penale basato su tre gradi di giudizio di cui due di legittimità e merito ed uno di sola legittimità.

“Sembra un maschio, non è stupro”: riassunto delle puntate precedenti

Succede in Corte d’Appello, ad Ancona. Ma facciamo come i giornali che si sono occupati della vicenda, e compiamo assieme

Un passo indietro. Ancona, marzo 2015. Una ragazza di origini peruviane, 22 anni (la chiameremo Nina, nome di fantasia) si presenta in ospedale con la madre dicendo di avere subito una violenza sessuale alcuni giorni prima da parte di un coetaneo, mentre un amico di lui faceva da palo. Il gruppetto frequentava la scuola serale, dopo le lezioni i tre avevano deciso di bere una birra insieme. Le birre diventano parecchie, la giovane e uno dei due compagni si appartano più volte, hanno rapporti sessuali. Per gli imputati erano consensuali, per la parte offesa a un certo punto hanno smesso di esserlo, sia per l’eccesso di alcol sia per una esplicita manifestazione di dissenso. I medici riscontrano lesioni, compatibili con una violenza sessuale, e un’elevata quantità di benzodiazepine nel sangue che la vittima non ricorda di aver mai assunto.

A questo punto, lo sconcerto processuale.

Vi abbiamo parlato di tre gradi di giudizio vero? Garanzia di sicurezza sia per il reo, in base al principio del favor rei che per la vittima. Se una sentenza infatti deve passare attraverso tre gradi di giudizio, da un grado monocratico o collegiale a due gradi sicuramente collegiali e se, come sovente accade in una creazione umana, in uno dei gradi ci sia un essere umano, che in quanto umano è fallibile che compie in quanto fallibile, altri esseri umani interveranno per correggerlo.

Quindi, abbiamo un primo grado di giudizio che nel luglio del 2016 condanna i due giovinotti. Del resto, secondo il giudizio del tribunale di merito, la ricostruzione della vittima è assolutamente credibile, quindi vi è la certezza ogni ragionevole dubbio che porterà uno dei due giovani ad essere condannato per violenza sessuale, e l’altro per aver, prosaicamente fatto il palo, agevolando la turpe opera del suo amico come descritta in sentenza.

Nel secondo grado, evidenziamo l’anomalia di cui i social stanno parlando.

L’Appello, ancora un grado di legittimità e merito, che quindi decide sia sulle norme applicate che sul fatto, dichiara gli imputati non colpevoli.

E fin qui, ci sta. Non è la prima volta che una sentenza di condanna in Primo Grado diventa assoluzione in Appello o viceversa.

L’abbiamo detto: abbiamo tre gradi perché si riconosce la fallibilità dell’essere umano, ed è l’impersonale esattezza del diritto a dover porre rimedio a tale (in questo caso tragica, tastando il polso dell’indignazione social) fallibilità.

“Sembra un maschio, non è stupro” appare il brutale sunto di una parte motiva redatta in modo mal tollerato dal Procuratore Generale e dalla Corte di Cassazione, comprendente perle del grado di

Nelle motivazioni le tre giudici scrivono che all’imputato principale «la ragazza neppure piaceva, tanto da averne registrato il numero di cellulare sul proprio telefonino con il nominativo “Vikingo” con allusione a una personalità tutt’altro che femminile quanto piuttosto mascolina». Poi la chiosa: «Come la fotografia presente nel fascicolo processuale appare confermare».

Sostanzialmente, valutazioni degne di un obiter dicta, una aggiunta “ad colorandum”, se non direttamente di un concorso di bellezza o delle chiacchiere al bar interferiscono con la funzione rescindente e recissoria dell’Appello provocando un incidente processuale che ha costretto il Procuratore Generale ad intervenire.

Ancora più gravi, secondo lo shock provocato ai social, dal fatto che le tre giudici citate, le tre dottoresse appunto, fossero donne a loro volta.

Il sillogismo è evidente: l’imputato riteneva che la vittima di stupro fosse brutta, quindi non può averla stuprata.

E la parte motiva continua a suscitare oltraggio con una bizzarra violazione e falsa applicazione dei più basilari principi di valutazione della prova.

È infatti noto che il Collegio è tenuto a motivare rigidamente la sua sentenza, rendendo conto di come ha usato nel suo processo argomentativo le prove fornite: come è possibile, ci si chiede legittimamente, che si sia scelto di accettare come prove elementi come l’aspetto fisico della vittima e prove che l’imputato la considerasse repellente, e si sia scelto, ad esempio di dare un peso minore, se non nullo alle lesioni fisiche compatibili con la violenza carnale ed al livello di benzodiazepine nel sangue della donna, arrivando così ad una ricostruzione secondo cui sarebbe stata la vittima (ovvero così riconosciuta in Primo Grado) a circuire e sedurre gli imputati?

La sconcertante conclusione, nella sua interezza, viene quindi depositata in questa forma

«in definitiva, non è possibile escludere che sia stata proprio Nina a organizzare la nottata “goliardica”, trovando una scusa con la madre, bevendo al pari degli altri per poi iniziare a provocare M****** (al quale la ragazza neppure piaceva, tanto da averne registrato il numero di cellulare sul proprio telefonino con il nominativo di “Nina Vikingo”, con allusione a una personalità tutt’altro che femminile, quanto piuttosto mascolina, che la fotografia presente nel fascicolo processuale appare confermare) inducendolo ad avere rapporti sessuali per una sorta di sfida».

Forma alla quale l’avvocato della giovane si ribella

“Eravamo rimasti sconcertati dall’assoluzione, visto il caso particolarmente brutto, ma soprattutto dopo aver letto la motivazione della sentenza in cui i giudici (tre donne, ndr) facevano affermazioni, ad esempio sui tratti mascolini della ragazza, che avallavano le dichiarazioni dei due imputati” che in sostanza escludevano lo stupro anche perché lei non era attraente, ha detto l’avvocata Cinzia Molinaro, legale della giovane. Il processo bis si svolgerà a Perugia.

La parte offesa, ricorda il legale, “era stata ritenuta credibile in primo grado” mentre in appello era arrivata l’assoluzione “sulla base di vari elementi” e con “affermazioni che non ci erano piaciute”. Avevano ‘rilanciato’ la tesi difensiva secondo cui al presunto autore dello stupro la ragazza non piaceva, tanto da registrarla sulla rubrica del cellulare con il nome “Vikingo”, e la giovane era stata definita “scaltra peruviana”, avallando la tesi che fosse l’ispiratrice della “nottata goliardica” per giustificarsi con la madre dopo aver bevuto troppo.

In realtà, ricorda l’avvocata Molinaro, “quando tornò a casa non era in grado di ricordare quasi nulla. Aveva riportato gravi ferite, per le quali è stata operata e delle quali non si era neanche accorta; era in uno stato di torpore che le permetteva di ricordare solo flash: disse di non essere in grado di dire se avesse iniziato il rapporto in maniera consenziente ma che a un certo punto era stata molto male, aveva detto basta senza che il ragazzo si fermasse”.

Ma cosa significa quello che ha detto l’avvocatessa? Io sono un maskilista della verraggente, free amici miei

Tu intanto ora ti siedi e studi assieme a noi cosa è successo.

Innanzitutto, partiamo dal livello processuale.

Cosa significa una Cassazione che annulla con rinvio?

Sostanzialmente, si è invocato l’articolo 623 c.p.p., il quale prescrive

1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 620 e 622:

a) se è annullata un’ordinanza, la corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice che l’ha pronunciata, il quale provvede uniformandosi alla sentenza di annullamento;
b) se è annullata una sentenza di condanna nei casi previsti dall’articolo 604, commi 1, 4 e 5 bis, la Corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice di primo grado;
c) se è annullata la sentenza di una corte di assise di appello o di una corte di appello ovvero di una corte di assise o di un tribunale in composizione collegiale, il giudizio è rinviato rispettivamente a un’altra sezione della stessa corte o dello stesso tribunale o, in mancanza, alla corte o al tribunale più vicini;
d) se è annullata la sentenza di un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari, la corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al medesimo tribunale; tuttavia, il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata

Sostanzialmente, qualora la Cassazione rilevi una serie di anomalie tali e tante da inficiare il valore della sentenza (semplificando all’osso), la stessa annulla la sentenza e rimanda tutti gli atti perché si ricominci da capo, ma con un Collegio composto sicuramente da persone diverse, a costo di spostare il giudizio in un’altra Corte se nella stessa non ci sono sufficienti sezioni per provvedere.

E questo è quello che è accaduto: i dubbi dell’avvocatessa, di cui lo shock social è stato solo un riflesso, sono stati valutati corretti. La sentenza ha smesso di esistere: si rifà tutto.

Sperando, tenendo conto di ogni singolo elemento in modo da eliminare ogni dubbio e oscura intenzione.

Eh, ma se ci stava? Eh? Eh? Eh? Se ci stava? Ora io ho paura di skopare perché una magari prima ci stava e poi no

Meglio per tutti: se fai questa domanda, probabilmente non sei degno di provare l’estasi suprema che è propria dell’idillio dell’amore, cosa che dovrebbe esserti negata per sempre.

Ammettiamo, solo per ipotesi di scuola, che l’elevato tasso di benzodiazepine contenute nel sangue della giovane non indichino, come evidenziato nel primo grado di giudizio, un consenso ottenuto con l’effetto di sostanze che giammai sarebbe stato elargito altrimenti.

Solo per ipotesi di scuola.

Nessuno vi ha mai insegnato che il consenso in un atto sessuale può essere concesso, ma anche revocato in ogni momento fino al compimento dello stesso?

Come ha ricordato l’avvocatessa delle parti, il consenso è parte essenziale del sesso.

Facciamo una sottile metafora: immaginate di essere a casa di qualcuno, e questo vi chieda se volete bere del thè.

Voi rispondete di sì, quello mette il thè sul bollitore. Ma vi rendete conto che il thé che sta bollendo è una ciofeca, semplicemente acqua rovente dal sapore orribile. O semplicemente si è fatto tardi e volete andare a casa.

Decidete quindi di declinare l’invito ed andare via, sarebbe nel vostro diritto.

Il vostro ospite vi salta addosso come una furia e, forzandovi la bocca aperta, vi versa una sostanza ustionante che sa letteralmente di piscio di topo in gola provocandovi ustioni ed urlando che ormai ha acceso il fornello, che ha fatto il thè, che non potete chiedere le cose e poi andarvene e nel momento in cui gli avete chiesto il thè avete perso ogni diritto di autodeterminazione sul vostro cavo orale ormai ustionato.

Pensereste senz’altro di aver di fronte un pazzo, un mentecatto, una persona priva di autocontrollo dalle fantasie sciocche e brutali che vi ha usato una forma di violenza.

Il sesso ovviamente funziona nello stesso modo: se una donna acconsente ad appartarsi con voi, ma poi per ogni ragione rifiuta o rimanda il coito, voi tornate a casa e vi fate una doccia fredda.

Quindi, il ragionamento dell’avvocatessa è stato accolto: il giudizio si rifarà, e solo dopo potremo sapere se le valutazioni di Primo Grado sono ancora solide.

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