Gira periodicamente, con lievi aggiornamenti che riguardano solo dettagli triviali e non essenziali della vicenda (luogo, numero dei coinvolti) il medesimo allarme.
Un non meglio precisato cittadino preoccupato, nostro concittadino, padre/madre di famiglia, anziana nonna o altre figure anonime ma descritte in modo da suscitre istintiva fiducia descrivono un rapimento di bambini, sovente in tenera età (quindi riconosciuti come indifesi e degni di tutela) da parte di zingari, invitando il lettore a “far girare”, “diffondere la voce” e “spargere la notizia” spergiurando sulla sua autenticità.
Dice un vecchio adagio però che “Su Internet potresti essere chiunque: anche non essere umano, e nessuno lo saprebbe mai”.
L’anonimato rassicurante dietro cui il cittadino preoccupato si cela lo rende affine alla figura mitologica nota a mille Urban Legends, le “Leggende Metropolitane” dei tempi che furono come “Mio Cugino”, testimone oculare degli avvenimenti più bizzarri e delle depravazioni più oscene, tra cui le apparizioni di coccodrilli bianchi, pitoni ed altri rettili dalle fogne e dai bagni, donne procacissime e seducenti che rubano reni e buttano ignari seduttori in un fosso bagnato dietro la discoteca coi punti ancora freschi, giovani e raffinate signorine che, entrate nello spogliatoio di una boutique di alta moda per provare degli abiti eleganti sono state convogliate da apposite botole negli harem di facoltosi sceicchi per subire una loro personale proposta indecente, massaie uccise dal microonde e simili.
La digressione non è oziosa: le prime menzioni di rapimenti di bambini ad opera di Rom, singoli o in organizzazione, nasce proprio come Urban Legend in tempi ancora precedenti al web 2.0.
Leggende Metropolitane, un sito devoto alla raccolta delle Urban Legends, il citato prototipo delle nostre amate bufale, cita come “caso zero” nell’Italia moderna una leggenda metropolitana dei primi anni ’90 che contiene praticamente tutti gli elementi della versione attuale: una o più donne (secondo lo stereotipo della zingarella dedita al furto e che usa il suo gonnellone alla Esmeralda del Gobbo di Notredame Disney per nascondere bambini e refurtiva) si recano in un posto pubblico (supermercato, mercato all’aperto) e rapiscono un bambino, provvedendo a nasconderlo sotto il gonnellone oppure a travisarlo e mascherarlo con abiti e carboncino portati allo scopo.
Tale bufala originaria viene accomunata ad una identica Urban Legend americana di pochi anni precedente, ed entrambe affondano le loro radici in miti e leggende ancora precedenti, ricalcando in salsa antitzigana miti di età medioevale e Rinascimentale per cui il “giudeo” rapiva bambini cristiani per compiere i suoi rituali malefici, che spingevano sovente i “bravi cristiani” dell’epoca a scagliarsi con livore contro il “mostro ebraico”, sottraendo ai genitori di fede ebraica i loro figli per crescerli secondo i “veri valori”. E già Giuseppe Verdi, nel Trovatore, inseriva a fine drammatico nella storia un rapimento di nobili infanti da parte di zingare senza scrupoli.
Cosa che, badi bene, accade uguale oggi ove, al ritorno della leggenda metropolitana dello Zingaro che rapisce i bambini è tornata la gogna mediatica del genitore nomade che, al pari del “giudeo” medioevale, viene sovente accusato di maltrattamenti inesistenti con richiesta di privazione dei suoi diritti.
Facciamo, con l’aiuto della stampa, un brevissimo excursus storico degli ultimi anni di questa leggenda metropolitana.
Lecco 2005, Mazzaro del Vallo 2004, Milano 2005, Palermo 2007: in questi quattro casi la roboante notizia di un rapimento da parte di zingari si è sciolta in una bolla di sapone. Anzi! Particolarmente emblematici, ma tutto l’articolo andrebbe letto, sono il caso di Lecco 2005, dove una zingara, accusata di aver proferito le parole “Prendi bimbo!” ha preferito, per paura delle conseguenze, autoaccusarsi di un reato inesistente e da lei neppure compiuto vendendo additata come un mostro per poi non ricevere neppure uno straccio di scusa una volta dimostrata innocente dal fatto che un’altra accusata, minorenne, abbia preferito (o dovuto) evitare un tale incongruo “auto-da-fé” per essere dichiarata innocente in giudizio, nonché il caso di Palermo 2007, dove una testimone autodichiaratasi “Terrorizzata dagli zingari” (certamente a causa della diffusione delle leggende urbane sull’argomento!) aveva dichiarato di aver visto una zingara china su un bambino dall’aria smarrita, con un gesto del tutto inoffensivo, ed anzi gentile e premuroso.
Aggiungiamo a questa panoplia di eventi il caso di Milano 2014, dove le autorità, a fronte dell’ennesimo “avvistamento di zingare ladre di bambini” si sono dovute affrettare a negare con veemenza che tale evento sia mai accaduto, nonché il caso di Soverato, dove il Comando Compagnia Carabinieri, non esattamente gli “ultimi arrivati”, hanno dovuto arginare la psicosi derivata da notizie false e tendenziose di presunti rapimenti, latori di una forte escalation nelle tensioni all’interno della comunità locale.
Conclude questa degna carrellata dei deleteri effetti del propagare questa bufala il recente “rapimento di Madonna dell’Arco”, dove la vera e propria psicosi cagionata da anni di ripetuti falsi allarmi ha costretto i carabinieri… ad intervenire in difesa della presunta rapitrice, circondata da una vera e propria folla per la grave colpa di essersi avvicinata incuriosita ad una bambina nel passeggino, col corollario di proposte di linciaggio e “caccia allo straniero” inevitabili sul Web.
E’ quindi doveroso diffidare di ogni appello a “far girare la notizia”, in quanto ognuno di questi appelli aumenta le possibilità che un hate crime, un crimine fondato sull’odio si compia.
Il cittadino responsabile, qualora veda circostanze che gli appaiono sospette, ma purché lo siano davvero, deve necessariamente contattare l’autorità e chiedere lumi.
Di sicuro non può, in quanto dannosa per l’autorità stessa, costretta a diffondere note di rettifica sottraendo tempo ad adempimenti più preziosi, “far girare” vecchie leggende metropolitane ammantate della nuova veste di bufala.
Perché no, non basta una testolina bionda per far presumere che un bimbo biondo non possa nascere da due zingari: la genetica, per fortuna, non si piega alle leggende metropolitane.
Rilancio l’appello, effettuato in una simile situazione, dai colleghi di “Bufale e Dintorni”
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