Bufala

Richiedente asilo ci paga la pensione seduto sulla sua Porsche (non è un fake)

Richiedente asilo ci paga la pensione seduto sulla sua Porsche (non è un fake) sarebbe un bel lancio in questi tempi in cui la caccia alle “colpe del migrante” è uno sport nazionale. Se fosse vera.

Ma andiamo con ordine. E guardiamo la foto incriminata

Richiedente asilo ci paga la pensione seduto sulla sua Porsche (non è un fake)

Come al solito, la censura sul volto e sulla targa di una macchina che per quanto sappiamo non è del Chiebuka (da cui la parte del tag relativa alla bufala) ce li abbiamo messi noi.

Si sa, chi viralizza tende a prediligere il link facile alle minime precauzioni che sarebbe facile prendere, specie quando interesse giornalistico non vi è, e una foto varebbe molto di meno se non ci fossero mostri visibili da additare.

La notizia è presa, unitamente alla foto, da un vero articolo di giornale che spiega il tutto.

Parliamo di P. Chiebuka, richiedente asilo, accusato di violenza sessuale e per questo tutt’ora indagato (naturalmente delle indagini non possiamo rendevene conto prima che esse siano compiute. Siamo cittadini probi ed onesti: quando la Magistratura parla noi ascoltiamo, e quando la Magistratura lavora, noi taciamo e la lasciamo lavorare).

E parliamo di una serie di scatti tratti da una pagina Facebook descritta come

uno specchietto per le allodole. Che volesse ingannare famigliari e amici rimasti in Nigeria o attrarre ingenue ragazze in cerca di marito, non è chiaro.

Quel che è certo, però, è che l’immagine che l’africano voleva dare di sé sui social era ben diversa da quella del richiedente asilo, ospite in una vecchia casa anni 60 in un piccolo paesino della Bassa Padovana, immerso nella campagna, che vive in un programma di accoglienza con un poket money da 2,50 euro al giorno, oltre al vitto e all’alloggio forniti dalla cooperativa Edeco.

Se c’è una cosa che “stupidari” come quelli collazionati da Vincenzo Maisto, in arte Il Signor Distruggere ci ha insegnato è che il pappagallo medio mente.

Improbabili ometti in giacca e cravatta che millantano di essere figli di importanti personalità della politica e dello spettacolo per concupire fanciulle che poi si rivelano essere poveri come un sacco di letame, raffinati ometti che pretendono che ogni telefonata dell’amante, se non della madre, sia la telefonata dei servizi segreti per fare di lui un novello James Bond con licenza al turpe scopa**io… la foto che il nostro viralizzatore descrive come un fake è un fake autoprodotto dal tale. Per le stesse ragioni.

Ingannare familiari, amici e potenziali interessi sessuali con un fake che alla fine ha anche ingannato i viralizzatori poco accorti nel leggere la ricostruzione.

La foto quindi esiste, ma è un vero e proprio fake autoprodotto.

Per evitare grane al vero proprietario della vettura usata per lo scatto ne abbiamo censurato la targa, per coerenza alla nostra versione autoinflitta ed estremizzata della deontologia giornalistica abbiamo censurato sia il volto dell’imputato che il nome del primo viralizzatore.

Ma sarebbe bastato leggere un giornale per capire.

Preveniamo inoltre i commenti degli indinniati da tastiera, cattivisti tastieristi a tempo pieno che sicuramente affolleranno le nostre pagine cavillando sulla natura di indagato del soggetto nella foto.

A parte che dovremmo spiegargli la differenza tra indagato, imputato e reo. Nonché ricordargli che giudicare l’intera categoria “immigrati” da un singolo elemento è come decidere che un singolo italiano reo della qualsivoglia colpa macchi l’intero stivale di un “Marchio di Caino” indelebile.

E ciò non è onesto, nè scientifico.

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