La Rete Russa è in massima allerta. Una circolare della Duma prevede entro l’undici marzo una lunga serie di misure dagli inquietanti livelli di lettura.
Un livello, il più ovvio, comporta che giorni di attacchi di Anonymous hanno lasciato un segno più profondo di quello che il Cremlino vuole far credere all’estero. Sostanzialmente, la “bravado”, l’orgogliosa e ostentata fake news degli “hacker russi” pronti a sconfiggere anonymous per vendicare l’onore ferito della Duma, sparisce nel bisogno di misure di sicurezza rafforzata. Quasi disperate.
Ma ci sono una serie di livelli meno ovvi ma più preoccupanti: in questi giorni è passata sotto silenzio la notizia per cui l’Ucraina aveva effettivamente chiesto a ICANN, l’ente di gestione della Rete Internet, sostanzialmente “l’indirizzario” che consente di assegnare ad ogni sito un indirizzo, di tagliare fuori i domini di provenienza russa per combattere la disinformazione del Cremlino.
Richiesta negata: ICANN non potè che certificare che ciò sarebbe di fatto una sanzione, e non spetta ad ICANN irrogarle. Ci ha infatti pensato l’Europa a limitare la portata dei siti vicini al Cremlino.
Ma già tre anni fa la stessa Russia di Putin si era brevemente baloccata con l’idea di una Russia disconnessa dall’ICANN, una rete nella rete.
Idea ancora una volta scartata: ma entrambi i precedenti tornano sulla decisione come un tetro fantasma.
L’attuale circolare si presta ad entrambe le interpretazioni. Il suo contenuto, tradotto ed esplicato, implicherebbe nell’ordine
1. Verificare la presenza dell’accesso degli account personali degli amministratori dei domini dei siti pubblici in rete Internet. In caso di assenza dell’accesso eseguire le azioni richieste per il ripristino degli accessi;
2. Aggiornamento e (o) rendere più complessa la politica della password, modifica password account personale del registratore dei domini, password degli amministratori di risorse pubbliche e, se possibile, introdurre fattori di autentificazione aggiuntivi per gli utenti;
3. Passare ad utilizzare i server di DNS localizzati sul territorio della Federazione Russa;
4. Cancellare da pagine HTML tutti i codici Javascript scaricati da risorse estere;
5. In caso di utilizzo di hosting estero, spostare le risorse pubbliche posizionate su di esso verso un hosting russo;
6. In caso di inserimento di una risorsa pubblica nella zona di dominio diverso dalla zona di dominio russo se possibile spostarlo alla zona di dominio “ru”;
7. Comunicare a tutti gli enti dipendenti l’elenco delle misure di potenziamento delle risorse pubbliche:
8. Informare con lettera ufficiale indirizzata al ministero dello sviluppo digitale della Russia l’esecuzione delle misure entro il 15 marzo;
9. In caso di rifiuti che comportano indisponibilità delle risorse pubbliche segnalare al ministero dello sviluppo digitale.
Come vedete, non si parla ufficialmente e tecnicamente dello switch-off. L’obiettivo sarebbe evitare attacchi come quello patito recentemente da TOP-IX, portale Italiano di interconnessione tra provider bloccato da un JavaScript malizioso, rinforzare la sicurezza e obbligare i fornitori di servizio a pratiche rinforzate per password e cyber-policy.
Non è del tutto però sbagliato temere una nuova ondata di censura e più penetrante.
Abbiamo già visto come la Russia abbia oscurato social e quotidiani occidentali nella sua ricerca dell’informazione e del pensiero unico, spingendosi fino a dichiarare illegale descrivere la guerra in modo diverso da “Operazione speciale di denazificazione”.
Una ulteriore spinta autarchica per chiudere l’accesso ad Internet ai cittadini russi sarebbe un’evoluzione coperente con una simile svolta autoritaria e autarchica, compatibile coi punti da 3 a 6.
Non è detto che si arrivi a questo punto: probabilmente ci si potrebbe fermare prima.
Ma il Cremlino in questi pochi giorni è riuscito a sorprenderci costantemente, e non sempre in meglio.
Ci sono tre modelli disponibili quindi. Il primo prevede solo la Rete Russa in massima allerta.
Tutti i siti principali spostati su hosting locali, le buone pratiche di sicurezza in rese obbligatorie per legge, password cambiate periodicamente, la Russia che si rende conto di non poter evitare Anonymous e gli effetti delle sanzioni sulla Rete, che si ricorda che dinanzi a minacciati cyberattacchi sono possibili risposte e comincia a preparare sacchi di sabbia virtuali per prepararsi alla mitragliata virtuale che li aspetta.
Il secondo prevede uno scenario simile a quello Cinese, il “Golden Shield” o “Grande Firewall della Cina”. Un firewall globale costantemente aggiornato che funge da eterna blacklist verso l’occidente.
Immaginate la situazione che gli smanettoni conoscono già: un sito di “torrent” o contenuti pirata che viene bloccato. L’utente quindi si trova una pagina della Guardia di Finanza che annuncia il sequestro.
In questo scenario buona parte dell’Internet che conoscete viene sostituita da un messaggio che vi annuncia di essere di fronte ad un contenuto vietato, e non potrete più accedervi.
Ad esempio, nell’attuale Cina potete leggere comodamente questo sito, ma non potete usare Google.com, Facebook, Instagram e molti altri servizi.
Un ulteriore scenario è quello della Corea del Nord: Internet solo per pochi, e solo poche pagine selezionate, il popolo limitato in una “Intranet” personale, goffa e un po’ primitiva come il nostro Web 1.0 di siti Geocities e Altervista.
Non un deserto di “soli 28 siti” come una fake news d’epoca fanno presagire, ma comunque un ambiente virtuale segregato e limitato, che la disconnessione da ICANN renderebbe una realtà possibile anche in Russia.
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