Ci state segnalando in un po’ tanti la notizia del “Rapper fermato con mezzo chilo di droghe leggere graziato“.
In realtà, va preliminarmente detto, il termine “grazia” va virgolettato e precisato perché decisamente improprio. La condanna è arrivata, anche se particolarmente tenue.
Ma andiamo con ordine
Succede che Kaprio, rapper già nell’occhio del ciclone mediatico per alcune controverse dichiarazioni, è stato incriminato lo scorso autunno per la detenzione di 2005 dosi medie singole di hashish e 678 di marijuana, venendo quindi tradotto in giudizio.
Dal punto di vista fisico, 2700 dosi circa di droghe leggere sono, oggettivamente, un po’ tanto, ci avviciniamo al mezzo chilo.
Ma una sentenza, per essere completa, tiene conto di tutti gli elementi. E la norma invocata è l’articolo 73 del Testo Unico Stupefacenti, che al quinto comma dichiara
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329.
Notare come mezzi, modalità o circostanze, ovvero qualità e quantità siano legati da una congiunzione disgiuntiva, che consente al giudice una valutazione che trasli l’astratto della condotta nel concreto del fatto.
Quindi da un lato abbiamo che, oggettivamente, mezzo chilo è mezzo chilo.
Dall’altro abbiamo mezzo chilo spartito in dosi singole usato in un ambiente di consumo personale e senza prova di alcun lucro.
Niente lucro, niente spaccio. Consumo personale quindi, di talché
“l’attività dell’imputato risulta quanto meno in parte illecita, ma dai contorni ridimensionati tali da poter applicare il 5° comma, nonostante il considerevole quantitativo detenuto. Si tratta di detenzione a fine di cessione di una sola parte, verosimilmente a titolo gratuito, comunque non a fine di lucro”.
Quindi una condanna c’è. Non una grazia completa quindi.
Ma anche sulla condanna, scattano altri elementi di calcolo.
Il Rapper Kaprio infatti risulta incensurato. Incensurato e condannato a dieci mesi di reclusione.
Per i quali però scatta l’istituto della sospensione condizionale della pena, con beneficio della non menzione nel casellario giudiziario.
Quindi, alla fine dei fatti una condanna c’è stata, ma la pena irrogata vive al momento in un limbo.
Se il soggetto colpito dal provvedimento “farà il bravo” per il periodo suggerito dalla legge, cinque anni per i delitti e tre per le contravvenzioni, la pena resterà sospesa e si consumerà da sola.
Altrimenti il nuovo reato riporterà in vita il vecchio assommandone le colpe.
La ratio dell’istituto è evidente: dinanzi a reati riconosciuti come particolarmente “tenui”, si preferisce che sia la dissuasione fornita dalla “spada di Damocle” del vecchio reato che continua ad aleggiare sul reo e sulla sua coscienza, pronto a scattare e tornare nella sua vita in caso di nuovo reato a mantenere il soggetto sulla retta via.
L’alternativa sarebbe il percorso carcerario, dove il soggetto incontrerebbe sovente criminali anche inveterati che potrebbero invece guidarlo verso un percorso delinquenziale anziché fomentarne il desiderio di ritornare ad una vita lontana dalle infrazioni.
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