Ti svegli una mattina e ti imbatti nella storiella della “Barbie Abortista voluta dalle lobbie (sic!)”. Sai benissimo che si tratta di una bufala, ma fai ricerche e scopri che è anche particolarmente crudele. Così, con l’amaro in bocca, non puoi che sederti ad una scrivania e raccontare. Sperando che qualcuno ti legga.
Cancellando il nome del viralizzatore, ma lasciando il suo turpe (e non troppo grammaticalmente corretto, il plurale di lobby è lobbies…) messaggio, sperando che le condivisioni della verità superino quelle della vergognosa bugia
Con gli adulti ho perso la speranza, con i bambini invece ne ho ancora molta, ma se fin da piccoli gli spappolano il cervello con certi giochi…
Questa barbie è fabbricata in numero limitato ma esiste davvero. Le lobbie abortiste sono terribilmente potenti se hanno potuto fare questo.
Notare anche la forbice all’interno della confezione!
Recita la didascalia indinniata ed indinniante. E del tutto falsa.
Non esiste alcuna Barbie Abortista, e il nostro viralizzatore nell’imbastire la sua storiellina strappalikes non si è neppure peritato di cancellare il nome della vittima della stessa (Wendy Davis) e quindi gli indizi per smascherare la sua bugia.
Ironico, dato che il post perviene a due giorni dalla celebrazione contro la Violenza sulle Donne, e la storia vera di questo post è la storia di continue e violente vessazioni ai danni di una donna, Wendy Davis, vilipesa sotto le sembianze della “Barbie Abortista”.
Siamo negli anni ’90, ci racconta Il Messaggero, ed una donna di nome Wendy Davis viene costretta dai fatti a due aborti per ragioni mediche. Del primo scriverà nella sua biografia
«Sarebbe stata cieca, sorda e avrebbe vissuto in permanente stato vegetativo, se fosse sopravvissuta. (…) Sentivo il suo corpo tremare violentemente come se qualcuno stesse applicando una carica elettrica. Allora, capii. Stava soffrendo (…) Nell’ufficio del nostro medico, con le lacrime che scendevano, Jeff e io abbiamo guardato il battito cardiaco della nostra piccola sullo schermo dell’ecografo per l’ultima volta. E abbiamo visto il nostro medico calmarsi. Era finita. Lei non c’era più. La nostra amata bambina non c’era più».
Potremmo passare non ore, ma giorni e mesi a discettare del costringere una donna a far nascere un bambino per vederlo agonizzare e morire in poche ore, o, peggio, non aprire mai gli occhi e spendere un’esistenza a metà, anzi, meno di un’esistenza, in stato vegetativo attaccato a delle macchine, ma non abbiamo intenzione di farlo, né consentire che lo si faccia.
Ma vi ricorderemo solo che Wendy Davis era ed è una donna Texana, di quel Texas fortemente conservatore che le sitcom americane descrivono come la patria di branchi di “Redneck”, contadinotti ignoranti e bigotti con la Bibbia in una mano ed il fucile nell’altra pronti a giudicare chiunque non si conformi al loro concetto religioso.
Se romanzi come the Handmaid’s Tale e Vox potessero materializzarsi nella vita reale, probabilmente lo farebbero nel Texas di Wendy Davis, e la stessa ha patito non solo il dolore della difficile scelta, ma l’essere, di fatto, messa all’indice.
Passiamo ora al 2013: solo un lungo discorso, protrattosi 10 ore, pronunciato da una Wendy Davis ora diventata senatrice impedì ad una norma restrittiva contro l’aborto di passare al Senato Texano. Una scena di coraggio, potremmo dire, che riecheggia il lungo monologo di “Mr. Smith va a Washington”
Ma nel film di Frank Capra il coraggio veniva premiato, e dopo 23 ore di discorso l’acerrimo rivale di Mr. Smith si arrendeva al suo coraggio e prometteva di ritirare per sempre ogni norma contraria al discorso di Smith, attivandosi per concedergli l’onore delle armi.
Non è successo così a Wendy Davis, anzi, il suo coraggio è stato remunerato con la turpe arma dell’odio e dell’ingiuria, facendo di una donna coraggiosa la “Barbie Abortista”.
Quando l’allora senatrice Wendy Davis lanciò la sua candidatura a governatrice, ecco che immagini, poster e raffigurazioni della “Barbie Abortista Wendy Davis”, un orribile nickname voluto dalla stampa di destra conservatrice locale, la inseguirono durante la campagna elettorale, denigrando i suoi capelli biondi, la sua preferenza per i colori pastello e la sua dolorosa storia personale.
Non si tratta quindi di “potenti lobbie abortiste”. Anzi! Si tratta della beffa crudele di persone che, pensandola esattamente come l’ideatore di questa bufala, hanno trovato un modo per ferire Wendy Davis e, con essa, tutte le donne costrette dalla vita alla sua stessa scelta esibendo la “Barbie Abortista” come un ingiurioso feticcio del loro pregiudizio.
È stato osservato molto a lungo un rapporto tra il movimento di estrema destra alt-right, i meme e le subculture giovanili del meme, della viralità e degli interessi “nerd”: una mefitica commistione che fa del Photoshop un mezzo per ferire ed umiliare, svilire donne coraggiose, e che si può combattere, semplicemente, rimettendo ordine in quella terra senza legge che è diventato internet.
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