L’ombelico di Raffaella Carrà. Una parte del corpo che oggi non turba nessuno, ma che nel 1970 si vedeva soltanto per strada. Le ragazze indossavano la minigonna, scoprivano la pancia. Il mondo aveva appena perso i Beatles, In Italia si piangevano ancora i morti di Piazza Fontana, il Cagliari vinceva il suo unico scudetto grazie al genio di Gigi Riva e Adriano Celentano conquistava il Festival di Sanremo con Chi non lavora non fa l’Amore. A Canzonissima, quell’anno, arrivò la rivoluzione.
“Il mio ombelico nudo veniva fuori da un completo studiato da un costumista della Rai. Ora non ne ricordo il nome. Ma le ragazze d’estate già giravano così, con la pancia scoperta e i pantaloni lunghi. Io non mi sono fatta problemi a farlo vedere in tv. Ero libera. Anche i ‘colpi di testa’ erano il segno della libertà dalla lacca, dalle sovrastrutture, dalla rigidità. Io ero così, senza costrizioni”.
Così Raffaella Carrà si raccontava nel 2018, quando fu nominata Dama “al Orden del Mérito Civil” dall’ambasciatore di Spagna in Italia Alfonso Dastis. Il contesto era la sigla di apertura di Canzonissima 1970. Ma che Musica, Maestro, scritta da Sergio Paolini, Franco Pisano e Stelio Silvestri, non aveva lo stesso taglio provocatorio del brano che l’avrebbe fatta esplodere l’anno successivo come fenomeno nazionale. A scandalizzare, a quel giro, fu quel costume che lasciava scoperto l’ombelico. Lei stessa se ne stupì:
Non avrei mai immaginato che il mio ombelico facesse così tanto rumore. Per me è stato naturale vestirmi alla moda di quei tempi che, dall’altra parte, è ancora di moda. Il mio ombelico è molto piccolo perché mia madre mi ha detto che, nascendo in una clinica bolognese, ha chiesto al chirurgo di tagliare il cordone ombelicale con molta attenzione per farlo diventare piccolo come un tortellino.
C’è da dire, onestamente, che già nel 1969 le gemelle Kessler mostrarono l’ombelico a Canzonissima, ma per qualche motivo passarono inosservate. Salvo Guercio, autore televisivo, fece però notare che tra le Kessler e la Carrà c’era una certa differenza: le prime erano famose per i balletti composti e la rigidità, la seconda era una furia scatenata che bucava lo schermo con il suo carisma. Per questo il suo ombelico scoperto si fece notare di più: Raffaella Carrà si muoveva con frenesia e rendeva attiva ogni parte del suo corpo. Anche per questo Jill Vergottini scelse per lei un caschetto. Con quel taglio e quel costume dopo ogni movimento tutto poteva tornare in ordine.
Nel 1971 Gianni Boncompagni e Franco Pisano scrissero per lei Tuca Tuca. Il merito della coreografia fu di Don Lurio, che donò fisicità a un brano che letteralmente significa Tocca Tocca. Durante la sigla d’apertura di Canzonissima 1971 Raffaella Carrà si esibì con Enzo Paolo Turchi. Era sabato sera e Canzonissima veniva trasmessa in diretta. La showgirl e il suo ballerino ammiccavano, si toccavano con una certa malizia e manifestavano, in quel contesto, una certa disinvoltura sessuale.
Quell’esibizione, durante la sesta puntata dello show andata in onda il 13 novembre 1971, costò a Raffaella Carrà una dura condanna da parte dell’Osservatore Romano e della Rai. L’Osservatore Romano considerò “scandaloso” quel balletto e fece pressioni sulla Rai per non mandare più in onda quel numero. Raffaella si ritrovò tra fuochi incrociati: da una parte Paolo VI, dall’altra i vertici dell’emittente.
Intanto, secondo la programmazione di Canzonissima, nelle puntate successive era atteso Alberto Sordi. Raffaella Carrà non nascondeva una certa preoccupazione per quel polverone sollevato dall’Osservatore Romano, per questo invitò l’attore a cena e gli espose il problema. Dopo aver mangiato, la showgirl e cantante mise su il 45 giri e mostrò le mosse. “Vuoi ballarlo con me?”. Alberto Sordi accettò e comunicò alla Rai che avrebbe partecipato a Canzonissima con una conditio sine qua non: ballare il Tuca Tuca insieme a Raffaella Carrà. “Ad Alberto Sordi non si poteva dire di no”, ricordò Raffaella.
Così il Tuca Tuca fu definitivamente sdoganato. “Il Vaticano non disse più una parola”, raccontò la Carrà nel 2014 a un quotidiano spagnolo. Questa è la storia dell’ombelico di Raffaella Carrà e della rivoluzione sessuale del Tuca Tuca, una battaglia silenziosa e composta.
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