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Quella volta che una copia ha creato un titano del videogame moderno

Quella volta che una copia ha creato un titano del videogame moderno è una storia che non tutti conoscono, e riguarda una delle più grandi proprietà intellettuali nel mondo videoludico. Non è neppure un caso isolato vedremo, ma un caso che ha definito il volto stesso del gaming.

Il caso di Mario Mario, l’idraulico Italoamericano più famoso del mondo dei videogames.

Quella volta che una copia ha creato un titano del videogame moderno

Siamo nel 1981, come abbiamo avuto modo di vedere in passato col COLECOVision, in un momento storico in cui il mondo dei videogames viveva un enorme fermento, l’astro di Atari cominciava a calare per una infinità di motivi commerciali e non lasciando la via del tutto libera a concorrenti più astuti e pronti a reagire alle mutate condizioni del mercato.

Tra i quali abbiamo visto in Occidente esserci Commodore, Tandy-RadioShack ed Apple, mentre in oriente Nintendo preparava la sua mossa.

Come dimostrano il gioco di Star Wars per Atari del 1983 e il gioco di ET, quello famigerato per essere stato gettato in discarica in un enorme numero di esemplari, una mossa ritenuta “semplice ma disperata” nel mondo videoludico dell’epoca era lanciare giochi basati su proprietà intellettuali di grido.

Nintendo aveva posato gli occhi su Braccio di Ferro, ed era pronta a lanciare un gioco dedicato al marinaio creato da E.C. Segar, ancora famosissimo all’epoca. Dati i limiti tecnici del FamiCom (la console diventata in occidente il NES), il gioco non poteva che essere assai semplice nella fattura e nella giocabilità, ma efficace.

Bluto (o Bruto il Terribile, per pochi anni in Italia) rapisce Olivia e Braccio di Ferro deve correre al suo salvataggio. Grande problema: Nintendo non riuscì a procurarsi i diritti sui personaggi del Thimble Theather.

Ci riuscirà solo un anno dopo, quando lancerà il “vero” gioco di Braccio di Ferro, che come vedremo tradisce le sue origini. “Fu come se ci avessero strappato la scaletta sotto i piedi”, riferirà Shigeru Miyamoto, che fece quello che tutti (e vedremo: tutti) quelli che non possono permettersi più una proprietà intellettuale fanno.

Da Braccio di Ferro a Donkey Kong andata e ritorno

Ne crea una completamente nuova da usare sullo stesso gioco, con la stessa storia e le stesse dinamiche.

Bluto viene sostituito da “Donkey Kong”, nome pasticcio inventato dallo stesso Shigeru Miyamoto per esprimere agli occidentali l’idea di un gorilla stupido, goffo e forzuto, sovrapponibile ad una versione animale e divertente di Bluto.

Quella volta che una copia ha creato un titano del videogame moderno: Donkey Kong

Olivia viene sostituita da Pauline, la bellissima e bionda fidanzata di Jumpman, il quale invece sostituirà Braccio di Ferro.

La storia viene quindi ritoccata per funzionare coi nuovi personaggi ma lasciando inalterato il gioco. Pauline e Jumpman sono innamorati ed hanno un gorilla di nome Donkey Kong come animale domestico che però si sente maltrattato e trascurato.

Donkey Kong per vendetta decide di ispirarsi ad un altra proprietà intellettuale famosa in quegli anni: King Kong (altra ispirazione per il nome). Rapisce Pauline e sfida Jumpman a catturarlo e salvare l’amata.

Un anno dopo Nintendo riuscirà ad ottenere i diritti di Braccio di Ferro, e lancerà con un discreto successo, ma non pari a quello di Jumpman, un gioco legato ai personaggi “originari”. Ironicamente, i recensori lo identificarono come “una variazione sulla formula di Donkey Kong”.

Cosa accadde dopo

Cosa accadde dopo l’abbiamo però già visto: l’idea alla base di Jumpman non era solo taroccare il “primo Braccio di Ferro per Famicom” per evitare di buttarlo, ma consentire a Nintendo di diventare padrona di una proprietà sua personale che non avrebbe mai dovuto comprare, affittare o mercanteggiare con qualcuno ma che, anzi, avrebbe potuto concedere a sua volta in licenza diventando non più la parte che deve pregare per avere qualcosa, ma chi deve essere pregato per averla.

Coltivò accuratamente una lore intorno al personaggio: “Jumpman” divenne Mario Mario, idraulico di New York col suo fratello timido e spaventato Luigi Mario, lasciò Pauline e scoprì il Regno dei Funghi per diventare eroe, avventuriero e innamorato della Principessa Peach Toadstool e combattere Bowser in mille incarnazioni.

Nel 1992, con le possibilità multimediali che consentono di dare una voce al personaggio, si decide che Mario avrà la voce di Charles Martinet, doppiatore Americano che sceglie non lo stereotipo dell’Italiano “alla padrino”, ma un italiano gioviale e amichevole, eroico e buon lavoratore, ispirato dal ruolo di un “carpentiere eroe” che gli era stato suggerito.

Il gioco di Braccio di Ferro

Ruolo che Mario non avrà per sempre: nella sua “biografia ufficiale” viene inizialmente menzionato che i suoi mille impegni, tra cui salvare il Regno dei Funghi, le Galassie, giocare a Kart, scoprire tesori e persino curare malattie non gli lascia più tempo per il suo mestiere. Una correzione successiva conferma però che Mario e Luigi sarebbero sempre pronti a tornare al lavoro, che ufficialmente non hanno mai lasciato: è solo che partecipare alle Olimpiadi, salvare interi multiversi e tutte le loro attività tendono a rubare loro tempo prezioso.

Il che si rifletterà in un un intero e duraturo franchise che un gioco su Braccio di Ferro non avrebbe consentito. Al cinema, come gadget in ristoranti e uova di Pasqua, come giocattolo di LEGO, Mario è ormai una macchina da soldi di proprietà di Nintendo.

E se pensate sia l’ultima volta che una “copia” è diventata qualcosa di più, vi sbagliate.

E non stiamo parlando delle “Giana Sisters”, saga nata come “quasi copia” di Super Mario e ironicamente arrivata su Nintendo Switch nei suoi ultimi capitoli.

Quando la copia diventa migliore dell’originale: il caso Alex Kidd

Nel 1986 SEGA stava cercando un gioco altrettanto iconico quanto la saga di Mario per Nintendo. Anche SEGA posò gli occhi su quello che un giorno sarebbe diventato un fenomeno planetario: un manga (fumetto giapponese) chiamato Dragonball.

All’epoca Dragonball non era ancora la complessa Space Opera che è diventata adesso, con un protagonista, ormai decano di una sua famiglia, incrocio tra il “Re delle Scimmie” delle leggende orientali e il nostro Superman, campione di arti marziali venuto da un mondo lontano con una forza fisica superiore ai terrestri, in grado di volare e lanciare onde energetiche ma affezionato così tanto al suo pianeta adottivo da diventarne l’eterna linea di difesa, leader di fatto di un team di eroi pronti a combattere per la pace.

Alex Kidd in Miracle World, screenshot

All’epoca era “solo” una buffa parodia del “Viaggio in Occidente” di Cheng’en Wu, celebre romanzo Cinese che narra le avventure del “Re delle Scimmie” Sun Wukong (parzialmente ritradotto e traslitterato in “Son Goku”), liberato dalla prigionia in cui era rinchiuso per la sua natura dispettosa per accompagnare il monaco Sanzo, il guerriero maiale Zhu Wuneng (tradotto in Cho Hakkai) e la divinità minore dei fiumi Sha Wujing (Sha Gojo in Giapponese) a cercare i testi sacri del Buddhismo per spargere la religione nel mondo.

Il Re delle Scimmie Son Goku divenne un buffo ragazzino dalla coda di scimmia, Hakkai divenne il porcellino erotomane e trasformista Oolong (Oscar in Italiano), Sha Gojo il brigante Yamcha e il monaco Sanzo l’affascinante Bulma Briefs, scienziata giovane e bella alla ricerca di sette sfere magiche in grado di evocare un drago dal potere di esaudire ogni desiderio, innescando così una storia nella quale il piccolo Goku da inconsapevole guardia del corpo di Bulma ne diventa amico fraterno, paladino degli oppressi e figura messianica alla Kal-El, scoprendo le sue origini come uno dei pochi sopravvissuti di una razza aliena di grandi guerrieri dal fisico superiore e in grado da soli di salvare (o annientare) interi mondi con la loro potenza.

Son Goku, personaggio della saga Dragonball

SEGA all’ultimo momento non potè ottenere i diritti di Dragonball, quindi ritoccò un gioco a scorrimento in cui Son Goku avrebbe dovuto combattere i suoi nemici con le tecniche a lui note all’epoca (i “Pugni della Morra Cinese”, il bastone magico e l’onda energetica “Kamehameha”) in un gioco in cui Alex Kidd, principe perduto del mondo di Radaxian, deve salvare il suo regno e il fratello gemello (che siederà sul trono in sua vece mentre lui viaggia per il mondo salvando i deboli e gli oppressi) grazie alle arti marziali “Shellcore”, sospettosamente simili alle tecniche di Son Goku e del Genio delle Tartarughe suo maestro.

Anche in questo caso, nonostante il successo di Dragonball sia oggi ineguagliabile, il successo ludico di Alex Kidd gli consentitì di essere mascotte SEGA fino all’arrivo di Sonic.

Il caso Darkstalkers

Molti di voi conosceranno la saga dei “Darkstalkers”, un gruppo di “creature dell’orrore” in un grande torneo nata negli anni novanta in cui Pyron, imperatore intergalattico affine all’Anticristo delle leggende alchemiche, invita ad un grande torneo i più potenti mostri della tradizione mondiale per scontrarsi in battaglie ad eliminazione diretta, mostri spesso che, essendo tutti terrestri, hanno già interagito in passato.

Personaggi di Darkstalkers, fonte Capcom

Abbiamo così il re dei vampiri Dimitri (che a seconda delle versioni è l’iniziatore del torneo al posto di Pyron per decidere quale mostro merita di essere il “re della notte”), sempre in battaglia con la regina delle Succubi Morrigan, combattere con creature come il Lupo Mannaro Jon Talbain, la “Ragazza gatto” Felicia, la rockstar zombie Lord Raptor, il simil Frankenstein Victor von Gerdenheim, il Sasquatch, Anakaris la mummia vivente e altre creature.

Creature che, a ben vedere, sono versioni animate dei celebri mostri della Universal Pictures, un universo cinematografico che vede diverse creature del mito terrorizzare gli spettatori moderni.

Anche Darkstalkers avrebbe dovuto essere un picchiaduro coi mostri della Universal, ma si decise di crearne di nuovi.

Il caso Assassin’s Creed

Se in fondo Darkstalkers e Alex Kidd sono stati dimenticati, una delle saghe più longeve della storia è un autoplagio. Un autoplagio di una saga ancora più famosa ed arcaica, coetanea delle altre già viste.

La serie del Prince of Persia.

Nel 1989 Jordan Mechner, autore di giochi salito alla ribalta ancora giovanissimo per Karateka su Apple II decise di tornare alla ribalta con un gioco basato sull’immaginario arabo delle “Mille e una Notte”.

Prince of Persia, scatola per Amiga

Creò così “Prince of Persia”, la storia di un eroico giovane mandato a salvare la figlia del Sultano dal malvagio visir Jaffar in dungeon pieni di trappole mostruose.

Da un singolo gioco nacque dapprima una trilogia, nella quale l’eroe ora principe continuava a difendere l’amata da Jaffar e streghe e maghi cattivi, e poi un reboot moderno lanciato dallo stesso Mechner per Ubisoft, la saga delle “Sabbie del Tempo”, arrivata anche al cinema, in cui il protagonista diventa un eroico principe che acquisisce poteri arcani.

Nel 2007 si decide di usare le funzionalità della Playstation 3 per lanciare una nuova saga. Una basata su componenti stealth.

Ubisoft dovette affrontare un problema diverso: la ditta aveva la proprietà intellettuale del Principe di Persia, ma non riteneva giusto usarla direttamente.

Era una questione di logica: un principe non va in giro a saltare sui tetti e sgozzare la gente.

È un principe: o parte per gloriose campagne militari per salvare il trono, oppure combatte in campo aperto, oppure sta a casa a regnare. Non esce di casa tutte le mattine incappucciato, ammazza due-tre tizi per colazione, un paio a cena e poi si fa la doccia e torna a dormire.

Si pensò dunque che a quel punto il protagonista non sarebbe stato più il principe ma una sua “guardia del corpo”. Ma anche così, una guardia del corpo è reattiva e non proattiva. Ammazza le minacce che attentano alla vita del principe, non va in giro per il regno. Il passo successivo fu introdurre una “confraternita degli Assassini” nella storia, proattiva, che il principe avrebbe invocato per sconfiggere le minacce al Regno, con il nostro protagonista come operativo.

A quel punto, arrivati a “Prince of Persia: Assassins”, semplicemente non c’era più bisogno della figura del Principe.

Assassin’s Creed, fonte Ubisoft

Eliminato il Principe dall’equazione, diventava possibile avere una storia del tutto nuova ed una saga del tutto nuova. L’inizio è stato pur sempre un gioco ambientato nell’Arabia delle Crociate, ma dedotto il misticismo della saga di Mechner è partita una saga sci-fi in cui nei ricordi ancestrali di famiglie eroiche è celata la chiave di una antica civiltà.

Chiave in grado di dare un senso a tutti gli antichi miti e leggende del mondo e svelare come salvare il genere umano da una catastrofe imminente sullo sfondo.

Conclusione

Alla fine della fiera, un mezzo tarocco ci ha dato Mario, e il mercato videoludico ha regalato ai giocatori diverse proprietà di peso mediante tentativi di evitare l’uso di proprietà intellettuali precedenti, per mancanza di diritti o di opportunità.

 

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