Bufala

Quando incassate 40€, lo Stato si prende l’IVA ed il 64,8% di tasse! È una triste verità

Quando incassate 40€, lo Stato si prende l’IVA ed il 64,8% di tasse! È una triste verità fa parte di un ricco filone di bufale e disinformazioni che affonda le sue radici nelle Urban Legends.

Prendi una vecchia bufala. Una che non gira più tanto, come quella dei 25 euro descritta da colleghi di BUTAC.

Ritoccane qualche dettaglio: al posto dei 25 Euro ce ne metti 40. Magari la stampi su un nuovo foglio di carta, per la bizzarra teoria per cui se stampi una bufala su un foglio di carta e la fotografi, la sua esistenza nel mondo fisico la rende reale.

Quando incassate 40€, lo Stato si prende l’IVA ed il 64,8% di tasse! È una triste verità

La manipolazione

Il testo è una versione leggermente ritoccata della versione precedente. Quel tanto che basta per avere l’illusione della novità

Quando incassate € 40.00 sappiate che:

Lo stato si prende il 22% per l’IVA = € 8.80 Restano così € 31.20

Lo stato con tasse varie si prende il 64,8% = € 20.22 Restano così € 10.98

RESTANO ALL’AZIENDA € 10.98

Con questo l’azienda deve far fronte a:

Stipendio dipendenti

Costi dei macchinari

Costi dell’energia elettrica

Costi telefonici

Costi riscaldamento

Costi per assicurazioni

Rischio di impresa ( Vedi insoluti vari )

Ecc…Ecc…Ec…Ecc….Ecc….

IL GUADAGNO PER L’IMPRENDITORE È SVANITO

La versione originale della bufala recitava così

Quando pagate 25 euro sappiate che:

Lo STATO si prende il 22% per l’iva € 4,51 restano € 20,49 –

Lo STATO con tasse varie prende il 64,8% € 13,28 restano € 7,21 (fonte il Sole 24 ore 20/11/2015)

RESTANO ALL’AZIENDA € 7,21

Con quello che resta l’azienda deve anche pagare: imposte comunali e pubblicità Costi dei macchinari-carta-toner-telefono-luce-riscaldamento ecc. e gli stipendi del personale dipendente.

Lo stato italiano dei vostri 25 euro se ne prende € 17,79.

E questo governo nasconde il tutto gridando alla crescita ma sta affossando l’industria e gli artigiani … anche questo trimestre – 3.5% di orindativi (e i soldi invece di investirli li usano per pagare i loro stipendi…… li avete visti fare sacrifici?) GENTE SVEGLIATEVI i vostri/nostri figli non avranno lavoro e senza chi lavora non ci saranno i soldi per le pensioni e i nostri 50enni verranno cacciati a casa…. Uno stato con 75% di peso sociale e 25% di forza lavoro muore.

E non possiamo che concordare coi colleghi di BUTAC (e non “del BUTAC” come alcuni spesso rissosi disinformati ci scrivono inoltrandoci per motivi misteriosi le minacce e lamentele a loro rivolte al nostro indirizzo…): chi ha redatto sia la prima versione che la seconda versione del testo non ha bene inteso come funziona la gestione aziendale, o non vuole intenderlo per dare agli “indinniati” della Rete carburante per il loro facile livore

Infatti la seconda revisione cancella la fonte.

Le magagne

Una fonte del 2015.

Dalla quale però il condivisore ha rimosso le parti più importanti

Una serie di precisazioni sono necessarie. «L’Italia ha registrato in 10 anni dal 2004 al 2014 un costante miglioramento degli indicatori con il carico fiscale complessivo per le imprese che è passato dal 76% al 64,8%, quindi si è ridotto di circa 12 punti percentuali» ha fatto notare Fabrizia Lapecorella, direttore del dipartimento Finanze del Mef, durante la presentazione. Lo sguardo, però, va rivolto anche al futuro perché l’ultima rilevazione, come anticipato, si riferisce all’anno d’imposta 2014 e quindi non può tenere ancora conto degli sforzi di riforma messi in campo negli ultimi due anni dal governo Renzi: a incidere in particolare, ha spiegato Lapecorella, le misure in arrivo con la legge di Stabilità 2016, dal taglio dell’Ires ai maxiammortamenti, ma anche quelle introdotte con la scorsa manovra, come l’eliminazione della componente Irap dal costo del lavoro, il credito d’imposta e il patent box. Un apporto notevole in termini di riduzione del total tax rate potrebbe arrivare anche dalla decontribuzione per i neoassunti. Però bisogna anche considerare che la rilevazione di Banca mondiale-Pwc è eseguita su un caso tipo (in modo da poter procedere a una comparazione tra i diversi Paesi): una Srl con 60 addetti che produce beni e non scambia con l’estero, per ricordare le caratteristiche principali. Quindi non tutte le modifiche potrebbero essere “intercettate” negli anni a venire. Tuttavia, come rimarca Fabrizio Acerbis, managing partner di Pwc tax & legal services (Tls), «la pressione fiscale e il costo di compliance non esauriscono i temi intorno alla fiscalità: la stabilità delle norme, la certezza interpretativa, i tempi del contenzioso, influiscono direttamente sulla competitività dei singoli Paesi. Un sistema fiscale fatto di norme stabili e chiaramente interpretabili ha effetti immediati sulla capacità competitiva, anche se non catturati nelle rilevazioni Doing Business».

Infine è utile “spacchettare” il dato sul total tax rate italiano perché sul 64,8% la componente maggiore è quella relativa alle tasse sul lavoro e i contributi: un segmento che vale da solo il 43,4 per cento. Anche se alla voce «contributi» viene considerato anche l’istituto del Tfr (una peculiarità del nostro Paese) che vale «7 punti», come ha puntualizzato lo stesso Acerbis.

Vediamo le precisazioni salienti:

  1. Parliamo, innanzitutto, di un dato del 2015, allora in evoluzione, con una pressione fiscale ridotta negli ultimi anni
  2. In scondo luogo tra i contributi vengono anche calcolati il TFR, dal valore di 7 punti ed i contributi al lavoratore. E immaginiamo che il nostro condivisiore non stia proponendo di togliere ai lavoratori TFR e contributi, no?

Inoltre, come ci ricordano invece i colleghi di BUTAC, l’intero calcolo proposto e “portato in cifre” è sballato

Non è che ci voglia moltissimo, l’IVA è corretta, come lo è il dato del 64,8% di tasse e balzelli che ha come fonte il Sole 24 Ore. Quello che è sbagliato è il conteggio. Sì, perché quel 64,8% è sul profitto, non va calcolato sui 25 euro iniziali, ma solo su quanto resta dopo aver tolto le spese. E qui casca l’asino.

PRECISAZIONE (aggiunta alle 11:45 del 5/01/2017):
quanto segue è molto semplificato, perché lo capiscano anche i sassi, in realtà il concetto andrebbe esteso spiegando per bene imposte, tasse, contributi, spiegando come funzionano le detrazioni e le differenze tra chi vende un bene e chi vende un servizio. Ma il volantino è semplicistico proprio per far presa sul popolo, le spiegazioni che ho scelto di dare sono semplicistiche alla stessa maniera.

Diciamo che un bene lo vendo a 25 euro, certo pagherò l’IVA, ma la stessa IVA se trattiamo di un bene e non di un servizio l’avrò scaricata precedentemente, come scarico l’IVA dei materiali di consumo che la mia azienda acquista per dare il servizio per cui tu, cliente finale, mi paghi 25 euro. Quindi se ho venduto il bene a 25 e ho 10 euro di spese, per poter vendere lo stesso pagherò il 64,8% di imposte sui 15 euro di profitto che faccio tolte le spese. Se ne ho 15 di spese lo pagherò solo sui 10 che avanzano e così via. Lo capite che siamo buoni tutti a parlare alle pance degli italiani spacciando bufale a gogo?

Mutatis mutandis, de te fabula narratur, dicevano Fedro ed Esopo. Se cambi quello che c’è da cambiare, scoprirai che la favoletta si adatta perfettamente anche a te.

Con un po’ di proporzioni per convertire quei 25 euro in 40, il risultato è lo stesso: chi ha scritto l’articolo ha calcolato volontariamente le tasse prezzo di acquisto/produzione della merce al lordo e non sul profitto, al netto quindi delle spese.

Ed ha volutamente reinserito nel computo l’IVA che tecnicamente si è già scaricato, a voler seguire l’esempio.

Di fatto gonfiando la presunta esposizione fiscale oltre ogni reale proporzione, e curiosamente omettendo il costo della forza lavoro.

Il calcolo è quindi del tutto inesatto.

Lo era prima, lo è adesso.

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