Putin taglia il gas, ma i prezzi scendono ed i ricavi delle energetiche (vedi Eni) al mese scorso erano alti. Un fenomeno decisamente interessante.
Le analisi, ovviamente, lasciano il tempo che trova, specie in una situazione magmatica come questa. Oggi sostanzialmente le cose vanno in un modo, domani potrebbero del tutto ribaltarsi e i Capitan Senno di Poi all’ascolto potrebbero scriverci piccati “Eh, ma non è andata come dicevate voi”.
La premessa è dunque doverosa e inevitabile: se le cose continuassero ad andare come vanno oggi primo Settembre, nella situazione di cui ad oggi primo Settembre 2022, e se gli accordi europei dovessero proseguire senza intoppi, per gli analisti Putin rischierebbe di restare col proverbiale cerino in mano.
Cerino che potrebbe comodamente usare per incendiare le scorte di gas invenduto.
Ma andiamo con ordine.
Da un lato abbiamo quindi Gazprom che nuovamenta chiude i rubinetti. Adducendo i soliti problemi tecnici, esattamente come ogni altra volta.
Ma gli analisti non sono persuasi: del resto non è solo opinione della politica Europa che Putin brandisca il prezzo del gas come un’arma. In un mondo in cui il tragicomico “spot per il turismo russo” elenca, tra le (poche) virtù che renderebbero la Russia appetibile per un avventore europeo, tra la Vodka e le belle donne (in realtà delle ragazzine preadolescenti ed una fotomodella Ucraina) elenca il “cheeeeeeep gheeeeees” (cheap gas pronunciato con un fortissimo accento da Ivan Drago alla quindicesima ripresa).
In ogni caso, lo sgambetto è riuscito fin’ora, trasformando le sanzioni in una guerra di attrito. Sostanzialmente una a gara a chi crollerà prima, tra l’Europa privata del gas russota ad affrontare l’inverno e la Russia privata di un po’ tutto il resto, con un settore dell’automobile ritornato alle Moskva “Euro 0” e senza elettronica di bordo e ABS, un settore tecnologico azzerato e senza possibilità di procurarsi ricambi per i computer occidentali rotti e venti da “economia di guerra”.
Ma qualcosa nel tiro alla fune sta causando una (va ricordato, temporanea) situazione di vantaggio per l’Europa
“Il prezzo dell’elettricità sulla borsa elettrica europea EEX è crollato di oltre il 30% – scrive Welt – I cosiddetti futures per l’energia elettrica in consegna nel prossimo anno sono improvvisamente scesi da valori di picco, alcuni dei quali anche superiori a 1000 euro per megawattora, a un livello inferiore a 600 euro. Una buona notizia per le numerose aziende che avevano ritardato l’approvvigionamento di gas ed elettricità per l’anno successivo”.
Siamo ancora a prezzi alti, va detto, ma il segno di inversione è presente.
E sembra quasi l’incipit di uno scontato romanzo per l’educazione del fanciullo, ma il fatto che l’Europa sia una libera unione di soggetti politici e Putin sia sostanzialmente un uomo solo al comando potrebbe essere il punto di differenza.
Analizziamo l’imponderabile: Putin taglia il gas, il prezzo del gas sale.
Economia elementare: un bene che diventa scarso viene esitato sul mercato ad un prezzo maggiore. Però Eni ha chiuso a Luglio un buon semestre e a Settembre ci svegliamo con una dinamica di inversione.
La spiegazione e la chiave di volta è l’Europa.
Europa che ha reagito alla risalita del prezzo del gas Russo col disaccoppiamento del gas dalle altri fonti energetiche, misura tra il potenziale pacchetto da discutersi il 9 Settembre.
Avremmo quindi un sistema di mercati differenziati a partire dalla fonte energetica utilizzata.
“La situazione rimane molto difficile – ha detto Mechthild Worsdorfer, vice direttrice generale della direzione generale Energia della Commissione europea, in audizione alla commissione Energia del Parlamento europeo. – Ci sono rischi di interruzioni di fornitura di gas che purtroppo si rafforzano. Già la metà dei Paesi membri sono stati in parte o in toto interessati da turbative gravi. Tredici Paesi membri, in virtù di ciò, sono stati tagliati dalle forniture russe”.
Ma è anche vero che la ricerca di fonti energetiche alternative, gas compreso, e gli accordi Europei hanno aumentato lo stoccaggio.
Stoccaggio arrivato ad una media dell’80%.
Gli speculatori sono quindi inclini a vendere prima che l’azione Europea porti ad eventuali nuovi cali, accelerando quindi lo scoppio della bolla.
Algeria, Congo, Egitto, Qatar e Mozambico, ma anche Israele e Stati Uniti di America diventano alternative al gas Russo in grado di far salire i desiderati stoccaggi.
Nell’attuale stato di cose il gioco di Putin non ha più esiti così scontati.
Nel momento in cui la dipendenza energetica dalla Russia sarà ridotta se non archiviata, le sanzioni cominceranno a mordere la Russia con più forza del resto del mondo.
E senza alleati pronti al soccorso.
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