Pubblicare la cartella clinica di Matteo Messina Denaro non è utile e buono: questo è qualcosa che in queste giornate di euforia non si dovrebbe dimenticare.
Perché è giusto festeggiare l’arresto di un boss della mafia, specie di una cosca importante e influente come quella del Trapanese.
Ma se l’oggetto della pruriginosa e morbosa attenzione diventa la cartella clinica, anche no
L’allarme, tra gli altri, arriva dall’esperta giurista Vitalba Azzollini
La legge tutela i dati personali di tutti.
Di tutti. Anche se avessimo davanti Jack lo Squartatore, Jeff Dahmer redivivo, lo Zodiac Killer o UnaBomber, non dovremmo invadere quell’ultimo centimetro per po’ di likes.
Perché si crea un precedente, un piano inclinato. Se è giusto scavare nel personalissimo e nell’insondabile di un “cattivo”, se passa il messaggio che al criminale non si devono le garanzie di un processo basato sulla legge, allora non diventiamo migliori. Diventiamo peggiori.
Come quel criminale che ha scelto tra l’agire secondo diritto e secondo quello che lui riteneva un agire a lui conveniente la seconda ipotesi.
Anche il più feroce dei criminali va condannato con un processo inoppugnabile, un atto di giustizia verso il diritto da lui ripetutamente calpestato e la collettività tutta che merita ogni crimine sia portato alla luce.
E con le garanzie dovute a tutti: perché quando la voglia di likes o il desiderio di forca si sostituiscono al diritto, esso cessa di esistere e diventa vendetta tra storture.
Oggettivamente ci sono altre domande che avrebbero meritato interesse. Ad esempio chiederci in quei trent’anni latitanza quanto male ha seminato Mattia Messina Denaro, quanti crimini vedono la sua mano di stratega e portarli tutti alla luce.
Questa è una domanda da farsi, cui la Giustizia risponderà e ne sarà dato adito. Potremmo celebrare, quando ne verrà il tempo e sarà possibile in sicurezza per i coinvolti tutti, il risultato della lunga indagine raccontando un giorno la storia di come un “Capo dei Capi” è alla fine caduto.
Rimestare nelle carte di una malattia?
No, questo non ci trova d’accordo.
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