Ci segnalano l’articolo del Blog di Tenerife dal titolo “Feci umane nel Kebab: in 140 finiscono all’ospedale, alcuni gravi. Accade in Inghilterra” secondo cui due ristoratori avrebbero venduto carne contaminata da feci umane e che avrebbe portato all’ospedalizzazione di 140 persone. L’articolo riporta anche delle personali considerazioni in merito alle procedure eseguite e alla natura in generale dell’alimento imputato, perciò analizzeremo pezzo per pezzo l’articolo in questione.
L’articolo include un link all’articolo della BBC nella quale si parla proprio di quanto è accaduto e a parlarne è anche l’International Business Times (entrambi il 23 Settembre). La rosticceria Khyber Pass è effettivamente sotto accusa di aver venduto carne contaminata da un ceppo particolare di Escherichia coli, ovvero l’Enteroinvasive E. coli (EIEC), altrimenti detto in Italia E. coli enteroinvasivo. Questo ceppo, se viene introdotto per via orale, provoca sintomi come episodi diarroici, con feci acquose contenenti sangue, muco gastrointestinale e leucociti associati alla febbre che porta. La presenza del ceppo sull’insalata (secondo la BBC) è la prova che la contaminazione è avvenuta nel locale da parte dei lavoratori: dei 12 che vi lavorano, 9 avevano questo ceppo sulle mani (secondo l’IBT).
I batteri E. coli (e così anche i loro ceppi) appartengono alla classe dei batteri Gram negativi anaerobi facoltativi (ovvero che, pur non richiedendo ossigeno per il loro metabolismo, non hanno problemi a vivere in un ambiente che presenta questo gas) che solitamente vivono nell’intestino in un rapporto di commensalismo (ovvero, il microorganismo trae benefici senza arrecare danni dall’ospite; tuttavia alcuni ceppi possono produrre una quantità apprezzabile di vitamina K2 utile per l’ospite). Sono presenti sia nell’uomo che negli intestini degli animali a sangue caldo. Nelle regioni del tratto gastrointestinale nella quale vivono, andando a far parte della flora batterica, non arrecano danni, ma se raggiungono altre regioni, come la mucosa e il Colon, possono dare luogo ad infezioni.
I proprietari, Amjad Bhatti e Mohuammad Abdul Basit hanno ricevuto come pena l’incarcerazione per 4 mesi (pena sospesa) e il risarcimento di 200 sterline inglesi, per un ammontare di 28.000 sterline. La contaminazione sarebbe avvenuta perché gli operatori non hanno rispettato le norme igieniche-sanitarie (tra cui il lavarsi correttamente le mani).
L’articolo del Diaro di Tenerife menziona l’assenza della Class Action e della lentezza giuridica da parte del sistema giudiziario italiano.
Un risarcimento che appare piuttosto basso. In Italia un caso di questo genere sarebbe costato molto di più, al commerciante incriminato. Anche perché la nostra giurisprudenza non contempla la “class action” pertanto i 140 danneggiati avrebbero dovuto intraprendere ciascuno una distinta causa legale, facendo lievitare enormemente i costi legali, che poi ricadono sul condannato. In Italia inoltre, per giungere alla sentenza ci sarebbero voluti anni e anni, mentre in Inghilterra nonostante il caso coinvolgesse 142 persone, con numerosi incartamenti, perizie mediche e atti da valutare, il processo si è concluso in poco più di un anno.
Iniziamo col dire, brevemente, che cos’è la Class Action, il cui significato (e approfondimenti) vengono riportati sul sito del Corriere della Sera:
La class action (o, più propriamente, “azione di classe”) è un particolare procedimento previsto dal Codice del Consumo. Quando un consumatore o utente ha già avviato una causa di risarcimento danni contro un terzo (ad esempio, contro il produttore di un bene difettoso, contro un’azienda che fornisce un certo servizio, ecc.), il meccanismo della class action consente a più consumatori o utenti, che si trovano in una situazione identica o similare a quella di tale persona, di aderire all’azione legale già iniziata, anche mediante l’appoggio fornito dalle associazioni consumeristiche. Lo scopo principale della class action è di suddividere il “peso” della causa fra i vari consumatori interessati, secondo il principio “l’unione fa la forza”.
Tale azione è invece presente nel Codice del Consumo, all’articolo 140 bis.
Riguardo alla lentezza procedurale, Shadow Ranger espone un chiarimento:
Invero, la chiosa finale sulla presunta lentezza ed onerosità del sistema giudiziario Italiano in casi omogenei appare poco aggiornata. Non contempla infatti gli istituti applicabili del nuovo articolo 140bis cpc, non a caso chiamato impropriamente “Class action del consumatore” e dell’articolo 702bis cpc, ovvero il processo ad istruzione sommaria.
Sia pur precisando che una singola azienda che produce cibo contaminato non dimostra che quel cibo sia in toto insalubre, pensiamo al recente ritiro di quantità di salame presso i supermercati Eurospin per sospetta contaminazione batterica, in questo caso il regime probatorio necessario si palesa semplice.
Le cd. “Lungaggini processuali” nascono dalla necessità di acquisire un gran numero di prove, cosa che richiede un numero di udienze necessario, per spiegarla in modo semplice, al Giudice ad ascoltare tutti i testi richiesti ed acquisire ogni prova.
In tal caso possiamo postulare tale onere, ove si dovesse verificare un caso simile da noi, compiuto con la mera allegazione di perizia e consulenza tecnica del tribunale a verificazione, dando così al giudice Adito ogni singolo strumento di decisione in tempi senz’altro più brevi di quanto paventato.
Nell’articolo dello stesso blog viene riportata la seguente affermazione:
Il Kebab inoltre è finito più volte sul banco degli imputati, sia per la qualità delle carni importate, che per la composizione delle carni utilizzate per il prodotto. In alcuni casi(episodi isolati, ad onor del vero. Si tratta di produttori disonesti, come ce ne sono in tutti i settori) è emerso che la carne anziché essere di manzo, pollo, tacchino, sarebbe stata persino di cane o altri animali.
In analogia ad altri siti che pubblicano notizie atte a screditare l’alimento in sé, Tenerife riporta la storia che il Kebab sarebbe stato preparato, da parte dei produttori disonesti, con carni di cane o altri animali. Già all’epoca facemmo chiarezza su questo tema, quando circolava la voce che i Kebab sarebbero fatti con carni di topo, gatto e cane. Diceria che personalmente mi ha fatto sorridere, facendomi ricordare il “topo-burger” del film “Demolition Man” del 1993 con Sylvester Stallone.
Un utente nella nostra pagina fb ha lasciato questo commento sotto al link di questo articolo:
No. In genere, qualunque sia stata l’attività svolta prima di mettere mani sugli alimenti (e senza essersele lavate), su questi ultimi c’è la possibilità (tutt’altro che remota) di venir contaminati con gli agenti patogeni che risiedono nel luogo dell’attività precedente. Ad esempio, se faccio un lavoro di giardinaggio e poi mi mangio un panino senza essermi lavato le mani, è altamente probabile che nel panino che sto mangiando io abbia portato dei microrganismi che prima erano sul terreno e che potrebbero risultare patogeni per l’organismo.
E’ stato riportato un caso dove i kebab hanno presentato una contaminazione da un ceppo particolare di E.coli, che solitamente vive in alcune regioni dell’intestino, e che 9 operatori di questa rosticceria avevano le mani contaminate da questo ceppo batterico, evidenziando una scarsa attenzione alle norme sanitarie imposte; la possibilità che uno degli operatori non sia lavato le mani dopo essere stato al bagno non è da escludere, così come non è poi da escludere il passaggio dal primo agli altri per mezzo della manipolazione degli alimenti. Il lavaggio delle mani è un modo efficace per evitare questo genere di contaminazioni alimentari.
Ovviamente non sono solo batteri fecali i potenziali agenti contaminanti per gli alimenti (in generale), ma esistono tutta una serie di famiglie di microrganismi che si possono contrarre dal terreno o dalle superfici su cui molte persone appoggiano le loro mani (come le maniglie dei bus, i corrimano delle scale, le maniglie delle porte…) e tra queste possiamo trovare anche dei virus. E’ inoltre da aggiungere che questi possono anche non arrivare per mezzo di contaminazione alimentare: durante la giornata siamo più che propensi a toccarci il viso (a volte senza volerlo, per abitudine…): secondo alcuni studiosi in media una persona si tocca il volto 3 volte ogni 5 minuti e questo porta i vari microrganismi presenti sulle mani ad avvicinarsi alle più probabili vie d’ingresso, in genere le più congeniali per loro, ovvero la bocca, gli occhi e il naso (anche le orecchie volendo, ma lì si rischia per lo più una otite).
Non è nostra intenzione ora scatenare il panico, ma è bene sottolineare questo, poiché è su questi (ed altri) principi che si basano le norme igienico-sanitarie imposte nei diversi settori, tra cui anche quello alimentare. Il lavaggio delle mani è un buon metodo per eliminare non solo la sporcizia, ma anche i potenziali agenti patogeni che vi si annidano. Si possono ricorrere anche ai gel disinfettanti o alle salviette che si trovano in commercio, ma lavarsi le mani in modo accurato può essere più che sufficiente, purché ce le si strofini per bene con il sapone e poi le si sciacqui correttamente.
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