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Passiamo ora a cosa avviene nella malattia della pianta, chi e come agisce durante il decorso.
Il responsabile è un ceppo della specie Fusarium oxysporum f.sp. cubense, la Race 4 (e da qui il nome TR4, “Tropical Race 4”). Questo fungo, situato nel terreno, attacca per prima la punta della radice, la quale prova a difendersi estromettendo una sostanza gelatinosa; nel frattempo, la pianta prova anche a sigillare lo Xilema per mezzo di una struttura, il Callo, andando ad ostruire queste strutture. Il fungo arriva in ogni caso ad invadere la radice, fino ad entrare all’interno dei vasi Xilematici, via preferenziale per la proliferazione del fungo, salendo lungo il fusto in direzione delle foglie.
Sul sito del PLOS Pathologens viene riportato lo studio della genetica dell’agente patogeno (il fungo in questo caso) e della vicinanza genetica con gli altri ceppi. Inoltre approfondisce gli spostamenti avvenuti degli stessi e la loro distribuzione.
Fusarium oxysporum f.sp. cubense ha una riproduzione asessuata tramite dispersione di spore. Queste sono così leggere da essere spostate per mezzo dei venti prima di depositarsi sul suolo, ma la distribuzione mirata avviene attraverso lo spostamento dei veicoli che trasportano i frutti che, oltre a sollevare la polvere, trasportano parti di terreno infetto. L’ideale sarebbe dunque procedere con la sterilizzazione del terreno per mezzi chimici e fisici, tuttavia il fungo si è visto molto resistente a questi agenti e la sua capacità di propagazione (seppur lenta) lo rende molto difficile da debellare. Inoltre, non è possibile riuscire a curare una pianta che ormai è stata infettata e pertanto, per arginare il più possibile il problema, l’individuo deve venir abbattuto e distrutto.
Il fungo non attacca solamente l’albero del Cavendish, ad essere aggrediti sono anche i banani alloctoni delle zone in cui viene coltivato, ma non li attacca con la stessa entità. Questo perché la variabilità genetica consente il rallentamento dell’avanzata (verso la fine spenderemo due righe o più del perché), cosa che purtroppo non è possibile con i cultivar in quanto si tratta alla fine di cloni aventi un genoma praticamente uguale (le eventuali mutazioni a livello somatico non rappresentano una vera e propria variabilità genetica nella popolazione, perciò è come se non fossero avvenute). Considerando, dunque, che la Cavendish occupa la maggior parte dei terreni in cui crescono i banani (in India c’erano 600 varietà, oggi molte di meno per far spazio all’agricoltura della cultivar), tale monocultura pone un serio problema in fatto di difesa della specie.
Già da diverso tempo sono stati avviati procedimenti per contenere il più possibile la situazione. Nel video che seguirà, della Biosecurity Queensland, vengono mostrate le diverse procedure da adoperare durante la vera e propria quarantena dei campi in cui è stata segnalata la presenza del fungo, metodi che comprendono il lavaggio delle calzature da lavoro, transito dei veicoli in vasche con saponi e fungicidi, lavaggio degli automezzi, chiusura dell’area con divieto di transito, oltre, ovviamente, a delle linee guida sul come identificare una pianta infetta e le procedure da eseguire per il maneggiamento.
Frenate le grida di terrore del vostro Minion interiore, o voi appassionati di questo frutto. Per quanto grave possa apparire la situazione, è decisamente troppo presto per affermare che le banane sono pronte all’estinzione. Le coltivazioni situate negli Stati Uniti, nel Centro e nel Sud America non sono state ancora colpite e considerando che solo le ultime due rappresentano il 70% delle banane esportate nel mondo, per ora possiamo stare tranquilli. Inoltre, stando a Discovery News, gli scienziati sono già all’opera per selezionare nuove varianti da immettere nel commercio e rimpiazzare, forse fra 20 o 30 anni, le coltivazioni che sono già state colpite (anche se non è da escludere la sostituzione completa della Cavendish). La scelta è tutt’altro che insensata: la biodiversità rappresenta l’arma più potente per contrastare questa minaccia, poiché andrebbe anche a ridurre il contagio, soprattutto se si riesce ad ottenere una cultivar resistente al fungo: questo perché ogni individuo che ha un DNA proprio (diverso in alcune sequenze rispetto ad un altro individuo appartenente sempre alla stessa specie) può presentare una sequenza che renderebbe favorevole o una più rapida risposta immunitaria, oppure ad una risposta più intensa (o comunque più efficace rispetto ad un altro individuo). Infine, le tecniche prima menzionate, sebbene non riescano a fermare l’avanzata, riescono quantomeno a rallentarla, dando tempo ai laboratori di poter creare questa nuova variante.
In conclusione, una storia che successe tempo fa sta succedendo di nuovo, ma questa volta abbiamo i mezzi per correre ai ripari il prima possibile (o almeno tentare di salvare il salvabile) e, pertanto, è troppo presto per cantare la triste canzoncina delle banane.
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