OpenAI nel mirino del Garante Privacy (di nuovo), questa volta in Polonia. Ve l’avevamo detto: il Garante Italiano non era “il cattivone ladro di futuro” che avete tentato ripetutamente di rappresentarci, anche con qualche insulto, ma l’aprifila di un ragionamento che andava portato a compimento.
In questo caso i rilievi del Garante polacco sono parzialmente coincidenti con quanto già affrontato in Italia, e affrontano l’enorme elefante nella stanza: la confabulazione.
ChatGPT, l’intelligenza artificiale generativa di OpenAI non è in grado di negare una risposta. Quando non conosce qualcosa, cerca di ricostruirlo dal suo ampio database, col risultato ottenibile da uno studentello svogliato che, colto in fallo durante un’interrogazione, comincia a parlare a macchinetta sperando che il professore lo lasci andare.
ChatGPT ha quindi una tendenza all’invenzione: simpatico “quirk” in molti casi, ma quando sei un candidato sindaco in Australia e ti ritrovi indicato come un corrotto, un docente universitario americano descritto come un predatore sessuale di studentesse i problemi cominciano a venire al pettine.
E non nel senso dell’avvocato americano che ci ha rimesso causa e reputazione facendosi scrivere una linea difensiva assolutamente inventata da ChatGPT, ma nel senso che siamo di fronte ad un qualcosa di non umano usato da persone che sono umane per ottenere dati su altre persone e nessun mezzo apparente per una rettifica agevole.
Almeno, questo è il quesito di chi in Polonia ha denunciato la cosa al Garante.
Le ulteriori doglianze contenute nella denuncia sono pedisseque a quanto visto in Italia: il denunciante “ha anche un reclamo contro la società per aver violato l’articolo 12 e l’articolo 5, paragrafo 1, lettera a) del GDPR in risposta alle sue richieste. Ciò gli ha dato risposte evasive, fuorvianti e internamente contraddittorie”. Ciò “ha solo alimentato le preoccupazioni circa la legalità e la trasparenza del trattamento dei dati personali da parte del creatore di questo strumento”. Il denunciante “sottolinea (…) la mancanza di trasparenza nei principi del trattamento dei dati da parte della società, che è confermata sia dalla corrispondenza con la società che dalla sua politica sulla privacy “.
L’ufficio si troverà quindi a dover chiarire nuovamente un dubbio che ci si continua a porre più volte del previsto.
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