Pokémon: Finisce il viaggio di Ash Ketchum (dopo 25 anni)
Ci sono show che hanno accompagnato una generazione: finisce il viaggio di Ash Ketchum (dopo 25 anni), e coloro che 25 anni fa erano ragazzini ed ora non lo sono più hanno un’ultima lezione da imparare.
Uno show televisivo amato è come un amico: generazioni di anziane hanno vissuto la fine di Sentieri (la soap più longeva della storia, più vecchia della Televisione stessa) come un tradimento, e una generazione di non più ragazzini ha visto il piccolo Goku di Dragonball diventare padre e poi nonno, Cappello di Paglia arrivare sempre più vicino al suo tesoro e quasi alla fine della sua avventura e ora gli tocca salutare Ash Ketchum della città di Pallet.
Pokémon: Finisce il viaggio di Ash Ketchum (dopo 25 anni)
L’anime di Pokemon nasce essenzialmente come mezzo per vendere una saga videoludica all’epoca di pochi soldi e poche speranze.
Un franchise nato da un programmatore di nome Satoshi Tajiri (in originale infatti, “Ash Ketchum” si chiama “Satoshi” in suo onore, e “Ash” è ottenuto dalla prima vocale e dalle ultime consonanti del nome del suo “creatore”) che, partendo da un piccolo studio autocostruito, sognava un gioco costruito intorno al sogno delle sue vacanze estive passate a catturare insetti, ma che non finisse mai.
Nacque così Pokemon, nella prima generazione un modesto “Gioco di Ruolo alla Giapponese” in cui un ragazzino decenne cattura fino a 150 animali, dovendone scambiare alcuni con gli altri giocatori per mezzo dell’allora avveniristico, ora primitivo “Data Link Cable” e allevarne fino a sei per volta per vivere un’avventura.
“Ash Ketchum della città di Pallet” nacque così per caso, come involontario sponsor di quell’avventura. Un “Satoshi alternativo”, eternamente fanciullo, bloccato nel sogno di una “Estate Eterna” nella quale diventare un “Maestro di Pokemon”.
Concetto volutamente vago: in nessuna parte dell’anime, e neppure nel romanzo tratto dai primi episodi, viene mai detto cosa sia un “Maestro di Pokemon”.
Se non, ovviamente, renderlo un “avatar” di ogni piccolo giocatore. Non può avere come compagno iniziale Charmander, Bulbasaur e Squirtle (gli “starter” delle prime cartucce). Se lo facesse, si alienerebbe le simpatie dei giocatori che hanno scelto in modo diverso dal suo. Avrà Pikachu, un topolino elettrico inizialmente ostile e poi diventato il suo compagno fidato.
Non può avere altri amici “fuori dal gioco”, lui vive “nel gioco”, conquistandosi persino le simpatie dei suoi unici “nemici”, il Team Rocket, o meglio un trio di scalcinati ladruncoli alle dipendenze dell’organizzazione criminale incuriositi dalle abilità di un bambino e il suo amico roditore.
Ma nonostante ogni sua fragilità e debolezza, sarà presentato come un “amico di tutti” in grado di conquistare gli altri personaggi della saga ormai diventata un impero mediatico
A differenza di molti eroi dell’animazione dell’epoca Ash non è un vincente. Figlio di una famiglia “comune”, un padre anche lui partito per diventare un importante allenatore di Pokemon e mai diventato famoso e di una madre casalinga, in ritardo persino il giorno della sua stessa partenza, in venticinque anni Ash ha vinto raramente e si è arreso ancora più di rado.
Per venticinque lunghi anni Ash è stato un ragazzino di dieci anni nella sua eterna vacanza in cerca di catturare un numero sempre crescente di Pokemon (151 alla sua partenza, 900 nel momento in cui le sue avventure si sono chiuse, 1008 quando l’epilogo si sarà chiuso) e diventare “Il migliore sai, come nessuno ci è riuscito mai”.
Almeno due-tre generazioni di ragazzini e una generazione di attuali trentenni si è trovata ad emozionarsi per un Ash che sognava la gloria del campione, ci è sempre andato vicino, ci riuscito solo di rado (nelle “leghe minori” di Orange e Alola, l’ultima creata il giorno del suo arrivo nel nuovo continente, ispirato alle cartucce “Sole e Luna”) ed alla fine lo ha fatto.
Una vittoria durata 25 anni
Non a caso gli animatori hanno ammantato lo scontro finale di una serie di omaggi e scelte stilistiche a evidenziare il momento.
Ash si ritrova solo nella finale della “World Championship Series”, i campionati del mondo della Lega Pokemon del suo mondo immaginario, dinanzi al “Monarca” Dandel, il Campione dei Campioni.
Entrambi rimasti con sul campo solo il loro primo Pokemon di infanzia, Ash riesce a infondere nel suo amato Pikachu il ricordo di quell’eterna estate di avventure, degli amici umani e animali incontrati nel viaggio, delle vittorie e delle sconfitte dandogli il coraggio per un ultimo attacco vittorioso.
Dandel concede il titolo, Ash festeggia e in una giornata “come tante”, l’amico-rivale di sempre lo pone dinanzi all’Ultima Domanda.
“Ora che sei diventato un Campione, quanto ti manca ancora per realizzare il tuo sogno ed essere un Maestro?”
E ventincinque anni passati a “catturarli tutti”, salvare il suo mondo ogni anno al cinema (e qualche volta sul piccolo schermo) per venticinque anni filati finiscono così.
In uno speciale di undici puntate, tre mesi per decidere, prima della fine del viaggio, come si diventa un Maestro per poi passare il testimone ad una nuova generazione.
Del resto, chi era anagraficamente bambino con Ash ora è un campione a suo modo. Come il nostro Leonardo Bonanomi, campione in una competizione amichevole internazionale nel gioco a cui l’intero franchise deve tutto, cresciuto come Ash in un vero e proprio eSport.
L’avventura finisce ma una nuova avventura comincerà presto: Ash, il caparbio eroe dell’immaginario di una generazione che ha imparato che fallire all’infinito non importa, se alla fine di tutto vincerai, incassa la vittoria assoluta e definitiva e si prepara a passare il testimone a due ragazzini.
In tempo per il lancio di “Scarlatto e Violetto”, l’ultima generazione in ordine cronologico di Pokemon.
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