Una delle proposte elettorali più calde è un blocco navale. Che però non potrà essere “un blocco navale”, ancorché potrà essere qualcosa. Citando Balto, il cane lupo del noto film di animazione tratto dalla storia dell’omonimo cane “Non è cane, non è lupo. Sa soltanto quello che non è, e non quello che è”.
Anche in questo caso sappiamo quello che non è, ma abbiamo difficoltà a distinguere i contorni di quello che è.
“Il blocco navale è un istituto preciso, regolato dal diritto di guerra e in questo momento c’è una guerra interna in Libia ma non c’è una guerra internazionale né contro l’Italia né contro l’Unione europea, quindi non ci sono i presupposti per evocare questa misura – spiega a Redattore Sociale Irini Papanicolopulu, professoressa associata di diritto internazionale all’università di Milano Bicocca.
Il riferimento nell’intervista alla testata della professoressa è quanto riportato nel Glossario di Diritto del Mare (lasciatelo aperto, ci torneremo), per cui
Il blocco navale (naval blockade) è una classica misura contemplata dal Diritto bellico marittimo (v.) volta a impedire l’entrata o l’uscita di qualsiasi nave dai porti di un belligerante. La prassi del blocco è disciplinata — se si esclude la Dichiarazione di Parigi del 1856 sui Principi della guerra marittima — da norme di natura consuetudinaria, non essendo mai entrata in vigore la Dichiarazione di Londra del 1909 sul Diritto della guerra marittima che lo regolamentava. I principi di tale Dichiarazione sono stati recepiti nell’ordinamento italiano dalla Legge di Guerra (R.D. 1415-1938).
Si tratta sostanzialmente di un atto ostile verso gli altri stati: e di sicuro non si intende iniziare uno stato di guerra tra due o più Stati.
Sicuramente, e diciamolo chiaramente e senza fraintendimenti, neppure è intenzione di alcuno dei politici preponenti tale iniziativa, andremo a dichiarare guerra a mezzo Mediterraneo.
Quello che si propone di fare è una cosa diversa. Assai diversa.
La differenza non è peregrina, e non meramente fittizia come “l’operazione speciale” per la Russia rispetto ad una vera e propria guerra. Anche in questo caso soccorre il citato Glossario, che a pagina 34 cita espressamente il caso del controllo degli espatri clandestini tra Italia e Tirana in base all’Accordo di Roma del 25 Marzo 1997.
Via questa che torna spesso tra i difensori social dell’iniziativa come prova dell’esistenza di un “blocco navale”. Ignorando che a. si trattava tecnicamente di una operazione di contenimento del traffico di migranti e b. la tragedia della Motonave Sibilla, cui demmo ampia copertura quando nel 2019 tornarono le ipotesi di blocco navale pose un forte punto fermo all’iniziativa.
Nonché un forte dibattito legislativo, normativo e dottrinario. Parliamo di testi come Extraterritorial Immigration Control: Legal Challenges che a pagina 294, collazionando gli studi di giuristi di pregio come Enzo Cannizzaro, arriva alla conclusione che
Esiste un’obbligazione di ogni Stato a limitare le azioni a difesa dei propri confini entro i limiti necessari ad evitare un danno sproporzionato rispetto al rischio di intrusione
Ed in base alla stessa, come abbiamo esaminato già in passato, assolutamente condivisibile teoria, l’Alto Commissariato ONU per i Rifiugiati ebbe modo di criticare il “blocco navale” propedeutico alla tragedia della Sibilla come “illegale”, e nel 2000 un’interpellanza parlamentare a firma Nardini, Giordano, Vendola, Mantovani, De Cesaris chiese chiarezza sull’accaduto.
Era un blocco navale solo di fatto, e neppure del tutto, e sicuramente non nella sostanza legislativa. I suoi effetti però furono una dirompente bomba nell’ordinamento giuridico internazionale.
Il che ci porta al terzo problema.
Comunque, regolare e contenere il traffico dei migranti mediante accordi internazionali è una cosa diversa dal blocco navale e possiamo definire utile ed auspicabile per la sicurezza dei migranti stessi.
Buona fortuna però a chi dovesse provarci, perché la riuscita è l’equivalente del camminare su una fune sospesa a diversi chilometri da cocci aguzzi di bottiglia con guardie armate pronte a spararti addosso al primo tentennamento.
Avrete capito che parliamo di qualcosa di assai difficile.
La Libia, porto principale di sbarco, non è esattamente “un porto sicuro”, e già nel 2017 la Commissione Europea si era incagliata nel tentativo di investire in un programma di addestramento della Guardia Costiera Libica e creazione di un controllo sul flusso dei migranti.
Il sei agosto Giorgia Meloni, per Fratelli di Italia, ha richiamato esattamente tale proposta.
Sarebbe senz’altro un’ottima cosa riuscire ad avverarla: ma le condizioni ostative del 2017 sono ancora lì, se non peggiorate dal fatto che nel 2017 non avevamo di fronte una pandemia ed una situazione geopolitica fortemente instabile i cui effetti si riverberano anche sul continente Africano.
«La nostra proposta di blocco navale è un’iniziativa europea in accordo con le autorità libiche», ha detto (min. 4:40) la Meloni, ai microfoni Rtl 102.5. «Non è un atto di guerra, ma un’iniziativa coordinata per fermare le partenze».
Questo confermando che laddove si dice blocco navale non si intende un vero blocco navale, ma l’ideale prosecuzione delle missioni Europee sotto l’egida di Frontex e successive per creare accordi plurilaterali tra Europa e Libia per la gestione dei flussi migratori.
Accordi come abbiamo visto problematici.
Introduce un ulteriore punto di criticità l’ipotesi di valutare lo status di rifugiato in appositi Hotspot in Libia. Paese dove la citata Papanicolopulu conferma esserci ancora problemi legati al mancata certezza sul rispetto dei diritti umani.
«La Costituzione italiana prevede che tutti coloro che non hanno accesso alle libertà democratiche possano richiedere asilo in Italia», spiega inoltre Masera a Pagella Politica. «L’idea di trasferire queste pratiche al di fuori dei nostri confini significa far venir meno il diritto d’asilo, come riconosciuto nella nostra tradizione costituzionale».
Non si tratta di una questione formale, ma squisitamente giuridica «Trasferendo la valutazione delle pratiche al di fuori del Paese, vengono meno tutte le garanzie» legate al diritto d’asilo, come la possibilità di fare ricorso. «In questo modo, il diritto diventa una concessione», ha aggiunto Masera.
Sappiamo quindi quello che un blocco navale sicuramente non è: un blocco navale.
Quello che non siamo certi che sia, ma potrebbe esserlo se le stelle si allineassero tutte nel modo più adatto, sarebbe una delle “operazioni volte a contenere il traffico via mare di migranti in prossimità delle coste del paese di origine e in base all’autorizzazione fornita dallo stesso”.
Ma al momento sembrano esserci più ostacoli del “fil rouge” di Giochi senza Frontiere. O senza Frontex, scusateci la boutade.
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