Oggi, come tutti sappiamo si celebra il Giorno della Memoria. Solenne momento di raccoglimento e ricordo che rievoca il momento in cui le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz rendendo palese e manifesto quello che molti cercavano di rimuovere e ignorare.
Perché il senso della giornata di oggi è questo: cancellare il ricordo di qualcosa consente di ripetere quell’errore.
Non a caso Primo Levi ci ricorda che
“L’Olocausto è una pagina del libro dell’Umanità da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria”
E sono anni che, sulla nostra pagina, qualcuno cerca ossessivamente di togliere quel segnalibro e strappare le pagine dal libro della memoria.
Ogni anno abbiamo avuto almeno una segnalazione a metà tra l’assurdo e il tragicomico, ogni anno “lamentele” di persone convinte di avere il diritto di credere a bufale concepite apposta per togliere quel segnalibro e strappare quelle pagine.
Cosa che non possiamo concedere. E quindi, continueremo a ricordare ed archiviare quelle pagine. Aggiungendone di nuove, perché il libro diventi troppo ingombrante per essere accantonato, perché ogni bufala sia affrontata ed ogni negazionismo combattuto.
Nel 2020 ci fu segnalato un “presunto documento della Croce Rossa”, agitato come una prova che l’Olocausto non fosse mai esistito.
Un documento modificato direttamente in fotocopia, che invece raccontava una storia ben diversa.
La storia di come (fatto riportato, tra gli altro da Patrick Montague), quando le forze di liberazione arrivarono in campi come quello di Chelmno, spesso tutti i documenti in possesso del Sonderkommando, per ovvi motivi, erano già stati distrutti.
Per lo stesso motivo per cui se sei uno spacciatore di droga e ti arriva la polizia a casa, la prima cosa che fai è rompere i panetti di polverina bianca e scaricarli nel water pregando che non si intasi prima dell’ispezione. Per la stessa ragione per cui se sei un pedofilo probabilmente alla prima avvisaglia legale estrarrai l’hard disk dal computer per passarci sopra con un rullo compressore, e così via.
Esattamente: i moderni negazionisti accusano e deridono il popolo Ebreo per il fatto di essere costretti a ricostruire documenti che i nazisti hanno distrutto.
Come se se l’avvocato difensore dello spacciatore citato nell’esempio decidesse di lanciarsi in meme, insulti e derisione del Pubblico Ministero perché non è riuscito a pesare tutta la droga che il suo cliente ha gettato nello scarico piangendo ed urlando sperando di non essere beccato con le mani nella pasta. Letteralmente.
In questo caso, parliamo del fatto che all’Ufficio Speciale di Registro di Bad Arolsen, istituito nell’immediato dopoguerra per cercare di dare un senso ai documenti distrutti e a quei numeri mancanti che in tempo erano vite, ci sono voluti decenni per ricostruire una stima accurata delle vite perdute.
Perché per spegnere migliaia di vite ci vogliono pochi secondi: per riallacciarne il filo non bastano decadi.
Ancora nel 2019, avevamo gente che marciava sulla certezza oltre ogni ragionevole dubbio, accusando la storiografia di mentire per aver usato anche coi nazisti le basi della cultura giuridica. Quella che prevede “il favor rei”.
Sostanzialmente ci trovammo a dire che no, le 152.000 vittime accertate del campo di Concentramento di Chelmno non erano tutte le vittime della Polonia invasa durante l’Operazione Barbarossa, ma una frazione pari al 10%, e che il fatto che a Norimberga si siano condannati i nazisti per le sole vittime accertate senza ogni dubbio, nonostante la sistematica operazione di cancellazione delle prove dei crimini Nazisti, è semplicemente la prova della correttezza di Norimberga, e giammai del contrario.
Anche qui, potrete avere una disamina completa nel nostro articolo.
Sempre nel 2019 ci trovammo nell’imbarazzante situazione di spiegare che una commissione di studio sull’antisemitismo nella società e in rete è, per forza di cose, un Osservatorio e non un tribunale.
Ma forse, un osservatorio, a chi vuole cancellare la memoria, fa più paura di un vero tribunale. Del resto, da un Tribunale al massimo ne esci carcerato: da un osservatorio ne esci istruito.
Per il Negazionismo, istruire la gente è una pena assai peggiore, perché toglie benzina al suo odio pernicioso.
Nel 2018, rievocando uno dei nostri primi testi contro il negazionismo, ci trovammo a dover spiegare qualcosa noto anche al più distratto studente delle superiori.
Una “prova” della falsità del Diario di Anna Frank, testimonianza cardine dell’Olocausto, basata su affermazioni a metà tra il puerile e l’arrampicata sugli specchi.
Tra le affermazioni nell’articolo leggibile a questo link che ci consigliamo di aggiungere in lettura in questo Giorno della Memoria, troviamo “non prove” come “Perché i nazisti non hanno ucciso Anna Frank subito anziché deportarla?”, “Perché Anna Frank scrive che l’Olocausto esiste se mio cuggino ha detto di no?” e “Perché esistono diverse edizioni del Diario?”
Ora, tutte queste domande hanno da noi trovato risposta: ma in libreria (o per i pigri, su Amazon) un’edizione del Diario di Anna Frank la troverete. Leggetela.
La Bufala del 2017 fu un colpo basso anche per il Negazionismo online.
Sostanzialmente la versione crudele di una “zingarata” alla Amici Miei, un gruppo di simpatici burloni che segnalarono delle morti inventate allo Yad Vashem, l’ente che raccoglie le testimonianze delle vittime per screenarsi passo passo mentre dileggiavano l’umana memoria, senza però rivelare al loro uditorio come le false segnalazioni erano state poi rimosse in quanto… inesistenti.
Vedete un po’ come siamo messi…
Nel 2016 temiamo di aver raggiunto però uno dei punti più bassi della storia del fact checking sottoposto a questa pagina.
Un meme in cui qualcuno opinava il fatto che i numeri assegnati ai prigioneri di Auschwitz fossero solo a sei cifre, quindi i morti totali non potessero essere più di 999.999.
Un po’ come in quei videogiochi da cabinato troppo vecchi in cui il punteggio si resetta superata la capacità di memorizzazione del dispositivo.
Bufala che ignorava come
Il numero di sei cifre tatuato infatti era triste appannaggio solo di una categoria di prigionieri di un particolare campo di sterminio: Auschwitz, o meglio del complesso Auschwitz I (campo primario), Auschwitz II (Auschwitz-Birkenau) e Auschwitz III (Monowitz), ovvero quelli destinati a sopravvivere alle prime selezioni, e solo da partire dal biennio 1941-1942, lasciando quindi tutti quelli arrivati nel 1940 con numeri cuciti agli abiti o su targhette metalliche da indossare permanentemente, cosa che continuò ad accadere dove il tatuaggio non era usato.
I prigionieri destinati alle camere a gas venivano infatti immediatamente smistati verso la morte e, ovviamente, non registrati né muniti di identificazione diretta.
Inoltre, le sei cifre erano da intendersi come parte di una serie.
Serie di cui parliamo nel dettaglio nel nostro articolo, come al solito cliccabile.
Perché come vedete, non passa anno prima che qualcuno cerchi, con malafede o perché disinformato, di cancellare un pezzo della memoria.
Che spetta a noi tenere vivo.
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