Continua il caso Pavel Durov, e continua la disinformazione sulla vicenda. Come avevamo già previsto, oggi 28 agosto è finita la detenzione cautelare ed è stato rilasciato il proprietario di Telegram.
Tornerà in tribunale per valutare “una prima apparizione e un’eventuale incriminazione”.
Il quadro della situazione si delinea: le indagini che hanno portato alla custodia cautelare, al momento quindi non ad una condanna, sono cominciate in realtà da marzo di quest’anno, e riguardano sia Durov che suo fratello Nikolai.
Esattamente come da noi ipotizzato il punto forte della vicenda è la mancanza di cooperazione con le autorità: documenti inviati alla testata POLITICO parlano di una richiesta di cooperazione inevasa per ottenere i dati relativi ad un utente coinvolto in indagini per pedopornografia, anche questo parte del nostro iniziale pacchetto di ipotesi.
Sostanzialmente, punto dolente della vicenda è quanto Durov sia pronto a collaborare con le autorità consentendo “accesso” ai dati di soggetti sottoposti ad indagini.
Cosa che per Musk e molti controinformatori diventa una forma di censura, additando l’odiato Mark Zuckerberg, più ligio a tali ottemperanze ancorché comunque non privo di spirito critico.
In realtà va precisato come tra il soggetto che usa Telegram per pianificare una manifestazione ad Hong Kong, per dire, sia diverso dal pedofilo conclamato che diffonde immagini di minori.
Per citare quanto detto da Macron, “le libertà sono sostenute all’interno di un quadro giuridico, sia sui social media che nella vita reale, per proteggere i cittadini e rispettare i loro diritti fondamentali” e sarebbe una intollerabile forma di ingenuità buttare nello stesso calderone della libertà di parola il troll, il disinformatore, il criminale e il cittadino desideroso di esprimersi.
Peraltro i problemi si infittiscono: anche in India Telegram si ritrova sotto l’occhio degli inquirenti, legato questa volta a estorsioni e frodi, tipiche del ricco mercato delle “troll farm” locali (quelle che, per dire, estorcono fondi e buoni Amazon in cambio di improbabili risoluzioni di “problemi sul computer” e combattute da appositi servizi di fact checking).
Intanto, in Russia è già cominciata, e lo sapevamo, la tiritera contro l’Occidente cattivo e l’invito (immotivato) a buttare via ogni account per paura che la NATO possa mettere le mani sui “canali Doppelganger” e altre fonti di disinformazione.
Lo troviamo improbabile: non saremo però certo noi a lamentarsi se qualcuno di essi scomparisse per timore.
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