Ci sono notizie che ci fanno desiderare con tutto il cuore di non avere un tag notizia vera. Sapete, quando si legge di un bambino di dodici anni morto nel carrello di un aereo, fuggito in cerca di una vita migliore, qualcosa dentro ti si spezza.
Attraversi simultaneamente tutti gli stadi dell’eleaborazione del lutto, per un istante non vorresti essere un fact checker. Li vivi tutti. Negazione, perché speri in fondo al cuore che sia tutto un triste scherzo, perché ogni vita che si spegne è una tragedia ed una vita che si spegne troppo presto e in modo così atroce è una sconfitta per il Mondo tutto. Patteggiamento, sperando che le tue ricerche non ti conducano all’orrore che sai di trovare. Rabbia e depressione in loop, perché solo un soggetto pessimo, un brutale leone da tastiera che di umano non ha più neppure i polpastrelli che usa per vomitare carnascialesca esultazione dinanzi alla morte che sembra venerare con ogni brutale potrebbe esimersi dallo sconforto e dal dolore.
E infine l’accettazione, l’accettazione che ci dà il coraggio di raccontare questa storia. Perché non sia dimenticata.
Un tweet. Massimo 280 caratteri per una vita spezzata.
Air France conferma che il corpo senza vita di un passeggero clandestino è stato scoperto nel vano del carrello di atterraggio dell’aereo adibito alla tratta AF703 da Abidjan (Costa d’Avorio) all’Aereoporto Charles de Gaulle il giorno 7 Gennaio.
Vita che scopriamo dalla stampa appartenere… ad un bambino.
Un bambino di cui non sappiamo il nome, non conosciamo la storia.
Sappiamo solo che era un bambino di “dieci anni circa”, probabilmente dodici, non di più, morto di stenti e freddo nel vano di servizio di un aereo.
Ritorna alla mente la tragedia di ogni vita spezzata.
E ritorna alla mente la grottesca figura del leone da tastiera, al sicuro nelle sua casa al caldo, illuminato dalla flebile luce di un monitor col volto deformato in un ghigno che non ha nulla più di umano, le mani contratte in un artiglio di rabbia, incapace di tacere di fronte. al dolore.
Incapace di capire perché morire nel gelo di un vano di servizio sia preferibile ad una vita senza futuro e prospettiva alcuna, seriamente convinto che si affronti il gelo degli abissi e la crudele indifferenza del cielo per mero guadagno economico, e che la morte silenziosa e nascosta lo offenda di meno che esibire la crudeltà della stessa dove anche lui possa vederla.
Abbiamo già parlato in lungo ed in largo di quale dolore, quale desolazione ci sia in chi sceglie coscientemente di rischiare di rischiare la vita per raggiungere un futuro troppo lontano eppure così vicino.
Vi lasciamo le parole del professor Guido Saraceni, che ricordano mestamente come ogni bufala sul tema che abbiamo affrontato è un chiodo su una piccola bara bianca
E non possiamo che concordare.
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