Open to Meraviglia, ovvero la Venere Influencer non convince i social (e Sgarbi). La campagna promozionale per il turismo dell’Italia che trasforma la Venere del Botticelli in una moderna Influencer sicuramente sta destando attenzione.
Ma nel senso previsto da Oscar Wilde, il famoso autore (ed in un certo senso, antesignano di tutti gli Influencer e Trend Setter prima ancora che il concetto esistesse) per cui basta che si parli bene o male, l’importante se ne parli.
Costata nove milioni di euro, la campagna si rivolge essenzialmente alle Generazioni X e Y attive sui social. Proprio quelle generazioni che hanno manifestato, unitamente alle altre, un certo scetticismo di fondo.
“Sto male dal cringe” è uno dei primi commenti immediatamente visibili sul profilo Instagram della Venere influencer. Dove “Cringe” è ovviamente il termine usato dalle generazioni X e Y per descrivere qualcosa di così assolutamente trash da suscitare brividi, ribrezzo e imbarazzo (“cringing”, rabbrividire nella lingua di Albione).
“Una Barbie che fa cose”, la descrive il portale “commozioni arte”. E in effetti, nonostante le importanti ed elevate personalità coinvolte, i social si concentrano sull’effetto finale: il viso della Venere incollato su corpi ritoccati in modo da simularne l’incarnato ma ottenendo una sorta di Barbie dalla carnagione platicosa, abiti che effettivamente richiamano il concetto di Influencer come uno delle generazioni precedenti la vedrebbe e una serie di improbabili ritocchini.
Non è sfuggito infatti all’occhio dei social come lo stesso viso della Venere sia stato rimaneggiato per aggiungere un lucidalabbra pastello e improbabili nastri per capelli col tricolore.
L’effetto complessivo, possiamo assicurare, non ha riscontrato i favori dei social. Il noto divulgatore Matteo Flora ha empiricamente dimostrato come persino Midjourney, il noto generatore di immagini “più vere del vero”, se idoneamente istruito avrebbe potuto ottenere risultati meno forzati. Meno “cringe”, citando i commentatori.
Caustico il commento di Vittorio Sgarbi, critico d’arte e sottosegretario al Ministero della Cultura
Giacché la Venere è nuda sarebbe stato meglio vederla così, senza bisogno di travestirla in quel modo: è una roba da Ferragni. Lo slogan? Anche così funziona lo stesso, lo ha deciso un grafico e io non voglio contraddire troppo i miei colleghi. Ma sul piano della lingua, la contraddizionè è invece loro: Open to meraviglia? Che roba è? Che lingua è?
Oseremmo infatti dire che lanciare una pubblicità, a parte tutte le citate critiche, col tag “Open to Meraviglia” e contemporaneamente proporre di usare obbligatoriamente l’italiano per ogni pubblica comunicazione salvo pagare onerosissime multe è un deciso autogol comunicativo tra i tanti nell’iniziativa.
Ma non è la prima volta che le campagne promozionali Italiane mancano l’obiettivo prefissato.
La mente corre al “portale del turismo VeryBello”, nato nel 2015 e naufragato solo due anni dopo sotto il peso di critiche social non dissimili a quelle di “Open to Meraviglia” e accolte con sdegno dall’allora ministro Franceschini.
O al caso da noi già esaminato del portale ItsArt, la “Netflix Italiana di Franceschini”, portale nato e morto durante la Pandemia che avrebbe dovuto portare i musei, l’arte, la musica e il cinema Italiani nel mondo e crollato non appena la fine dell’emergenza Pandemica ha reso possibile fruire musei e concerti in presenza e quando l’utente medio ha notato che poteva fruire gli stessi contenuti su altri portali di streaming se non direttamente gratis sulle Teche RAI e YouTube.
Ancora una volta, una costosa iniziativa rischia di naufragare nel peso di difetti e criticità che infiammano i social.
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