Nove generazioni di console in cinquantaquattro anni: questo è il lascito e l’evoluzione della storia del “gioco elettronico in ogni casa”. Nove generazioni, ognuna con una sua peculiarità, che hanno scandito la storia di tutti noi da Pong alla PlayStation 5, spesso cavalcando e incorporando non solo la moda, ma le conseguenze della geopolitica del momento.
Nove generazioni che cominciano dal 1922, col Magnavox Odyssey e Pong.
La prima console per videogiochi domestica è stata Magnavox Odyssey, ma la sua storia comincia molto più lontano. Osservando una TV nel 1951 l’ingegnere Ralph Baer si chiese cosa poteva mostrare un monitor. Programmi televisivi abbiamo visto, ma anche l’output e l’input di una telescrivente e, con un po’ di astuzia, dei piccoli passatempo.
Della grande intuizione di Baer non si fece niente, finché nel ’66 Baer non ipotizzò una console, che avrebbe voluto chiamare “Channel LP” (“Canale giochiamo!”, abbreviazione di Let’s Play).
C’era dietro anche l’ispirazione di titoli come Zork: le sale giochi esistevano già, e i ricercatori universitari amavano scrivere dei loro passatempo. Baer avrebbe semplicemente voluto portare quel regalo alle masse, anche quelle a digiuno di programmazione.
La fortuna aiuta gli audaci, e Baer ottenne finanziamenti e sviluppò l’idea: la futura console avrebbe avuto dei rozzi “paddles”, controller a forma di manopola per muoversi in una singola direzione, ma nei due versi, con la possibilità di usare joystick e pistole ottiche.
Si stavamo avvicinando alla prima generazione di Console, la “generazione originaria”.
La prima generazione non aveva cartucce: il Magnavox veniva venduto con “schede gioco” che di fatto “ponticellavano” i diversi generatori di logica e segnale per modificare input ed output, una sorta di “programmazione meccanica al volo”.
Non c’erano suono, né possibilità di “salvare” il gioco o tenere traccia di punteggi e affini, e neppure colori. Il Magnavox Odyssey fu venduto da Magnavox, con 27 giochi su 12 schede, di cui una scheda spedita a chi avesse compilato un sondaggio e schede “omaggio” coi vari tipi di controller.
Una serie di limitazioni resero questo precursore meno accettato di quanto proposto: Magnavox riuscì con successo a usarlo come mezzo per spingere la vendita delle sue TV, con l’effetto collaterale di far nascere la leggenda metropolitana che una TV non-Magnavox non avrebbe mai potuto far funzionare la console e che, anche se lo avesse fatto, accessori “particolari” come la pistola ottica avrebbero funzionato solo su schermi monocromatici Magnavox (in realtà funzionavano fin troppo bene con tutti gli schermi: puntando una lampadina sul sensore, si poteva simulare un colpo andato a segno in ogni caso).
Baer aveva invero proposto l’idea di cartucce con una propria memoria e in grado di potenziare le caratteristiche della console “introducendovi” nuovi giochi: non se ne fece niente, e l’appuntamento fu rimandato alla seconda generazione.
Dietro ispirazione del Magnavox Odyssey Nolan Bushnell, Atari, sviluppò un iconico gioco dapprima per sale giochi, poi in edizione domestica: il gioco del Pong.
Le famose “racchette virtuali” controllate da un paddle: Home Pong arrivò nelle case degli americani del 1975, assieme ad una denuncia per plagio da Magnavox tesa a dimostrare che Atari aveva semplicemente “scippato” la loro idea, arrivando a dimostrare mediante l’esibizione di un registro degli ospiti di una pubblica dimostrazione che Bushnell aveva giocato con l’Odyssey per “ispirarsi” (Bushnell dichiarerà di non essere stato persuaso dal concorrente): la causa finì con un accordo.
A prescindere da torti e ragioni, mentre la prima generazione era ormai un oceano di cloni di Pong, Atari voleva essere pronta al passo successivo, ed aveva bisogno di alleati. Preferì avere Magnavox tra i licenziatari e non tra i litigiosi mentre preparava l’ingresso nella seconda generazione.
Abbiamo già visto come il Fairchild Channel F introdusse nel mondo un concetto rivoluzionario, ironicamente scartato da Baer.
Console di gioco non più “ponticellabili”, ma vere e proprie macchine dedicate con giochi su cartuccia che avrebbero donato loro diverse capacità e abilità e un mercato di programmi potenzialmente infinito.
Wallace Kirschner e Lawrence Haskel ipotizzarono quindi delle EPROM, memorie di sola lettura, saldate su una scheda da infilare in una console e custodite da un guscio colorato, non più per “ponticellare” una console, ma per dare alla stessa nuovi programmi.
Con l’arrivo di Jerry Lawson, brillante ingegnere e programmatore e la coppia Nick Talesfore e Tom Kamifuji, designer industriale e artista, nacque anche il concetto di cartuccia venduta in una scatola con manuali illustrati e illustrazioni sulla scatola e sull’etichetta adesiva stessa.
Il Fairchild F diede il calcio di inizio all’era del gioco su Cartuccia, che vide nell’Atari 2600 il principale interprete, con la maggior parte delle quote di mercato, tallonato dal ColecoVision, la “Cadillac delle Console”, potentissimo e pluriaccessoriato, ma che tra gli accessori comprendeva un adattatore per usare le cartucce dell’Atari 2600 e l’Intellivision.
Tutti ricorderanno Centipede come simbolo di questa generazione, a pensarci il primo “survival horror” della storia (il puntino che sparava pallini contro il “centipede” del gioco era nella fantasia degli autori un elfo che combatteva insetti mostruosi che in tempo erano i suoi amici insetti della foresta colpiti da una maledizione).
Fu proprio essere la “Generazione dell’Abbondanza” che portò alla fine della Seconda Generazione e il desiderio della Terza: tutti questi brillanti interpreti avevano pensato a come riempire gli scaffali di giochi sempre più innovativi, ma non avevano pensato a cosa sarebbe accaduto se ci fossero stati troppi giochi.
Atari non riuscì a fermare un gruppo di suoi ex programmatori dal fondare una loro ditta, Activision, e altri interpreti da saltare sul mercato.
Nel 1983 i negozi erano pieni di cartucce vendute in conto vendita di qualità spesso infima, giochi venduti “un tanto al chilo” in un mercato che da quel 1976 anno di nascita della seconda generazione chiedeva ormai non solo novità, ma qualità.
Ci furono una ulteriore serie di considerazioni, e ne parliamo in un diverso articolo.
Una gradita eccezione fu il Vectrex, console di seconda generazione munita di un monitor incorporato (un CRT monocromatico posto in “modalità tate”, allineato in verticale) la cui grafica poteva essere “migliorata” affiggendovi fogli di plastica colorata, garantendo però un’esperienza di gioco fluida e apprezzabile.
La seconda generazione finì, e dalle sue ceneri nacque la terza
Atari e l’intera seconda generazione furono quindi lavorate ai fianchi da due forze: il Commodore 64 e Nintendo. Sin dal VIC20 Commodore si lavorò la seconda generazione ai fianchi, introducendo poi nel Commodore 64 una serie di intuizioni nate inizialmente in qualcosa che avrebbe potuto essere la sua console di Terza Generazione, MAX Machine, ovvero un chip audio polifonico di qualità superiore, il SID, e un chip video innovativo e con supporto per gli sprite, il VIC-II.
Il Commodore 64 era un computer, ma aveva tratti in comune con una console, come molti home computer del suo tempo: supporto per giochi su cartuccia, cassetta e floppy, doppio joystick, audio e video di eccezione, e prometteva l’utilità aggiunta di poter servire per gli scopi domestici ed educativi della famiglia moderna.
Nintendo però sedette alla finestra del crollo Atari e definì i tratti della Terza Generazione anche per il suo concorrente primario SEGA: e molti dei tratti delle generazioni successive.
Ricostruì il FamiCom in un oggetto dalle fattezze futuristiche, lontano dall’aspetto austero dell’Atari. Il NES somigliava ad un videoregistratore, ed arrivava con oggetti futuristici come il robottino ROB, la cui vera utilità non era fornire un’esperienza di gioco migliore, ma un’esperienza di gioco percepita come spinta verso un futuro ipertecnologico che avrebbe fatto percepire tutta la generazione come un salto in avanti nel futuro.
Duck Hunt e Super Mario furono i simboli di questa generazione, assieme ad Alex Kidd per SEGA.
L’adozione di sistemi di sicurezza come un “lockout chip” fece in modo che il NES potesse funzionare solo su giochi approvati da Nintendo, creando l’immagine di un mercato futuribile e garantito dal marchio.
Col Master System di SEGA, le due ditte partirono alla volta dell’Occidente cementando un mondo dall’aspetto tecnologico e futuribile, con un marchio divenuto “garante della qualità” in un mondo dove Commodore sfumava il confine tra console e computer.
Questo, almeno, fino all’arrivo della Quarta Generazione.
La quarta generazione nasce col NEC Turbograpx (“PC Engine”) in originale, del 1986, ed è la generazione a 16 bit.
La grafica diventa il punto centrale di tutto, tanto da cominciare i primi esperimenti col 3D, e nonostante NEC abbia dato il calcio di inizio, Mega Drive e Super Nintendo definiranno la generazione come una di intensa rivalità.
SEGA venderà il Genesis (nome internazionale del Mega Drive) con la tagline “Qualcosa che Nintendo non saprà mai fare” (“Something Nintendon’t”, con un gioco di parole), Nintendo opporrà fieramente al nuovo arrivo Sonic the Hedgehog (nuova mascotte di SEGA) le vecchie ed eterne glorie Mario e Link in nuove vesti.
Sprite avanzati e coloratissimi, audio stereo alla fonte (perché ormai tutte le famiglie potevano permettersi TV non solo a colori, ma stereofoniche) e controller multitasto furono il marchio di questa generazione.
Generazione assai longeva: come sovente accadde anche in natura, essa continuò a coesistere con la quinta in modo superiore a come la terza aveva fatto con la quarta (Nintendo continuerà a vendere i NES come alternativa economica al SNES, SEGA lo farà col Master System II rispetto al Mega Drive).
La quarta generazione segnerà anche l’ingresso di accessori più “spinti” rispetto ai soli controller, come il MegaCD per dare al Mega Drive supporto per i dischi ottici e il Satellaview per dare al SNES supporto per l’online via satellite.
Comincerà la china per cui la “moda del momento” entrerà nel mondo delle console: Nintendo apparentemente non tenterà la via del CD, ma solo perché di fatto lo aveva fatto stringendo un poco noto accordo commerciale con SONY dal quale sarebbe nata, a rottura dello stesso, la PlayStation.
Gunpei Yokoi, per Nintendo, aveva già nelle generazioni passate creato piccoli giochi a cristalli liquidi, i “Game&Watch”, quelli che noi occidentali chiamiamo “gli scacciapensieri”.
Con la quarta generazione Nintendo fece qualcosa che ha rifatto ancora adesso con la Switch: una console a 8 bit, tematicamente quindi legata alla terza generazione, ma con l’inedita funzionalità di portare nelle tasche e nelle aule scolastiche il mondo del gioco.
Veri e propri fenomeni mondiali come la saga di Pokemon renderanno il GameBoy ed i suoi successori il simbolo del gioco portatile, tallonato dai più performanti concorrenti Atari Lynx e SEGA GameGear, che però pagarono il supporto nativo per il colore con batterie di durata inferiore ed un fattore di forma assai più scomodo.
La quinta generazione, dal punto di vista tecnico l’ultima che oserei definire retro (le altre saranno trattate per completismo), nasce nel 1993 per chiudersi nel 2006, salvo l’eccezione del GameBoy Advance in sesta, per le ragioni menzionate che vedono Nintendo riuscire ad avere successo “con una generazione in arretrato”.
È l’era del 3D, è l’era dell’Impero Playstation.
Abbiamo già visto come nella terza generazione Nintendo aveva corteggiato Sony a lungo perché la quarta generazione potesse avere il supporto per i CD, salvo poi rompere il patto e cercare vie alternative con Philips, dando origine ad una sventurata partnership con Philips per una serie di giochi su licenza particolarmente brutti per il CD-i.
Male gliene incolse: nel 1994 (un anno dopo in occidente) SONY tirò fuori la Playstation, trasformando per sempre il mercato del videogame.
Laddove SEGA Saturn, Playstation, 3DO e Atari Jaguar, con un adattatore quest’ultimo, supportavano i CD il Nintendo 64 non lo fece.
Nintendo difese pervicacemente la sua scelta evidenziando i costi di produzione ancora superiori di un lettore ottico (che però venivano pareggiati dal costo inferiore della produzione dei dischi) e i tempi di caricamento superiori delle cartucce, col poco lungimirante “il futuro non è per le lumache”.
Nonostante di fatto SONY vinse a mani basse la nuova Guerra delle Console, e per tutte le generazioni a venire, l’antagonismo tra Nintendo e SEGA non scemò, anzi.
Segata Sanshiro, la mascotte ufficiale del Saturn, un burbero karateka in giro per il mondo per costringere i piccoli ragazzini giapponesi a smettere di giocare all’aperto per rinchiudersi a casa con le console SEGA sotto pena di percuoterli con gran violenza e brutalità (non fateci domande…) finì la sua carriera di mascotte proprio con uno spot in cui un razzo sparato dalla sede della Nintendo gli esplodeva addosso uccidendolo (in seguito il suo destino fu retconnato in “Esiliato su Saturno fino alla fine della vendita delle console SEGA”).
Facezie a parte, questa generazione introdusse il gioco in 3D come norma e non più come eccezione o esperimento, l’audio su CD per consentire voci realistiche e l’uso costante dei filmati in-gioco a cui siamo ormai abituati (cosa che nasce in questa generazione), la risoluzione minima EDTV e i moderni controller analogici, col funghetto “croce e delizia” dei giocatori moderni per la sua infame tendenza ai movimenti fantasma (drifting) quando usurato.
Siamo alla generazione di Final Fantasy VII, di Virtua Fighter, Mario 64 e tutti quei giochi il cui “gimmick” era sostanzialmente mandarci in sollucchero con le tette poligonali di Lara Croft ed altre bizzarre forme vagamente umanoidi che rispetto agli sprite bidimensionali del passato erano una visione degna di Lovecraft.
Questa generazione non ha novità fondamentali nel gioco portatile, se vogliamo considerare portatili la Pocket Station (una memory Card per la PlayStation con minigiochi), soprassedere sul fallimento commerciale del SEGA Nomad o considerare quinta generazione il GameBoy Color, di fatto un GameBoy Pocket con display a colori non retroilluminato.
La sesta generazione è la generazione Internet: la PlayStation 2 ad esempio introduce un disco rigido e un adattatore di rete per giocare online e scaricare giochi dalla Rete, cosa comune dalla settima generazione in poi e parte integrante del panorama ludico attuale.
La Playstation 2 si cementa come best seller della sua generazione, aprendo un millennio tallonata dal Nintendo GameCube, prima console Nintendo ad arrendersi ai dischi ottici (fenomeno che continuerà fino a Nintendo Switch in ottava generazione) e dalla Xbox Microsoft, eterna seconda dietro SONY, nonostante la potenza di fuoco di Microsoft costantemente alle spalle.
SEGA finirà la sua avventura nel mondo delle console proprio qui, con un Dreamcast dalle soluzioni avveniristiche, forse troppo per il mercato.
La Sesta Generazione sostanzialmente costruisce ed espande sul mondo 3D della quinta, con titoli accattivamenti come Legend of Zelda: Wind Waker, mantenendo un occhio su connettività e interattività.
Nintendo produrrà con Panasonic una variante del suo GameCube, il Panasonic Q con un occhio di riguardo per l’audiovideo, e il controller del GameCube verrà prodotto ancora oggi, anche in varianti wireless per l’uso con Nintendo Switch.
Sempre nella sesta generazione, Nokia apre le danze al gioco su cellulare col cellulare “gaming” specializzato N-Gage: Nintendo svecchierà finalmente il GameBoy creando il GameBoy Advance, primo passo avanti in una console che dalla quarta generazione sembrava inchiodata alla terza.
Il Wonderswan Bandai godrà di successo in Giappone, ma nel resto del mondo sarà divorato da Nintendo: titoli iconici per il Wonderswan sono da noi godibili nelle versioni GameBoy, come Riviera.
La settima generazione, cementato l’online come un dato di fatto, è la generazione delle stranezze. Per un momento durato dalla Xbox 360 fino ad oggi, dal Wii fino a Switch, e dalla Playstation 3 fino già alla 4, ad un certo punto sembra che il mondo si sia chiesto collettivamente come poter fare a meno dei controller.
La Xbox 360, oltre che una serie di imbarazzanti difetti tecnici incarnati dal “Red Ring of Death” introdusse il Kinect, un controller che recepiva i movimenti fisici del giocatore.
Il concetto fu portato all’estremo con la Wii, il cui controller di elezione era il Wiimote (sostituito dal Wiimote Plus, con più sensori): un bastoncino con la possibilità di collegare un “nunchaku”, un controller secondario con l’analogico per il movimento e un sensore ad infrarossi per controllare un proprio avatar (il “Mii”) o i personaggi dei giochi coi gesti delle mani, più un predellino, la “Wii Balance Board” per controllare i piedi.
Nintendo Wii era ancora compatibile, come il suo successore WiiU, coi giochi del GameCube, che potevano essere giocati col controller “tradizionale” ancora compatibile.
La PlayStation 3 introdusse un suo controller con sensore di movimento, il Move, ma anche sensori di movimento nel proprio controller tradizionale, il Dual Shock.
Per un momento di ubriacatura collettiva la settima generazione cercò di reinventare la ruota: anche nel mondo delle console portatili Nintendo decise di stupire il mondo col DS (“Dual Screen”), console che riprendeva le forme dei Game&Watch a doppio schermo di Gunpei Yokoi sostituendo però il secondo schermo con un touch, ottenendo una console che potesse essere giocata coi medesimi controlli del GameBoy Advance, più un pennino di plastica rigida da estrarre dalla scocca.
Sony propose invece la PlayStation Portable, una propria console portatile basata su dischi ottici di dimensioni contenute e la possibilità di acquistare e giocare videogames comprati dallo store online, distribuita in vari versioni.
Essendo la settima generazione la “generazione online” è proprio in essa che appaiono le console “open”, come il GP2X Caanoo. Console non in grado, né costruite per competere con i colossi commerciali, ma giocattoli per smanettoni che possono essere munite di diversi emulatori e programmi “homebrew”, creati dagli utenti. In un certo senso, con la “generazione online” si è aperta la pista per i progetti di “Console/emulatori Linux e Android”, come le Anbernic e il Miyoo Mini Plus da noi citato, anagraficamente parte dell’ottava generazione ma di fatto “fuori dai giochi” come delizioso giocattolo per geek.
L’ottava generazione avrebbe dovuto essere nota per il 4k. Avrebbe dovuto essere la generazione delle console “come computer”, con architetture simili ad essi per favorire il “crossplay”, il gioco multipiattaforma.
Avrebbe dovuto essere la generazione che avrebbe accantonato le folli bizzarrie della settima per tornare al caro vecchio joypad, magari arricchito da moderni visori per la realtà virtuale.
Avrebbe dovuto essere molte cose: è diventata la generazione che rifiuta di andar via.
Non siamo più nel mondo del retro, lo so, ormai è cronaca: l’ottava Generazione di console si è trovata nel pieno della crisi dei semiconduttori, quando la nona generazione che avrebbe dovuto sostituirla ha dovuto stentare a partire (ma ne parleremo).
Dal 2013 al 2024 sono passati undici anni, eppure troviamo ancora Playstation 4 nei negozi, e giochi per la 4 affollano le vetrine di GameStop.
Nintendo ha invece compiuto un’altra scelta, inchiodandosi saldamente nell’ottava generazione ma lasciandola evolvere.
Nel 2012 è uscita la WiiU, evoluzione di Wii che aveva barattato i Wiimote con un grosso pad con uno schermo touch, e rimpiazzato il DS col 3DS, console dal gimmick di un monitor superiore con un effetto virtuale e 3D.
Salvo poi nel 2017 decidere di fondere entrambe le console in Nintendo Switch, un grosso tablet con due piccole unità joystick (i joycon) removibili ma la possibilità di usare un joypad vecchio stile venduto come “accessorio Pro”, con cartucce di gioco come il 3DS, un singolo monitor e la possibilità di saltare dal gioco fisso al gioco portatile.
Ancora una volta la scelta apparentemente “retrograda” di Nintendo si è rivelata vincitrice: col ritiro di Playstation Vita, la console di ottava generazione e Playstation Portal che di fatto ne ha ereditato solo la possibilità di poter essere usata come controllo remoto per la Playstation 5 togliendo la possibilità di gioco autonomo al momento Nintendo Switch è l’unica console portatile mainstream rimasta, nonché leader di un mercato nel quale esiste solamente lei stessa, nonché ibridi console/computer come Steam Deck, Lenovo Legion Go e ASUS RoG.
Parte dell’ottava generazione è il compimento del processo iniziato in settima: una pletora di “miniconsole”, riproduzioni in FPGA ed emulazioni delle console storiche del passato.
Se Nintendo ci ha ridato nell’ordine i Game&Watch di seconda generazione in versione rivista e corretta, il NES e lo SNES in forma di NES e SNES Mini, se abbiamo un Mega Drive Mini e Retrogames Limited ci ha dato il The64, il TheVIC20 e l’Amiga Mini, è proprio perché come vedremo, la nona generazione è nata senza i mezzi per diffondersi, e l’onda lunga di una Pandemia che ci ha rinchiuso a casa ha stimolato la nostalgia canaglia.
Fuori dai giochi, ecco che consoline portatili come il Miyoo Mini Plus da noi recensito hanno capitalizzato sulla nostalgia mettendoci in tasca tutti i giochi dalla Prima alla Quinta generazione.
Nel 2020 sono successe moltissime cose: una devastante Pandemia che ha messo a soqquadro la vita civile ed economica di intere nazioni, la crisi dei semiconduttori che ha reso impossibile avere una produzione industriale agevole, a cui aggiungiamo ora, dal 2022 e voi, conflitti che straziano il mondo.
Non il momento adatto per lanciare una nuova console direte, no? Mentre Nintendo faceva cappotto con Animal Crossing: New Horizon, vendendo sulla Switch una normalità sospesa in un piccolo mondo bucolico, SONY cercava di lanciare la PlayStation 5, seguita dalla Xbox Series X/S.
Console dalle architetture simili a quelle dei PC, nate per il “crossplay”, il gioco multipiattaforma. Evolutissime, con la vocazione per il FullHD e la tridimensionalità vera, il raytracing e la scelta di abbandonare progressivamente i lettori ottici per spingere verso il download online.
Console nate premature: le liste di attesa per una PlayStation 5 nel 2020 erano scoraggianti, e solo nell’ultimo anno la vista di pacchi di console pronte per la vendita ha potuto rassicurare gli acquirenti che non avrebbero atteso mesi per una console “Prenotata al Day One” o addirittura fino al “Day Three” dall’uscita.
Consentendo quindi di riempire gli scaffali di titoli che non fossero quelli per l’ottava generazione.
Tra Pandemia che ha paralizzato la produzione e le fiere del settore, crisi dei semiconduttori e guerre, la storia della Nona Generazione si fonde a quella del mondo, dimostrando come anche una cosa “frivola” come i videogames non può che vivere nel mondo reale.
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