Ci segnalano un articolo pubblicato l’11 maggio 2017 su NotizieFlash24 (archive.is):
Non si placa l’orrore emerso dalle indagini sugli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria e sui medici e operatori sanitari dei reparti di neonatologia, ginecologia e anestesia, che ieri hanno portato all’arresto di quattro ginecologi e all’interdizione dall’esercizio della professione per dodici mesi di altre sette persone. Come se non bastassero le accuse, ora arrivano le intercettazioni (pubblicate dal Dispaccio) a rendere ancora più raccapricciante la vicenda e qualificare la vera natura dei medici coinvolti; in primis il primario facente funzioni Alessandro Tripodi, nipote dell’avvocato Giorgio De Stefano, considerato uomo forte dell’omonimo clan di ‘ndrangheta. Tripoldi, sempre stando agli ascolti riportati nel pezzo firmato da Claudio Cordova, se la ride beatamente quando ricorda i clamorosi errori commessi dai suoi colleghi nei confronti delle pazienti. Va ricordato che il medico è agli arresti domiciliari.
Medici arrestati:
Tra le accuse nei suoi confronti quella di aver organizzato, a sua insaputa, l’aborto della sorella perché sospettava che il feto avesse anomalie cromosomiche. Ai domiciliari ci son pure l’ex primario Pasquale Vadalà e i ginecologi Daniela Manuzio e Filippo Saccà. Sono stati interdetti dall’esercizio della professione medica anche i ginecologi Salvatore Timpano, Francesca Stiriti, Antonella Musella, gli anestesisti Luigi Grasso e Annibale Maria Musitano, il responsabile dell’ambulatorio di neonatologia Maria Concetta Maio e l’ostetrica Pina Grazia Gangemi. Nel registro degli indagati sono stati invece scritti i nomi dei medici ginecologi Massimo Sorace, Roberto Rosario Pennisi, l’ostetrica Giovanna Tamiro e Antonia Stilo.
Le intercettazioni
Tripodi racconta ridendo di essere scappato dall’ospedale con una scusa, quando al primario Vadalà è morto un neonato. Il primo decide di spegnere il cellulare nel timore che il secondo lo facesse rientrare in reparto dopo il drammatico evento. Questa che segue è la conversazione di Tripoldi con la moglie:
TRIPODI: “ehi… eh niente, gli è morto un bambino quà… A VADALÀ E ALLA MANUZIO …omissis… ho chiuso il cellulare apposta, cretina, perché sennò mi chiamava in continuazione Vadalà eh…omissis.. e infatti me ne sono andato subito (ma fuia subutu) (n.d.r. ride)…”.
In un’altra conversazione, con un linguaggio quantomeno pittoresco, parla con spregio delle sofferenza della paziente. L’interlocutore è Daniela Manuzio, anch’essa agli arresti:TRIPODI: minchia non sai che è successo, stanotte l’ira di Dio;
MANUZIO: eh? e di chi?;
TRIPODI: allora, quella lì, eh, di Timpano, che gli ha sfondato la vagina;
MANUZIO: eh;
TRIPODI: eh, allora, lo sai, ha la vescica aperta, (RIDE……RIDE…..RIDE);
MANUZIO: eh;
TRIPODI: allora dal drenaggio esce urina .. te la ricordi a [Omissis]? Era oro…..mi ha chiamato Pina Gangemi…dottore vedete se potete venire che qua c’è l’ira di Dio…ride….ride che oggi……….2 litri di urina dal drenaggio (ride)…..in pratica…sono andato…. la vescica era aperta….l’hanno suturata in triplice stato…..”.
In una altre delle intercettazione pubblicata da Il Dispiaccio, Tripoldi racconta alla collega Francesca Stiriti di come alcuni colleghi, durante un intervento per un carcinoma dell’endometrio, si siano ritrovati “con l’utero in mano”.
TRIPODI: ma, si sono messi l’altro giorno a fare un’isterectomia
STIRITI: come come?
TRIPODI: si sono messi l’altro giorno a fare un’isterectomia per via vaginale, per un carcinoma dell’endometrio
STIRITI: eh
TRIPODI: e gli è rimasto l’utero nelle mani (ride)
STIRITI: gli è restato l’utero nelle mani?
TRIPODI: Allora! stava morendo la paziente, scioccata
La chiosa della ginecologa è esemplificativa dello stato di poca professionalità dei medici degli Ospedali Riuniti: “Che scempio, poverino chi ci capita” dice la Stiriti.
Un sistema “per salvarsi il culo”
Il gip Antonino Laganà parla di “bollettino di guerra” nell’ordinanza di custodia cautelare da cui emerge il sistema adottato dai medici per “salvarsi il culo”. Al centro dell’inchiesta dalle Fiamme Gialle, denominate inequivocabilmente’ Mala Sanitas’, ci sono anche le irreversibili lesioni di un altro piccolo paziente dichiarato invalido al 100%. A conferma della tesi accusatoria, il gip evidenzia un’altra intercettazione di Tripodi: “Vabbè loro cercheranno di occultare il fatto che non sono riusciti ad intubarlo. Speriamo che non abbia danni. Mah, comunque cazzi loro! Noi sicuramente non c’entriamo niente“. Una vicenda tenuta nascosta, sottolinea sempre l’accusa, persino alla madre del piccolo (che oggi ha 5 anni). La donna, sentita dal pm durante l’inchiesta, ha addirittura avuto parole di gratitudine nei confronti del reparto di neonatologia: “Ha ricevuto le cure necessarie e, a mio avviso, i medici di quel Reparto sono stati bravissimi, a differenza di quelli di ostetricia che, a mio avviso, mi hanno trascurata”.
Il riscontro su più testate nazionali e locali attesta che la notizia sia vera. La vicenda ripercorre uno scandalo emerso nel 2016 al termine dell’operazione Mala Sanitas condotta dalla Guardia di Finanza e dai Pubblici Ministeri Gaetano Paci, Roberto di Palma e Annamaria Frustaci. Nell’articolo “Reggio Calabria, quattro medici arrestati e sei sospesi” pubblicato dal Messaggero il 21 aprile 2016 leggiamo che le intercettazioni di alcune telefonate che aprirono l’inchiesta avvennero durante le indagini della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Reggio Calabria per una vicenda di ‘ndrangheta. Su richiesta della Procura della Repubblica e con emissione del Tribunale, la Guardia di Finanza eseguì l’ordinanza di applicazione di misure cautelari contro 4 medici, mentre per altri 7 si disposero delle misure interdittive che li avrebbero tenuti lontani dal loro lavoro per 12 mesi.
A loro carico gravavano accuse per:
A finire agli arresti domiciliari furono:
Le sette misure interdittive furono disposte per:
11 sanitari, dunque, che operavano nell’illegalità nel Presidio Ospedaliero Bianchi-Melacrino-Morelli. Nell’articolo “Reggio Calabria, aborti senza consenso: ecco le risate nelle intercettazioni choc dei medici arrestati” pubblicato il 23 aprile 2016 sul Messaggero, leggiamo che oltre alle indagini su una vicenda di ‘ndrangheta, l’intervento delle Fiamme Gialle scattò nel 2010 per due morti sospette di neonati, deceduti per la superficialità dei sanitari. Le pesanti accuse furono «falso ideologico e materiale, soppressione, distruzione e occultamento di atti veri e interruzione della gravidanza senza consenso della donna. Il presunto sistema di copertura degli errori, secondo l’accusa, sarebbe stato condiviso dall’intero apparato sanitario» (Ansa). Nei reparti di Ostetricia, Ginecologia e Anestesia imperava la superficialità di sanitari noncuranti dell’importanza del camice, che coprivano i rispettivi errori manomettendo le cartelle cliniche con bianchetto, dati manipolati e ogni tipo di occultamento atto a nascondere le responsabilità.
A dare la prova schiacciante dei reati commessi furono le intercettazioni delle telefonate che il dottor Alessandro Tripodi, ginecologo e primario di Ginecologi, faceva ai suoi colleghi e alla moglie per raccontare divertito quanto accadeva nella struttura. Il Messaggero riporta la trascrizione dei nastri pubblicata sulla testata locale Il Dispaccio il 22 Aprile 2016.
Il 12 aprile 2010 Alessandro Tripodi ridacchiava al telefono con l’infermiera Francesca Stiriti, commentando un intervento effettuato: «Si sono messi l’altro giorno a fare un’isterectomia per via vaginale, per un carcinoma dell’endometrio; gli è rimasto l’utero nelle mani (ride)» e la Stiriti commentava: «Mamma che scempio! Che scempio! Povero a chi ci capita, mannaia la buttana ah?».
Il 16 giugno 2010 Loredana Tripodi subiva un aborto, a sua insaputa, da parte del fratello Alessandro. Quest’ultimo sospettava che il feto soffrisse di patologie cromosomiche e dunque decise di impedire il parto all’insaputa della donna. In quel giorno, infatti, Alessandro Tripodi telefonava a Filippo Saccà indicandogli di “fargliela tragica” inventando un “distacco”. Saccà si dimostrò contrario in un primo momento, ma Tripodi insistette: «Senza dirle un cazzo le metto il Cervidil e le spiego che sospendiamo la flebo». Al telefono con la ginecologa Daniela Manuzio, poi, diceva: «Senza che ti veda nessuno le metti tre fiale di Sint (Syntocinon), così si sbriga ad abortire».
Sul Messaggero vengono riportate le parole degli inquirenti:
La strategia concordata dai due sanitari era quella di somministrare, all’insaputa della donna, un farmaco abortivo, per stimolare le contrazioni della gestante ed indurre l’interruzione di gravidanza.
Il 26 luglio 2010 la paziente Cornelia Ficara subì un intervento per un carcinoma dell’endometrio, ma qualcosa andò storto in sala operatoria. Dopo l’intervento Alessandro Tripodi commentava l’operato dei colleghi al telefono con Daniela Manuzio: «gli è rimasto l’utero in mano, aveva la vescica aperta, le hanno sfondato la vagina». La paziente aveva infatti subito la perforazione della vescica e la sua salute già compromessa fu ulteriormente aggravata dagli errori dei sanitari. Un anno dopo, Cornelia Ficara, morì.
In un’altra occasione Alessandro Tripodi, al telefono con la moglie, raccontò di avere tenuto il telefono spento per scampare alle telefonate di Pasquale Vadalà. Un bambino era morto poco prima mentre Vadalà e Daniela Manuzio eseguivano il parto: «Ehi… eh niente, gli è morto un bambino qua… A Vadalà e alla Manuzio… ho chiuso il cellulare apposta, cretina, perché sennò mi chiamava in continuazione Vadalà eh… [omissis]… e infatti ma fuia subutu (me ne sono andato subito) (ride)».
Ancora, Fanpage riporta un’altra intercettazione: «Vabbè loro cercheranno di occultare il fatto che non sono riusciti ad intubarlo. Speriamo che non abbia danni. Mah, comunque cazzi loro! Noi sicuramente non c’entriamo niente».
Secondo gli inquirenti: «Erano medici pronti a inquinare le cartelle cliniche delle pazienti, per nascondere colpe e pecche» (Il Messaggero). Nell’articolo ““Le abbiamo sfondato la vagina” Orrore nell’ospedale di Reggio Calabria” pubblicato sul Giornale il 22 aprile 2016, troviamo le parole del Gip Antonino Laganà, comprensibilmente scosso dal contenuto delle intercettazioni:
Si ride letteralmente degli altrui errori medici forieri di devastanti conseguenze per le pazienti ignare vittime di tale situazione, con ciò delegittimando e di fatto sfiduciando totalmente il singolo medico “preso di mira” e rilevando la drammaticità della situazione medica occorsa
Nell’articolo “Indagine ‘Mala Sanitas’. Coinvolti 14 medici” leggiamo della comparsa di tre nuovi nomi nel registro degli indagati: Giuseppina Strati, ostetrica, raggiunta da provvedimento di interdizione per 12 mesi, Mario Galucci e Marcello Tripodi, “avvisati” senza provvedimento. Sono state invece escluse dall’indagine l’ostetrica Pina Gangemi – inizialmente interdetta dalla professione – e l’infermiera Francesca Stiriti.
Infine, nell’articolo ““Mala Sanitas”, Tripodi parla e scarica il primario: “Ero l’unico a oppormi”” pubblicato su Il Dispaccio il 24 maggio 2016 leggiamo che Alessandro Tripodi, assistito dall’avvocato Giovanni de Stefano, ha tentato di scaricare le responsabilità sull’ex-primario Vadalà:
Sostanzialmente il modo di gestire queste pazienti all’interno del reparto non era sicuramente fatto da noi, la paziente veniva ricoverata dal dottore Vadalà, erano pazienti che aveva visto lui, spesso alcune di queste pazienti non erano in condizioni di operabilità, per cui la mattina quando il medico si trovava in sala operatoria spesso si trovava a dovere convertire l’intervento, ma sempre su indicazione sua, vuoi alcune volte perché non c’era il tempo materiale per potere fare l’intervento. Vuoi alcune volte perché l’anestesista non dava il consenso affinché si potesse effettuare in anestesia generale. Probabilmente la paziente non aveva quelle condizioni per potere essere operata in anestesia generale.
Sulle risate in merito al collega rimasto “con l’utero della paziente in mano”, spiega:
Questo può succedere, può succedere questo che asportando l’utero possa saltare l’asse vascolare, questo può succedere a tutti. Probabilmente mi riferivo a questo, perché l’utero non può sanguinare. Il collo dell’utero, pure se lacerato, non può sanguinare in maniera così importante, da determinare uno shock della paziente.
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