Ci segnalano i nostri contatti una notizia che gira per la blogosfera da anni ormai, molto adatta al periodo pasquale proprio perché, domani, questa storia compirà esattamente 58 anni:
Quando David Latimer piantò un seme in una bottiglia di vetro la Domenica di Pasqua del 1960 non aveva idea che avrebbe prosperato per i decenni successivi arrivando a diventare una massa di vegetazione delle (incredibili) dimensioni attuali. Oggi, più di mezzo secolo più tardi, all’interno della bottiglia la vegetazione sta crescendo con più forza che mai, nonostante l’ultima volta che sia stata innaffiata risale ormai al lontano 1972.
Il giardino fu creato grazie all’inserimento di compost all’interno della bottiglia, che venne poi seminato con della Tradescantia e innaffiata con circa mezzo litro d’acqua, e posizionato poi in un angolo della casa sotto la luce diretta del sole. La particolarità è che la damigiana fu innaffiata una sola volta nel 1972, e da allora è in regime di completo auto-sostentamento. Grazie alla fotosintesi le piante acquistano l’energia sufficiente per crescere e prosperare, grazie all’ossigeno e all’umidità che vengono creati e consumati durante il processo. L’umidità si accumula all’interno della bottiglia e fa in modo che si crei una specie di pioggia naturale dalla parte superiore a quelle inferiore.
Le foglie che muoiono producono l’anidride carbonica necessaria alla fotosintesi e alla nutrizione delle piante appena nate. Latimer, che oggi ha 82 anni, spera di trasmettere questa passione ai propri figli, in modo che veglino su questo piccolo globo in miniatura, probabilmente uno degli organismi viventi più unici e rari al mondo!
E la notizia è vera, anche se delle precisazioni sono necessarie.
Inannzitutto, ad oggi non abbiamo una vera e propria spiegazione del come il giardino di Latimer funzioni esattamente.
Secondo il consenso comune, come riportato dai fact checkers di Now I Know, semplicemente il sistema ricicla un numero ingente delle proprie risorse: la fotosintesi trasforma l’anidride carbonica in ossigeno e consente alla vegetazione di crescere, la vegetazione morta marcendo rilascia anidride carbonica ed umidità la quale ritorna nell’ambiente e così via.
Ci sono una serie di dubbi sul funzionamento dell’intera operazione, e sul fatto che, semplicemente, la quantità di aria e nutrienti all’interno del vaso dovrebbe essere troppo limitata.
Contando che un vero e proprio test non potrebbe che essere distruttivo, ci sono però una serie di fattori che vanno notati e che spiegano la persistenza del giardino.
In primo luogo, non stiamo parlando di un vero e proprio sistema eterogeneo, ma di una palla di erba miseria.
L’erba miseria è una pianta ornamentale assai particolare, erbacea, solitamente dotata di piccoli fiori poco appariscenti, che deriva il suo nome da una serie di possibili spiegazioni coincidenti: ha un aspetto mesto e ricadente, quasi triste e “depresso”, si dice che porti sciagura a chi la possiede e, infine e cosa assai più rilevante, ha bisogno di molte poche risorse per essere coltivata, il che la rende in natura una pianta infestante difficile da sdradicare e nelle varianti decorative il tipico esempio di piantina poco impegnativa che annaffi quando ti capita e non muore, ed anzi è raccomandato nei periodi freddi ed invernali coltivare la propria erba miseria in condizioni di siccità quasi assoluta.
Ovviamente, l’erba miseria nel giardino di Latimer versa in condizioni particolarmente miserabili (vogliate perdonarci il gioco di parole): non vi sono infiorescenze neppure nelle foto più recenti, e non vi sono da anni, a giudicare i vari reperti fotografici succedutisi nel tempo.
Inoltre nessuno ha mai detto che l’erba miseria di Latimer sia destinata all’eternità: nel 1972 l’acqua nel piccolo ecosistema è stata rabboccata, e non sappiamo se nei prossimi anni richiederà altra manutenzione.
Infine, l’unico argine tra l’Erba Miseria di Latimer e l’atmosfera ricca dei gas necessari a prolungare la sua vita è un turacciolo (con una logora copertura plastica in cima) ben ingrassato: riteniamo assai improbabile che dopo 58 anni sia rimasto abbastanza grasso sul turacciolo da renderlo impermeabile, ammesso che lo sia mai stato.
L’Erba Miseria di Latimer non è del tutto indipendente dall’ambiente esterno: riceve luce solare dall’esterno, un moderato ricambio d’aria attraverso il turacciolo, e la temperatura dell’ecosistema è controllata, sia pur in modo molto “artigianale”
Questo basta a spiegare la persistenza del “giardino”, anche se, come ricordato dallo stesso Latimer e da altri commentatori, siamo di fronte ad un esperimento che non può essere nè toccato né annusato, noioso, che si può solo osservare per capire come andrà a finire.
Molti commentatori hanno assimilato l’esperimento di Latimer agli studi della NASA sull’uso delle piante in ambienti ecosostenibili ed ecosistemi chiusi come quelli della ricerca spaziale, ma l’elevato numero di incognite rende il tutto più una curiosità.
Alla morte di Latimer, quando il giardino, se non reclamato dagli eredi, diventerà possesso della Regale Società Inglese per l’Orticoltura potremmo avere nuovi dettagli sul Giardino di Latimer.
Per ora possiamo solo aspettare gli inevitabili aggiornamenti annuali.
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