Lunedì 14 marzo si è parlato tanto della proposta di legge n.2212 “Princìpi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico, nonché delega al Governo per l’adozione di tributi destinati al suo finanziamento“.
Riporto parte dell’articolo segnalatoci de Il Fatto Quotidiano ed intitolato “Acqua, governo contro esito referendum: “No all’obbligo di gestione pubblica”“:
La Camera discute un ddl di inziativa popolare presentato nel 2007 dai movimenti e rielaborato in commissione. Ora che in aula si vota, due emendamenti Pd chiedono l’abolizione dell’articolo che darebbe attuazione alla volontà di 26 milioni di italiani, e il sottosegretario Velo concorda. Ma il testo non è esente da pecche, soprattutto sul fronte della copertura della spesa necessaria a “cacciare” i privati.
Quanto contano i 26 milioni di italiani che nel lontano giugno del 2011 votarono “sì” ai due referendum sull’acqua pubblica? Poco o niente. Da pochi giorni questa è non solo la realtà, ma anche la risposta ufficiale del governo Renzi: la gestione dei servizi idrici non deve essere pubblica, ma di mercato.
Ecco il cuore del problema:
Il problema è che la legge, ora che si comincia a votare per portarla in Aula, a qualcuno non va più bene: martedì 8 marzo i resoconti di Montecitorio danno conto dell’esistenza di due emendamenti di Enrico Borghi e Piergiorgio Carrescia (deputati Pd come gli altri firmatari) che chiedono di “sopprimere” l’articolo 6, cioè il cuore della legge. Il 9 marzo, poi, il relatore Massimiliano Manfredi (Pd) “esprime parere favorevole sugli identici emendamenti Borghi e Carrescia”. La sottosegretaria Silvia Velo, a nome del governo, “concorda”. L’esecutivo, insomma, vuole cancellare l’articolo centrale della legge, quello che invera la volontà di 26 milioni di italiani (oltre la metà degli aventi diritto): martedì è il giorno della verità in commissione.
Parliamo della proposta di legge n.2212, presentata il 20 marzo 2014 a firma Daga Federica e di altri parlamentari del M5S, ma non solo: l’elenco comprende anche parlamentari del PD (es. Moretto Sara, Mariani Raffaela ed altri ancora), SEL (es. Pellegrino Serena e Costantino Celeste), Scelta Civica (Vecchio Andrea), Forza Italia (Gullo Maria Tindara) e del gruppo Misto (es. Segoni Samuele). L’elenco completo è consultabile in questo link o in questo.
Vi riporto di seguito il testo dell’articolo 6 della proposta di legge n.2212, vale la pena leggerlo:
Art. 6.
(Ripubblicizzazione della gestione del servizio idrico integrato. Decadenza delle forme di gestione. Fase transitoria).1. Gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture e dotazioni patrimoniali afferenti al servizio idrico integrato costituiscono il capitale tecnico necessario e indispensabile per lo svolgimento di un pubblico servizio e sono proprietà degli enti locali, che non possono cederla. Tali beni sono assoggettati al regime proprio del demanio pubblico ai sensi degli articoli 822 e 824 del codice civile. Essi sono inalienabili e gravati dal vincolo perpetuo di destinazione ad uso pubblico.
2. La gestione e l’erogazione del servizio idrico integrato non possono essere separate e possono essere affidate esclusivamente a enti di diritto pubblico.
3. Gli enti di diritto pubblico che gestiscono il servizio idrico integrato non sono assoggettati né al patto di stabilità interno relativo agli enti locali né alle limitazioni di carattere contrattuale od occupazionale stabilite per i lavoratori delle amministrazioni pubbliche.
4. Dalla data di entrata in vigore della presente legge non sono possibili acquisizioni di quote azionarie di società di gestione del servizio idrico integrato.
5. Tutte le forme di gestione del servizio idrico affidate in concessione a terzi in essere alla data di entrata in vigore della presente legge, se non decadute per contratto, decadono alla medesima data.
6. Tutte le forme di gestione del servizio idrico affidate a società a capitale misto pubblico e privato in essere alla data di entrata in vigore della presente legge, se non decadute per contratto, sono trasformate, previo recesso del settore dell’acqua e scorporo del ramo d’azienda relativo in caso di gestione di una pluralità di servizi, in società a capitale interamente pubblico. Il processo deve completarsi entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge.
7. Le società risultanti dal processo di trasformazione di cui al comma 6 operano in conformità alle seguenti condizioni vincolanti:
a) divieto di cessione di quote di capitale a qualsiasi titolo;
b) esercizio della propria attività in via esclusiva nel servizio affidato;
c) obbligo di sottostare a controllo da parte degli enti affidanti analogo a quello dagli stessi esercitato sui servizi a gestione diretta;
d) obbligo di trasformazione in enti di diritto pubblico entro sei mesi dalla data di costituzione.8. Tutte le forme di gestione del servizio idrico affidate a società a capitale interamente pubblico in essere alla data di entrata in vigore della presente legge, se non decadute per contratto, sono trasformate in enti di diritto pubblico entro un anno dalla medesima data di entrata in vigore.
9. In caso di mancata osservanza di quanto stabilito dal presente articolo, il Governo esercita i poteri sostitutivi stabiliti dalla legge.
10. Con decreto dei Ministri competenti, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, di seguito denominata «Conferenza unificata», sono definiti i criteri e le modalità alle quali le regioni e gli enti locali devono attenersi per garantire la continuità del servizio idrico integrato e la qualità dello stesso durante la fase transitoria di cui al presente articolo, assicurando la trasparenza e la partecipazione dei lavoratori e dei cittadini ai relativi controlli.
Ecco l’emendamento 6.1, molto sintetico e chiaro, a firma Borghi Enrico del Partito Democratico (ed altri):
Proposta emendativa pubblicata nel Bollettino delle Giunte e Commissioni del 08/03/2016
6.1.
Sopprimerlo.
Per chi non conosce il sistema degli emendamenti, questo di fatto richiede l’annullamento dell’intero articolo 6 della proposta di legge, una specie di grossa gomma da cancellare che spazza via tutto il suo contenuto.
Per completezza elenco gli altri firmatari, sempre del Partito Democratico, dell’emendamento 6.1:
Identico quello successivo emendamento 6.2, a firma Carrescia Piergiorgio e Sanna Giovanna del PD:
Proposta emendativa pubblicata nel Bollettino delle Giunte e Commissioni del 08/03/2016
6.2.
Sopprimerlo.
Confermato anche il parere favorevole agli emendamenti del relatore del PD, Massimiliano Manfredi, come riportato dal bollettino della Commissione della Camera dei Deputati del 9 marzo 2016:
Con riferimento agli emendamenti riferiti all’articolo 6, esprime parere favorevole sugli identici emendamenti Borghi 6.1 e Carrescia 6.2.
Confermato anche il parere della sottosegretaria Silvia Velo (PD), intervenuta dopo il relatore Manfredi:
La sottosegretaria Silvia VELO concorda con il parere espresso dal relatore su tutte le proposte emendative presentate.
Bisogna precisare il fatto che tali approvazioni riguardano la possibilità di questi emendamenti di essere votati in Parlamento, dandone la possibilità di approvazione o bocciatura da parte dello stesso. Dovremmo attendere le intenzioni di voto che verranno presentate in aula, così come i voti che verranno espressi in merito.
Per chi fosse interessato, attraverso questo link è possibile consultare ogni emendamento presentato alla proposta di legge articolo per articolo.
Il Referendum del 2011 ha di fatto abrogato l’art. 23-bis del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112 ed il comma 1 dell’art. 154 del Decreto Legislativo 3 aprile 2006 n. 152. Ci si è trovati dinanzi ad una situazione in cui la gestione dell’acqua sarebbe regolamentata, secondo quanto dichiarato a Presadiretta dalla responsabile del Ministero dell’Ambiente Gaia Checcucci (renziana), da quadri normativi europei che consentirebbero anche la gestione privata. Se ne parlava anche nel 2014:
L’acqua è un diritto universale ma non se ne può fermare la privatizzazione. Questa, in parole povere, la risposta della Commissione europea alla prima legge d’iniziativa popolare europea “Ice” (European citizens’ initiative) in grado di raggiungere e superare abbondantemente lo scoglio del milione di firme. L’iniziativa chiedeva all’Unione una normativa per sancire il diritto umano universale all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari. Insomma, un implicito stop alle privatizzazioni di tali servizi. Neutra, anzi “politica”, la risposta della Commissione che ha sottolineato l’importanza dell’acqua, annunciato consultazioni pubbliche e altri passi in tal senso sottolineando però come le privatizzazioni restino di competenza nazionale.
La proposta di legge n.2212 presentata in Parlamento vuole dare una “risposta” al quesito referendario che in molti tutt’ora considerano erroneamente che il “si” volesse imporre l’acqua soltanto pubblica (su questo si fa molta propaganda politica), definendo l’acqua un bene pubblico e gestito solo dal pubblico. Detto questo capite che il titolo dell’articolo del Fatto è in parte errato.
Di fatto uno dei pochi comuni italiani a dare “risposta” al Referendum del 2011 è stato quello di Napoli di Luigi De Magistris, il quale ha dimostrato che la gestione dell’acqua sotto il controllo pubblico è possibile.
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