Non solo la microplastica: il problema dei plastiglomerati
Si chiamano “plastiglomerati”: rocce fatte di plastica. Non un divertente gadget per i presepi, ma i nostri rifiuti che entrano a far parte del ciclo della natura, ma in modo assai innaturale, entrando a far parte di rocce e ambiente.
Del resto, ci sono pagine Internet devote a rintracciare i segni precursi di questo fenomeno, come “Archeoplastica”, il Museo dei rifiuti spiaggiati.
Non solo la microplastica: il problema dei plastiglomerati
Un pezzo di plastica in mare è per sempre: una bottiglia di plastica può durare fino a 450 anni, un sacchetto “appena” venti. Come dimostrato dalle raccolte in Archeoplastica, è ancora possibile trovare sulle nostre spiagge giocattoli e barattoli di crema solare conservati e custoditi dal mare da 60, anche 70 anni.
Ma cosa succede quando uno di questi immortali rifiuti prende il largo? La ricercatice Patricia Corcoran ha già rintracciato sulla spiaggia hawaiana di Kamilo Beach nel 2012 formazioni in cui frammenti di rifiuti plastici, semifusi ma ancora riconoscibili, tenevano insieme pezzi di roccia, sabbia e conchiglie.
Basta poco per creare un plastiglomerato: un falo’ sulla spiaggia che fonde quei giocattoli e quelle bottiglie assieme, agglomerati di plastica che si fondono chimicamente con la reciproca pressione o fisicamente col calore ad esempio: i fenomeni che in natura fondono assieme le rocce, ora fondono l’immondizia, e l’immondizia diventa parte della natura, come una “Grande Isola di Plastica” nel Pacifico ormai habitat di numerose forme di vita che finiranno a inghiottire quella plastica portandola nella catena alimentare e nel nostro cibo.
I plastiglomerati potranno essere evitati? O resteranno per sempre in natura? E se il lascito eterno della specie umana fossero sassi di nociva spazzatura?
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